Alice in Wonderland, la recensione: Tim Burton aggiorna un classico Disney

Tim Burton firma il live action di un grande classico Disney, Alice in Wonderland, dal libro di Lewis Carroll.

Alice in Wonderland, la recensione: Tim Burton aggiorna un classico Disney
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“In ogni fiaba c'è il bene e il male. Quello che mi è sempre piaciuto del Sottomondo è che tutto è vagamente 'spostato', anche le brave persone. Questo, per me, fa la differenza.”

Con queste parole cariche di sotteso entusiasmo Tim Burton, uno dei registi più geniali ed espressivi della sua generazione, ha accolto l'idea di realizzare una trasposizione filmica di uno dei più grandi classici della letteratura per l'infanzia, Alice nel paese delle meraviglie.
Alice in Wonderland è, difatti, uno dei racconti fiabeschi più universalmente popolari, infrangendo qualunque barriera geografica, demografica e culturale. Un mondo, e in particolar modo dei personaggi, quelli del reverendo Charles Dodgson -ben più conosciuto sotto lo pseudonimo Lewis Carroll- entrati quasi di prepotenza nell'immaginario di tutti nel corso di quasi centocinquant'anni, grazie alle numerosissime riduzioni (e reinterpretazioni) che il cinema -e i media in generale- hanno offerto fin dagli albori del ventesimo secolo (il primo film tratto dalle avventure di Alice è addirittura del 1903!). Personaggi iconici, che sono stati più e più volte traslati, adattati, rimodellati nel corso del tempo per adattarsi ai più vari contesti, tanto che in molti ignorano che in realtà le meravigliose avventure di Alice constano in due volumi, ognuno separato dall'altro e con pochi elementi in comune, oltre alla folle genialità delle trovate di Carroll. I due volumi, Alice's Adventures in Wonderland e Through the Looking-Glass (Attraverso lo specchio), sono stati infatti più volte condensati fra loro prendendo elementi ora dall'uno ora dall'altro, per estro di registi e sceneggiatori o per semplici esigenze narrative. Questo in virtù del fatto che le storie (in special modo la prima) non si basano tanto su un intreccio particolarmente complesso quanto sulle bizzarre sequenze di eventi in cui la protagonista è di volta in volta catapultata: molto più semplice e d'effetto, dunque, cinematograficamente parlando, estrapolare gli elementi ritenuti migliori e di maggior presa sul pubblico, piuttosto che trasportare pedissequamente le vicende così come concepite da Carroll, nel suo stile di narrazione avvincente, ma fin troppo semplice (se si escludono, naturalmente, la miriade di sciarade e giochetti linguistico-sintattico-matematici con cui l'eclettico autore infarciva golosamente la sua prosa).

Alice come Avatar?

In seguito al grande interesse mostrato dai nostri utenti nei confronti dell'attessissimo film di James Cameron "Avatar", del quale vi abbiamo portato ben due recensioni ufficiali della redazione (più una realizzata da una nostra lettrice in quel di Londra), anche per "Alice in Wonderland" di Tim Burton, in virtù del fatto che risulta essere uno dei film con più hype fra i nostri utenti, vi proporremo un doppio coverage. A questa recensione, che farà indubbiamente discutere per il voto, se ne aggiungerà quindi un'altra dopo la seconda anteprima del film che si terrà la prossima settimana. Il viaggio nel Sottomondo continua sulle pagine di Everyeye....

Mille e una Alice: la più celebre è di Walt

Ben poche volte si è deciso di portar sullo schermo Alice nel paese delle meraviglie così come è stato concepito: anche il grande Walt Disney decise, insieme agli sceneggiatori, di realizzarne un "semplice" adattamento quando Alice in wonderland entrò in produzione. E' interessante ricordare come l'universo di Carroll sia sempre stato una grande fonte di ispirazione per Mastro Walt, molto più di quanto ci si immagini. Fin dagli inizi della sua carriera, il personaggio di Alice era nei suoi pensieri, e realizzò un film dal vivo e diversi piccoli cortometraggi ispirandovisi. La versione animata doveva, in teoria, essere il suo primo lungometraggio animato, precedendo dunque addirittura Biancaneve e i sette nani.
Quando, finalmente, dopo diversi anni di lavoro Alice in wonderland uscì nelle sale cinematografiche, il film non raccolse il successo sperato: soprattutto nella madrepatria di Carroll, l'Inghilterra, dove il film ricevette solenni stroncature dalla critica, che accusava Walt di aver eccessivamente 'americanizzato' l'opera. Si trattava, in verità, di un piccolo capolavoro, che aveva preso tutti gli elementi considerati più geniali e li aveva inseriti in un contesto da viaggio onirico assolutamente affascinante e travolgente, ma invero innocentemente svuotati dei contesti e dalle ricche metafore originali. Le incredibili avventure che Alice vive nel film infatti sono risultano quasi fini a sé stesse in questa celebre versione animata, che inoltre non conservava molto del gusto finemente british delle pagine originali. Il pubblico del dopoguerra non andava certo così per il sottile e accolse bene la pellicola, ma non abbastanza: il film non fu più riproposto al cinema per quasi due decadi, e fu “riscoperto” solo durante gli anni '60 e '70, quando i 'viaggi' della mente avevano acquistato particolare valore nella letteratura e nella cultura popolare.
Sicuramente Disney era ben consapevole dei profondi significati allegorici dell'opera originale, ma probabilmente ritenne impossibile riportarli su schermo per il pubblico dell'epoca, e si risolse nell'accontentarsi di un ottimo prodotto di intrattenimento senza troppe pretese culturali, come gli venne tuttavia rinfacciato dalla critica. Tim Burton stesso non ha avuto remore nell'affermare che lo straordinario immaginario di Carroll è sempre uscito svilito dai film tratti dai suoi libri (includendo, implicitamente, anche il lungometraggio disneyano del '51 quindi) e che lui voleva andare oltre al concetto della ragazzina che, passivamente, veniva trascinata da un'avventura all'altra senza una reale crescita. Voleva maggiore profondità. Pur prendendosi, lui e la sceneggiatrice Linda Woolverton, notevoli libertà -realizzando, a tutti gli effetti, un'opera originale, sorta di sequel alternativo del film del '51- l'intento era di realizzare un film profondamente rispettoso e legato all'immaginario e alla visione di Carroll. Signori, ecco a voi Tim Burton's Alice in wonderland.

Impossibile? Solo se pensi che lo sia.

Alice Kingsleigh (Mia Wasikowska) è una diciannovenne dama inglese dai modi anticonformisti e risoluti. Non ha che vaghi ricordi delle sue disavventure nel Paese delle Meraviglie, che crede semplicemente frutto di un sogno infantile. Durante un clamoroso ricevimento campestre in onore suo e del banale e infantile lord che vorrebbe chiedere la sua mano, Alice scappa dal pretendente per inseguire, come in un riflesso condizionato, un buffo coniglio bianco vestito di tutto punto. Il Bianconiglio la sta attirando nuovamente, e questa volta in maniera consapevole, nel paese delle meraviglie, il Sottomondo. L'Oracolo prevede, difatti, che un paladino, rappresentato tra le sue pagine con le fattezze della ragazza, si batterà contro il leggendario Ciciarampa per ristabilire l'ordine nel regno. Ma Alice è pronta ad un passo del genere? Ora che è quasi un'adulta, come se la caverà nel Sottomondo, non avendo più l'ingenuità tipica di una ragazzina? E soprattutto, è davvero lei l'Alice che tutti ricordano e cercano? Sono queste le domande che tutti i personaggi, vecchi e nuovi, si pongono in Alice in Wonderland. Ambigui come non mai, ritroviamo ad esempio il Cappellaio Matto (Johnny Depp), il Brucaliffo (Alan Rickman), la spietata ed egoista Regina Rossa (Helena bonham Carter), il sinistro Fante di Cuori (Crispin Glover), l'inquietante Regina Bianca (Anne Hathaway) e i gemelli Pinco Panco e Panco Pinco (Matt Lucas), lungo un percorso irto di ostacoli e scelte difficili. Cosa scoprirà Alice alla fine del suo cammino?

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"Il modo migliore di viaggiare? E' a cappello!!"

Sebbene la sceneggiatura originale del film non sia stata scritta da Burton, ma dalla Woolvertoon, è chiaro che l'intento era proprio quello di far dirigere la pellicola dal Maestro del surreale in persona: Burton, con le sue solite tinte fosche in cui nulla è come appare, sembra nato per cogliere tutti gli aspetti dei mondi concepiti da Carroll. La storia, a tutti gli effetti, riprende le fila da dove Disney aveva interrotto sessant'anni prima (e sul finire della pellicola Burton si prende il lusso di realizzare, in flashback, qualche godurioso istante 'live' del classico di papà Walt) presentando nuovi personaggi e situazioni creati per l'occasione e introducendo temi e personaggi importanti del secondo libro, tra cui, sicuramente, la Regina Bianca, pur sviando completamente dalla trama “scacchistica” di Attraverso lo specchio. La vicenda in sé è un classico “viaggio dell'eroe” come se ne sono visti tanti al cinema, eppure combinando la freschezza visiva dell'operato di Burton con le fascinazioni e le incantevoli tematiche di Carroll non si ha mai l'impressione del “già visto” grazie anche ad un comparto tecnico che definire di prim'ordine è dir poco.
Al di là dell'aspetto meramente tecnico e di post-produzione della pellicola su cui torneremo più tardi, lo sforzo profuso dagli storici collaboratori del regista ha dato frutti rigogliosissimi.
Colleen Atwood, due volte premio Oscar, ricrea l'estetica del mondo di Carroll in maniera esemplare, realistica e al contempo eclettica e geniale, ricca di guizzi stilistici e richiami alla psicologia dei personaggi, con tocchi di classe quasi invisibili eppure tangibili nel risultato finale.
Danny Elfman firma una colonna sonora il cui marchio personale è inconfondibile, e seppur non ricca di pezzi di particolar spicco, accompagna con precisione i vari momenti e aspetti della pellicola. Ma è come il tutto si intona con la visione burtoniana della storia che ha, in sé, del meraviglioso: assolutamente niente è fuori posto, se non nei limiti della stramberia insita nel Sottomondo.

"Ricorda: tutti i migliori sono matti"

Venendo a parlare del cast attoriale, ritroviamo un giusto mix di grandi riconferme e volti nuovi: in primo luogo la giovane Wasikowksa, il cui talento e la predisposizione naturale al personaggio non traspaiono dai trailer. Eppure Alice è lei, lì, viva con tutte le sue perplessità e momenti di difficoltà, ma anche piena di risolutezza nel momento decisivo. Decisamente una breaktrhough performance la sua, e la aspettiamo al varco per le sue prossime apparizioni sul grande schermo.
Ci ha poi particolarmente stupito la Hathaway, inquietante eppure naturale nei panni dell'ambigua Regina Bianca, in quella che a tutti gli effetti riteniamo la sua interpretazione migliore a tutt'oggi.
Che dire poi di Depp, che dovunque mette mano riesce bene...e laddove collabora con Burton riesce ancora meglio? Il sodalizio è più forte che mai, e forte dell'esperienza e della sua innata bravura, Depp pennella un personaggio a tratti triste e malinconico, perso, o semplicente...matto come un cappellaio, a tratti esuberante, attivo, trascinante. Assolutamente diverso dall'originale animato, così come dagli altri numerosi suoi personaggi estrosi (Sparrow in primis). E' incredibile come riesca sempre a porsi in maniera diversa ed entrare in sintonia con i suoi ruoli, senza, inoltre, rubare consapevolmente la scena agli altri. Il Cappellaio ha certamente un ruolo di rilievo nel film, ma incide il giusto e niente più. L'irriconoscibile Bonham Carter, invece, raggiunge livelli di maestria attoriale altissimi nei divertiti panni della Regina Rossa, viziata, egoista e collerica, ma soprattutto profondamente insicura. Potremmo dilungarci su ogni singolo attore da Crispin Glover a Matt Lucas, soffermandoci inoltre su chi dà solo la voce a certi personaggi, come Michael Sheen, Alan Rickman o Sir Christopher Lee, ma preferiamo farvi scoprire la ricchezza delle loro interpretazioni personalmente. Peccato che alcune sfumature si perdano nel doppiaggio nostrano, ma è così per forza di cose. Anche perché la qualità dell'adattamento italiano è eccelsa, come da tradizione Disney.

3D o non 3D?

Apriamo quindi una parentesi sulle qualità tecniche della pellicola: al di là dell'impeccabile regia e fotografia, il lavoro svolto in green screen da attori e specialisti degli effetti digitali ha dell'incredibile. Se avete seguito i nostri speciali in merito (che altrimenti vi consigliamo caldamente di recuperare) avete una vaga idea dell'incredibile e periglioso compito che gli artisti della CG di sono dovuti sobbarcare per calare gli attori in un mondo così apertamente fantastico e popolato di incredibili creature. Attori che, spesso, sono stati trattati al computer nelle maniere più disparate (vedesi la Bonham Carter, tanto per fare un esempio tra i più estremi) e la cui interazione con fondali e personaggi di fantasia non da adito che a meraviglia, per come l'effetto sia riuscito.
Riuscito come il 3D, che seppur ancora parecchio lontano dall'idea che non sia meramente un'applicazione visiva e ludica, riesce a coinvolgere con ottimi effetti di luce (soprattutto nelle scene finali) e un senso di profondità che va ben oltre il mero oggetto lanciato contro lo spettatore. Il senso della prospettiva, in certe scene, è difatti notevole, e il senso di disagio e confusione nelle scene più concitate, tipico di altri film in 3D, è qui assente. Anche se, lo ricordiamo, il film è stato ideato per essere in tre dimensioni, ma girato in 2D e successivamente convertito. Difatti, anche in "modalità standard" il film non perde niente della sua bellezza.

Alice in Wonderland Se escludiamo la serie di Pirati dei Caraibi, sono anni che la Disney non raggiungeva il successo con un film dal vivo non musicale, alternando film riusciti solo a metà, soprattutto andando a ripescare dal passato (vedasi Corsa a Witch Mountain). Solo con Come d'incanto la casa del topo sembrava essersi rimessa in carreggiata ed, infatti, grazie anche al genio e alla bravura di cotanti talenti, ecco un film maestoso, epico, divertente e appagante. Rispettoso delle tradizioni Disney ma al contempo anche all'opera a cui si ispira, Burton mette molto del suo per creare un film che può essere visto (e rivisto) sotto molti aspetti e chiavi di lettura. La pellicola è infatti solo apparentemente semplice: pur evitando i complessi giochi di parole Carrolliani, infatti, il film presenta profondità e allegorie inaspettate nei suoi personaggi e accadimenti. Non gli diamo l'eccellenza solo perché il finale è quello che tutti ci aspettiamo. Ma non poteva essere altrimenti, dopotutto.

9.5

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