Recensione Alfonsina Y El Mar

In bilico tra commedia e tragedia, un film difficile ma significativo

Recensione Alfonsina Y El Mar
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È stato presentato al cinema Odeon di Firenze l'anteprima nazionale di Alfonsina Y El Mar del collettivo K.Kosoof, formato dal fiorentino Pablo Benedetti e dal torinese Davide Sordella. In una sala gremita di folla si è anche reso omaggio ad una grande esponente della storia del cinema italiano, Lucia Bosè, che a 82 anni ritorna al cinema nel ruolo di protagonista. Una donna che dopo aver prestato il suo volto e il suo corpo a registi come Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, i fratelli Taviani, Federico Fellini e Luis Buñuel, ha deciso di mettersi in gioco ancora una volta e affidare la propria fiducia a due giovani registi italiani. Due registi che hanno debuttato nel 2008 con Corazones de Mujer, unico film italiano insieme a Caos Calmo di Antonello Grimaldi ospitato al Festival di Berlino quell'anno. Vincono in seguito il premio per la “Migliore regia esordiente” al Festival di Ermanno Olmi guadagnandosi così anche una distribuzione nelle sale come pure in home-video.
Alfonsina Y El mar si presenta come connubio ideale tra due generazioni diverse, che si parlano e lavorano insieme creando un legame forte tra il grande cinema del passato e la ricerca di una nuova creatività del cinema contemporaneo. Un film dal grande coraggio, produttivo e artistico, che ha voluto portare il mondo del cinema nel mezzo del deserto.

Il mio vero nome è Alfonsina

Lucia, un'attrice al tramonto della sua vita (mentre la sua carriera è già tramontata da anni), decide di tornare al suo paese d'origine, nel nord del Cile, dove ha trascorso l’infanzia, per inseguire la sua utopia: creare un piccolo canale televisivo in un luogo dove la TV non è mai arrivata prima e ricominciare così tutto da capo. Arrivata nel piccolo paese tutto quello che trova sono polvere, calura e mezzi tecnologici arretrati. Ma qui incontrerà anche Warmi, una giovane locale che ha passato tutta la sua vita nella valle desertica di Humberstone.
La creazione di un canale televisivo diventerà l'occasione per due persone di scoprirsi e conoscersi. Da un lato una donna fuggita dal proprio paese e dal proprio passato nella convinzione di risolvere così tutti i problemi. Dall’altro una donna che invece non è mai riuscita a lasciare il paese, ma che vive rimandando ogni decisione, nell’attesa di andarsene verso il sogno luccicante della grande città.
Insieme lavoreranno sulla televisione, aiuteranno le donne del paesino a creare una squadra di calcio femminile, ma soprattutto coltiveranno un sogno, diventando padrone di se stesse e del proprio destino.

Il deserto e il mare tra Jodorowski e Arrabal

Due giovani autori, un piccolo gruppo di tecnici e due attrici. Questa è l'equazione che ha portato ad un film non privo di difetti, ma quantomeno una pellicola onesta che mostra fin da subito tutto il suo amore per il cinema, amore che in Italia abbiamo oramai perso per strada. Affidandosi completamente alle loro attrici il duo di registi ha giocato con il ruolo dell'attore stesso, trasformando la pellicola in una sorta di parabola degli ultimi anni della Bosè che ora vive, quasi da esiliata, in Spagna. Un'attrice che ha fatto la storia del cinema italiano e che si è prestata con grande umiltà e fiducia a due giovani, apportando un grande peso attoriale al film di cui è diventata il perno centrale. Lavorando come nell'Italia del dopoguerra, nella quale non esisteva una vera e propria sceneggiatura scritta ma solo delle linee guida che venivano seguite, la Bosè ha giocato ad improvvisare per tutta la durata del film. Il suo passato è diventato quindi parte del passato del suo personaggio, con cui inizialmente condivide anche il nome a rimarcare questa somiglianza.
Il film percorre una strada in bilico tra commedia e tragedia: le divertenti battute che si scambiano le due donne all'inizio del loro incontro cedono poco alla volta il passo ad una tragedia incombente. Si svela così l'obbiettivo dell'attrice (fallita?); non fondare una televisione dall'utopico nome di Tv Fitzcarraldo (con espliciti rimandi al film di Herzog) ma tornare a casa per poter decidere della propria vita, così come della propria morte. Si inserisce qui la storia dell'altra omonima della protagonista, Alfonsina Storni, poetessa di origine svizzera vissuta in Sudamerica e conosciuta per la sua poesia “Voi a dormir” scritta il giorno in cui decise di suicidarsi gettandosi in mare. Il deserto si trasforma nel mare di Alfonsina/Lucia, che deciderà di intraprendere un cammino magico verso di esso. Un cammino che ricorda tanti maestri del cinema sud americano surreale, da Jodorowski e Arrabal fino alle influenze mortifere di José Majica Marins. La simbologia si fa più fitta tra incontri con il diavolo, miniere sotterranee e piscine vuote, arrugginite e ricoperte dalla polvere. Certo la potenza visiva non è quella di questi grandi maestri ma come detto l'amore per il cinema c'è e si sente. E molte volte è proprio questo a donare qualcosa in più ad un film imperfetto.

Alfonsina Y El Mar Alfonsina Y El Mar è un film che può risultare pesante e difficile, può anche non piacere, ma bisogna pur sempre apprezzare il grande sforzo di un ristretto gruppo di giovani di voler girare qualcosa di nuovo e diverso dal solito dramma d'interni che il cinema italiano continua pedissequamente a proporre. Senza sfociare nel genere, dove spesso si rifugiano i giovani cineasti alla ricerca di idee nuove (e dove finiscono per ripetere suggestioni e storie già viste), i due registi sono riusciti a girare un film non privo di difetti ma che si presenta come un bel tentativo di portare sul grande schermo una pellicola diversa.

6

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