Recensione Alì ha gli occhi azzurri

Ragazzi di vita e d'immigrazione nel 'docufilm sociale' di Claudio Giovannesi

Recensione Alì ha gli occhi azzurri
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Nader vive a Ostia con i genitori e la sorella. Ha origini egiziane ma, di fatto, la sua vita è quella comune di un ragazzo italiano alle prese con tutte le difficoltà della crescita, in un ambiente periferico che amplifica lo straniamento dalla condizione di ‘cittadino ibrido', diviso tra la cultura italiana e quella egiziana, tra l'esser circondato da valori cristiani e appartenere - di fatto - a quelli musulmani. La sua vita procede (incerta) tra furtarelli ed estorsioni con il suo migliore amico Stefano, l'amore ma anche l'ancora di salvezza incarnati dalla sua dolce e fin troppo comprensiva ragazza Brigitte, e la convivenza (sempre piena di scontri) con i genitori e i loro incrollabili valori musulmani. Ma durante quella che sarà una settimana ‘epifanica', le piccole crepe (strutturali, dovute soprattutto alla sua condizione di cittadino dalla nazionalità multipla) della vita di Nader si apriranno a voragine, e l'asfissia di una società che non offre alcuna rete si mostrerà in tutta la sua violenza. A quel punto starà alla maturità dello stesso Nader, ragazzo di vita come tanti impigliato nell'omologazione e nel consumismo odierni, il compito di capire il percorso da seguire per una presa di coscienza che possa (là dove non risolvere) quanto meno smussare gli attriti tra le due culture che incarna.

Profezia, da Alì dagli occhi azzurri

... deponendo l'onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l'onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli occhi azzurri - usciranno da sotto la terra per uccidere —
usciranno dal fondo del mare per aggredire — scenderanno
dall'alto del cielo per derubare — e prima di giungere a Parigi
per insegnare la gioia di vivere,
prima di giungere a Londra
per insegnare ad essere liberi,
prima di giungere a New York,
per insegnare come si è fratelli
— distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.

Nel mondo di Nader

Primo film italiano in concorso, Alì ha gli occhi azzurri è il terzo lavoro da regista per il romano Claudio Giovannesi dopo il lungometraggio La casa sulle nuvole e il documentario Fratelli d'Italia. Il film nasce, infatti, proprio dal materiale di quest'ultimo lavoro, attestandosi come un ‘prolungamento' e una presa di coscienza ulteriore di uno degli episodi che costituivano il documentario Fratelli d'Italia (in cui compariva già lo stesso Nader Sarhan). La vita reale del giovane Nader (ragazzo italiano di origini egiziane) viene portata così nuovamente sotto la luce dei riflettori per realizzare una fotografia complessa ma realista dello stato del processo di integrazione tra culture e religioni diverse nell'Italia di oggi. L'episodio originale del documentario si allarga qui fino a diventare racconto di una (particolarmente difficile) settimana di vita del ragazzo, inglobando il suo vero - e contrastato - amore per Brigitte e la sua amicizia con Stefano. Alì ha gli occhi azzurri (titolo che gioca sull'ossessione del protagonista di avere un aspetto visibilmente ‘più occidentale', e che rimanda a un illuminante passo tratto da Profezia di Pier Paolo Pasolini) si prende dunque l'onere di scavare dentro la vita di un adolescente come tanti, intrappolato tra la sua cultura d'origine e quella d'adozione, immobilizzato tra la voglia di reclamare i propri diritti e l'impossibilità di farlo. Giovannesi lavora nel senso di sottolineare le contraddizioni in termini che questo scontro ‘sociale' crea nella vita di un ragazzo, ancora nella piena ricerca della propria identità, che è pronto a inguaiarsi per difendere un amico, ma anche a sparare a quello stesso amico perché ha posato gli occhi sulla sorella. Tutto infine si gioca nell'incoerenza di lottare per liberarsi di un valore che è invece parte integrante di sé stessi. Giovannesi coglie l'autenticità di questo gap, prendendo a prestito la realtà per raccontare la finzione (anziché viceversa) in una sorta di docufilm sociale che inquadra molto bene i punti morti di un'integrazione ancora faticosamente in divenire. A vantaggio del film poi giocano i due protagonisti (Nader, in particolare), due ragazzi granitici nella loro fisicità e nella manifestazione del loro essere, che bucano lo schermo e che riportano in vita, attraverso il loro agire, l'essenza delle loro complessità/semplicità caratteriali. Un film che sceglie di non aggrapparsi (come spesso accade in questo genere di cinema) alla facile chiave di un dramma fatto e finito, in cui irrompe il fatto di sangue a chiudere il conto tra vittime e carnefici. Un film che sceglie, piuttosto, di lasciare il senso sospeso di quel 'fardello sociale' in uno sguardo che coglie perfettamente la solitudine e il dolore repressi, senza rivendicarli in un finale a effetto.

Alì ha gli occhi azzurri Primo film italiano in concorso, Alì ha gli occhi azzurri racconta la settimana di Nader (figlio della seconda generazione) attraverso il climax di eventi che lo porteranno a dover fare i conti con l’attrito esistente tra la cultura d’origine e quella d’arrivo. Un docufilm che sceglie (e lo fa bene) le verità da prestare alla finzione per costruire un ritratto sobrio ma toccante di un’immigrazione che s’incontra con sterili mondi di periferia, rigidità mentali, povertà culturale e materiale, dando vita a un mix fatale. Una spinosa questione sociale che il cinema ha toccato spesso e volentieri ma (poche volte, specialmente nel cinema italiano) con il pregnante realismo che riesce a mettere in campo Claudio Giovannesi. Chapeau.

7.5

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