Ai Confini del Paradiso Recensione: riso amaro tra Germania e Turchia

Tra Germania e Turchia due drammi si incrociano, questo l'incipit del nuovo film Ai Confini del Paradiso.

Ai Confini del Paradiso Recensione: riso amaro tra Germania e Turchia
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Il regista

Fatih Akin è da sempre stato un regista molto legato alla sua terra. O meglio, alle "sue" terre. Infatti il regista, di origine turche, ma nato e cresciuto ad Amburgo, ha sempre trattato come temi nelle sue pellicole i difficili rapporti di integrazione del suo popolo in terra germanica. Partito sin da subito con le migliori premesse, il suo primo corto Sensin - Du bist es! ha vinto il premio come miglior corto al festival dedicato proprio ad Amburgo, ha continuato a parlare dell'immigrazione nel suo primo lungometraggio, Kurz und schmerzlos con il quale vinse il Pardo di bronzo al festival di Locarno. E ancora con In July, che ha come meta finale Istanbul, arrivando poi a trattare anche l'immigrazione italiana con Solino. Ma è nel 2004, con La sposa turca, che ottiene oltre all'Orso d'oro al Festival di Berlino, anche un grande successo di pubblico, che consacrò un regista fino ad allora più che altro di nicchia al di fuori del suolo tedesco. E' seguito poi un documentario sulla scena rock in Turchia, e infine questo Ai confini del paradiso. Questa premessa sull'autore era necessaria più che altro per inquadrare il tipo di pellicola in questione, laddove ancora una volta troviamo i punti cardine della sua filmografia, simbolo di un uomo ancora fortemente legato alle proprie origini.

La trama

Ali è un pensionato vedovo turco che vive a Brema con il figlio Nejat, professore di tedesco all'Università. Durante una delle sue tante scappatelle con le prostitute, conosce Yeret, signora di facili costumi di mezz'età, ed anch'essa di origini turche. Se ne innamora, e le propone di andare a vivere con lui. Dapprima scettica, la donna dovrà adattarsi in seguito a pesanti minacce subite da integralisti religiosi musulmani. Ma ben presto Ali subisce un infarto, e quando tornerà a casa il rapporto con Yeret cambierà, e durante una lite egli finirà per ucciderla. Allora il figlio, dopo aver ripudiato il padre (finito in galera), deciderà di recarsi ad Istanbul a cercare Ayten, la figlia che Yeret manteneva dalla Germania con il suo "lavoro". Ayten, per altro ignara della professione della madre, è un'attivista politica invischiata in associazioni di terrorismo, e quando rischierà il carcere finirà per emigrare ad Amburgo. Qui, stremata e sola, conoscerà Lotte, una studentessa con la quale nascerà un rapporto di amicizia che ben presto si evolverà in amore, e il tutto porterà a conseguenze tragiche quando la giovane immigrata turca verrà arrestata e rimpatriata.

Coincidenze drammatiche

Il peggior difetto del film sosta sulla sconcertante prolificità di manovre in fase di sceneggiatura (per altro inspiegabilmente premiata all'ultimo festival di Cannes). Infatti alla fine, per contorsioni del destino praticamente impossibili, le vicende dei sei protagonisti (Ali, Yeret, Nejat, Ayten, Lotte e la madre di quest'ultima) finiscono per congiungersi, e alla fine ogni personaggio troverà quello che stava cercando. Questo non ci viene mostrato, ma viene fatto palesemente intuire in un finale chiaramente destinato a certe svolte narrative. Le sei storie poi non sono tutte della stessa qualità, e solo alcune riescono a regalare quel coinvolgimento emotivo che si richiede a questo tipo di pellicole. In un primo momento il plot sembra più che riuscito, e il primo atto si svolge con una buona dose di "brio", riuscendo a inquadrare bene il comparto psicologico che riguarda il primo trio di personaggi. Il tutto perde un pò di verve, suscitando anche qualche sbadiglio, all'arrivo di Ayten in quel di Amburgo, laddove tutto comincia ad accadere per puro caso. Inolte vi è anche una sorta di predisposizione politica, e in certi punti il film sembra esser tipicamente propagandistico. La scelta di Lotte poi risulta talmente stupida da creare una sorta di antipatia nei confronti sia della ragazza, che del film stesso. L'ultimo atto ritorna invece sui livelli emozionali del primo, ma è un pò poco visto anche l'ormai prevedibile finale.

Comparto tecnico

La regia è asciutta, con una fotografia sporca che tende ad accendere più i colori cupi che quelli solari. Per altro nei momenti apparentemente più limpidi accadono proprio alcuni dei fatti più tragici della storia. Finchè rimaneva confinata ad Amburgo o comunque su suolo tedesco, si notavano scorci interessanti, inquadrature dall'indubbio talento registico, che finiscono per perdersi nelle ambientazioni turche. Basti vedere la scena dell'inseguimento per capire la poca perizia nelle scene dal sapore più tipicamente action. Le musiche poi, quasi "invisibili" per tutto il film, lasciano spazio a effetti sonori più che altro essenziali, anche se in un prodotto del genere questo non è obbligatoriamente un difetto. Le stesse prove recitative degli attori sono altalenanti, se infatti Tuncel Kurtiz (Ali) e Nursel Köse (Yeter) riescono a imprimere i propri tormenti ai loro personaggi, non si può dire lo stesso del resto del cast, incapace di imprimere i giusti turbamenti ai corrispettivi alter-ego filmici. Ma forse l'errore più grande di Ai confini del paradiso è il mancato tentativo di centrare il cuore della gente e di due culture così diverse (culturalmente) e così vicine (per motivi di integrazione) il cui rapporto qui è appena abbozzato.

Ai Confini del Paradiso Faith Akin non bissa il successo de La sposa turca, e regala una prova incolore, cercando di raccontarci due storie complementari ambientando il tutto tra Germania e Turchia. Ma non riesce mai ed entrare nel cuore dello spettatore, e le cose accadono perchè devono accadere, senza un motivo sensato. Un'occasione sprecata viste le premesse interessanti, ma sviluppate in maniera confusa e pretenziosa. Ai confini del bel cinema.

5

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