Aftersun Recensione: un film poetico, commovente e nostalgico

Disponibile su MUBI, Aftersun dell'esordiente Charlotte Wells è un ricordo elegante e delicato tradotto in opera cinematografica.

Aftersun Recensione: un film poetico, commovente e nostalgico
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È un film che respira, Aftersun. Un corpo che prende boccate di ossigeno prima di cadere a fondo, in picchiata, perché ancora insicuro nell'atto del tuffarsi. Eppure questo corpo fatto di celluloide ritorna a riva per riprendere fiato, inspira ed espira per vivere e ricordare, tornare indietro nel tempo e recuperare quella verità celata, rinnegata, modellata dalla fantasia dell'infanzia, e dalla mente di una bambina ora diventata adulta. La scozzese Charlotte Wells esordisce alla regia affidandosi a quanto di più puro e intimo esista di un viaggio fatto vent'anni prima con il proprio papà in un residence a basso costo in Turchia.

Ricordando lontanamente il Somewhere di Sofia Coppola (sapete che Sofia Coppola girerà un biopic su Priscilla Presley?), non c'è un momento in cui Aftersun pretenda con superbia di essere paragonabile, o superiore, all'opera del 2010 (anche se Aftersun è tra i migliori 10 film del 2022 per la National Board Review). È un'altra storia quella di Charlotte Wells, perché figlia di altri momenti, altri viaggi, altri padri. Nessun eccesso, ma tante privazioni: è un viaggio all'insegna della modestia, di lacune colmate dalla fantasia tipica dei bambini, e dalla gratitudine per ogni piccolo gesto, ogni piccola scoperta, Aftersun. Perfettamente in linea con l'animo dei propri protagonisti, l'intera struttura narrativa vive di sottrazione, lasciando che siano i personaggi a svelarsi da soli, e i giorni a trascorrere con calma, incustoditi in una capsula del tempo pronta a riavviarsi a ogni associazione mentale, per riprodurre, come una videocamera accesa, sprazzi di ricordi e momenti di un viaggio in cui un "a presto" può tramutarsi in un "addio".

Corpi in sospeso in perfetto disequilibrio

Se Aftersun è un corpo umano che respira e si muove con calma, quasi in punta di piedi, le sue inquadrature sono arti perennemente in movimento, che amano perdere il centro, assurgendo a simboli di una vita ordinaria per un attimo finita fuori dall'equilibrio.

E Aftersun è davvero un'opera "umana" perché improntata su un montaggio disteso, che non corre ma respira lento, a pieni polmoni, unitamente a una regia ristretta, che non ha paura di osare e superare i confini interpersonali, allestendo gallerie di primi piani e riprese leggermente più ampie per raccogliere un senso di complicità intrinseca tra i vari personaggi.
Parte dai bordi per poi spostarsi verso il centro, la regia della Wells; la sua è una macchina da presa che sposta il suo baricentro e trova un nuovo equilibrio. È un film di attimi continuamente in pausa, colti in sospeso, come in pausa e in eterna sospensione è la vita quotidiana nello spazio di una vacanza. Una messa in parentesi della memoria in cui rifugiarsi da grandi, per riassaporare un momento in cui si era felici e non lo si sapeva, con la stessa paziente nostalgia con cui si guarda un'istantanea fotografica sviluppata lentamente per poi sopravvivere in eterno.

Il dolore nello spazio del fuori campo

Essere genitore (anche in giovane età) significa anche convivere con una sorta di filtro censorio, una spinta interiore che porta a nascondere lacrime e dolori dagli occhi vispi e fragili dei propri figli. Davanti a quelle piccole parti di se stessi, i genitori si mostrano con una corazza addosso; nulla e nessuno deve scalfire quell'immagine di cavaliere indomito, o guerriera forgiata dal fuoco di mille battaglie, innestata nella fantasia dei propri figli.

E così anche Calum cela inconsciamente la parte più vera, e dolorosa di sé alla piccola Sophie. Le sigarette fumate con famelica ingordigia, e i primi segni di una depressione sempre più dilaniante, sono lasciati al fuori campo visivo della piccola. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore; eppure, quel lato così fragile e sofferente che tenta di nascondersi alla vista della figlia, cerca anche di scappare dagli occhi artificiali di una videocamera amatoriale, l'unica capace di immortalare la realtà oggettiva dei fatti. Perché in un mondo come quello umano, dove tutto viene filtrato dalla selezione naturale di una mente orientata alla felicità, ogni ricordo viene falsato, e ogni dolore più o meno rimosso. E così quello strumento sempre pronto a rivelare la vera natura del reale, come una telecamera accesa, viene adesso indagato, riguardato a oltranza non soltanto per il piacere della visione, quanto per accertarsi che nessuna lacrima sia stata impressa su pellicola, e nessun segno di sofferenza abbia intaccato il raccordo delle immagini.

Autobiografia che sa di universalità

È un film ispirato a una storia vera, Aftersun; ciononostante, la sua bellezza risiede nel fatto che quella sua natura autobiografica che tanto lo caratterizza può anche essere ignorata, che nulla muta o cambia, perché quel velo di ricordi lontani, e di maledetta nostalgia, continuerà lo stesso a vestire di una perfetta verosimiglianza e sincera credibilità l'intera opera.

Ogni immagine resta lì, ancorata al pigmento di ogni singola inquadratura dai colori sbiaditi, e dipinta da una fotografia dai sapori anni Novanta, memore di tante polaroid pronte a svilupparsi al ritmo di ricordi che riaffiorano dal buio della mente. Ma se il mondo che circonda i due protagonisti fa da indicatore temporale del periodo di appartenenza della storia (uno su tutti la colonna sonora, ricca di brani cult del tempo come "My oh my" degli Aqua, o "Tender" dei Blur) la storia personale di Calum e Sophie vive di eternità e universalità. Il rapporto intimo tra padre e figlia sconfina i limiti del tempo e dello spazio, tramutando quel momento sospeso di una vacanza all'estero, in un abbraccio stretto prima di un definitivo addio. Un saluto al sole prima che questo scompaia tra le fila dell'orizzonte, restituito con silente poesia e associazioni mentali dove il non detto, o il non mostrato, colpisce ancora più forte di mille parole.

L'essere fantasmi di un rapporto eterno

Se Aftersun è un corpo che si muove, scruta, gettandosi tra le acque di un universo che accoglie e respinge come quello della memoria, a donare a questo mondo materico di fattura autobiografica la propria anima sono soprattutto i due protagonisti Paul Mescal e l'esordiente Frankie Corio.

Nelle loro espressioni calibrate, nei loro movimenti eleganti, e a volte un po' impacciati, ma soprattutto in quegli sguardi che scrutano, cercano e si nascondono, prende forma una realtà parallela, figlia di quella realmente vissuta dalla regista, e allo stesso tempo del tutto inedita perché unica nel contesto della Settima Arte. Paul Mescal si conferma nuovamente portatore sano di un'identità maschile che non ha paura di mostrarsi fragile, a pezzi, rotta, proprio come il braccio del suo Calum. La giovane Frankie Corio dal canto suo accetta il compito di accogliere a sé tutte le insicurezze e la potenza di quell'orda di sogni e speranze pronte a essere abbattute tipiche di chi ha 11 anni. Sophie e Callum sono fantasmi e risultati di un processo catartico di esorcizzazione della perdita affidata a quel mondo magico, illusorio di falsare un ricordo per proteggerci dal dolore come il cinema. Un processo paradossale e ossimorico, dato che non vi è nulla di più obiettivo e confutante il peso di un ricordo come la sua registrazione dalla lente di una cinepresa.

Eppure, in questa eterna lotta tra una mente che cambia, e un dolore che rimane, la visione di Aftersun permane impressa come una fotografia, simbolo di un momento in cui si era veramente felici, ma al solo ripensarci veniamo gettati a fondo piscina, come corpi agonizzanti alla ricerca del sole, per poter tornare a vivere e ritornare a respirare, affannati e affamati di vita.

Aftersun Concludiamo questa recensione di Aftersun sottolineando come il film diretto da Charlotte Wells e interpretata da Paul Mescal, sia uno sguardo intimo, mai urlato, ma restituito con eleganza ed estrema calma di un viaggio tra padre e figlia nel bel mezzo degli anni Novanta. Un racconto semplice, come semplice è la vita dei due protagonisti, tradotta cinematograficamente dalla regista con fare poetico e commovente, ammantando tutto di colori sbiaditi che sanno di tante polaroid pronte a cogliere i sorrisi e nascondere i dolori.

9

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