Recensione Afterschool: Recensione del primo film di Antonio Campos

Dopo aver lavorato come sceneggiatore e aiuto regista, Antonio Campos debutta alla regia con Afterschool.

Recensione Afterschool: Recensione del primo film di Antonio Campos
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Le prime immagini che vediamo sullo schermo si alternano tra situazioni alla Paperissima e riprese di raccapriccianti fatti realmente accaduti, come l'impiccagione di Saddam Hussein. Poi passiamo ad una ragazza volgarmente insultata da colui che la sta riprendendo, il quale, però, non viene mostrato.
Soltanto in seguito, dopo aver appreso che si tratta di un sito hardcore, veniamo a conoscenza di Robert, con le fattezze dell'esordiente Ezra Miller, protagonista di questo primo lungometraggio scritto e diretto dal newyorkese classe 1983 Antonio Campos (in precedenza autore solo di shorts e documentari), il quale, infatti, puntualizza: "Oggi, più che mai, grazie al computer e ad internet, siamo capaci di assistere, nella sicurezza delle nostre mura domestiche, a degli eventi straordinari e orribili. La gente è affascinata dai video, siano essi divertenti o violenti, poiché si collocano al di fuori della propria vita ordinaria".
Protagonista che, particolarmente introverso e frequentante una prestigiosa scuola del New England, riprende per caso la morte per overdose di due compagne più grandi che conosceva a malapena, pur ammirandole per la loro bellezza, per poi trovarsi affidato dal preside il progetto di un video che le riguardi, al fine di aiutare l'elaborazione del lutto collettivo. Mentre un'atmosfera di paranoia e di malessere si diffonde tra studenti e insegnanti e il ragazzo capisce di non potersi fidare di nessuno, forse nemmeno di sé stesso.

FuoriCampos!

"Siamo costantemente sotto osservazione o perfino sotto sorveglianza: le videocamere digitali sono ormai ovunque, nei computer, così come nei cellulari e in tutti i luoghi pubblici" prosegue il regista, "Prima dell'era della tecnologia digitale, l'occhio di Dio era soltanto un'astrazione; ora, invece, una camera digitale, portata tranquillamente in tasca, può filmare in qualsisi momento qualsiasi cosa che venga condivisa con il resto del mondo".
Infatti, tra discorsi non privi di linguaggio sboccato relativi alla pornografia, la perdita della verginità, le sostanze stupefacenti e le ragazze che possono fare sesso con chiunque dove e quando vogliono, il film di Campos, che pone un occhio di riguardo su una comunità abituata a un'esistenza eccessivamente protetta e che, all'improvviso, si scontra con la morte violenta all'interno del suo stesso territorio, sembra essere soprattutto un saggio sui diversi sguardi della macchina da presa.
Una macchina da presa spesso in movimento e che manda più volte fuori quadro i soggetti, nel probabile tentativo di conferire una certa atmosfera di realismo, quasi documentaristica, ulteriormente testimoniata dall'ampio ricorso al pianosequenza e a lunghe inquadrature fisse che richiamano facilmente alla memoria il teatro.
Ma, soprattutto, una macchina da presa che, attraverso quell'ideale linea atta a dividere cosa si trova al di qua e al di là dell'obiettivo, finisce paradossalmente (???) per incarnare una delle tante forme di dualismo che tempestano la pellicola, costruita su un lento ma coinvolgente ritmo narrativo e non priva di omaggi cinefili (basterebbe citare il poster dell'horror Hatchet appeso).
Fino al non troppo chiaro epilogo di quello che, quasi accostabile a un giallo ma eccessivamente lungo (siamo quasi sulle due ore di durata), trova forse la più plausibile spiegazione nelle conclusioni di Campos: "Attraverso il personaggio di Robert, ho voluto esaminare la mia stessa fascinazione, propria di qualsiasi osservatore e documentarista. Come film maker, la mia tecnica preferita è quella di lasciare liberi gli attori di girare intere scene davanti alla camera, in un unico pianosequenza. E fare in modo che la scena, in questo suo dipanarsi, in modo quasi organico, abbia una sua autenticità, una sua perfezione nell'approcciarsi alla realtà. Mi sono reso conto che, in tal modo, si può arrivare a riprendere un momento determinante, sia questo commovente o scioccante. Il mio sogno è che lo spettatore riesca ad entrare nello spirito di Afterschool con una visione aperta e se ne allontani con una serie di interrogativi sul mondo e sulla natura di questo ragazzo".

Afterschool Una tragedia che va a compromettere la tranquillità e l’isolamento di un ragazzo corroso dalle contraddizioni esistenziali dell’adolescenza. Questo, in sostanza, è il soggetto alla base del lungometraggio d’esordio di Antonio Campos, presentato nella selezione ufficiale Un Certain Regard presso il Festival di Cannes e che, in maniera fin troppo evidente, cerca di rifarsi al cinema di Gus Van Sant. Tra sesso, droga e dualismo quale elemento cardine, ne viene fuori un prodotto forse eccessivamente lento e non troppo chiaro nella sua conclusione che, di sicuro più adatto ad una fruizione festivaliera che per una qualsiasi serata dinanzi al grande schermo, rende alquanto difficile stabilire a quale fascia di pubblico possa veramente interessare.

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