Un gruppo di cinque alpinisti, formato da Alison, Ed, Rob e dai coniugi Jenny e Alex, si prepara a un fine settimana di escursioni nelle Highlands scozzesi. Dopo aver trascorso una notte in una baita nei boschi, il team di amici si incammina per il percorso scelto, fatto prevalentemente di ripide scalate, quando ode in lontananza una sorta di lamento umano. In A lonely place to die, recatisi nei pressi del rumore per controllare, i protagonisti rinvengono un tubo di metallo con uno sbocco per l'aria e, dal terreno sottostante, sentono la voce di una bambina che chiama aiuto.
Trovano così in una cassa la piccola Anna, una ragazzina che non parla inglese e dall'accento est-europeo, e decidono di dividersi per contattare nel più breve tempo possibile le forze dell'ordine, dato l'impedimento del segnale telefonico che in quella zona impervia ed isolata non ha campo.
Alison ed Ed cercano di raggiungere il villaggio più vicino, mentre gli altri rimangono con la piccola: sarà solo l'inizio di un incubo per gli sfortunati escursionisti, ignari che Anna sia al centro di un rapimento con riscatto organizzato da una banda di spietati criminali che ora faranno di tutto per rientrare in possesso dell'ostaggio, con sei milioni di dollari ad attenderli qualora lo scambio con gli intermediari fosse eseguito con successo.
Una base solida

Da un capostipite del calibro di Un tranquillo weekend di paura (1972) in poi, i titoli ambientati in luoghi impervii, siano queste foreste o zone di montagna, hanno spesso flirtato con il cinema horror, nascondendo all'interno della base avventurosa elementi di terrore, sia torture-porn che da monster-movie. Fa piacere vedere che in alcuni casi si mantenga una maggiore attinenza al reale puntando lo sguardo narrativo su una messa in scena più old-school, così come quella proposta da A lonely place to die, produzione britannica datata 2011 in cui il gruppo di protagonisti si imbatte in una bambina rapita e deve vedersela con i sequestratori in una sfida senza esclusione di colpi. Anche l'utilizzo delle location, con il cambio dell'ultimo terzo di visione che trasporta l'azione in un contesto cittadino, dimostra una certa varietà tematica e pur non priva di palesi esagerazioni, la sceneggiatura cerca sempre di mantenere equilibrio tra l'ovvia fedeltà al genere e una verosimiglianza filmica, dando modo alla suspense di crescere progressivamente con il sempre più tortuoso e drammatico proseguo degli eventi.
Diretta da Julian Gilbey, già autore del notevole Rise of the Footsoldier (2007), e scritta dal fratello Will, la pellicola è conscia dei propri pregi e dei propri limiti, adempiendo ai canoni con una propria e peculiare idea di un cinema privo di retoriche e lungaggini.
Tutto d'un fiato

La suggestiva cornice paesaggistica, immortalata con riprese a volo d'uccello o con ansiogene soggettive attraverso la fitta boscaglia, è lo sfondo ideale per la prima metà e, grazie alla doppia difficoltà nello sfuggire agli spietati criminali mentre si affrontano dirupi o percorsi scoscesi (con rapide di un fiume incluse), si viene a creare un avvincente insieme tensivo. Il fatto che i personaggi siano poco caratterizzati è una scelta voluta che trascina immediatamente nel cuore della vicenda senza inutili perdite di tempo (e viene anche facile comprenderne il motivo, vista la rapida piega presa dal racconto) e le false piste inizialmente proposte donano un po' di varietà alla storia, destinata a percorrere un sentiero già tracciato con una fiera personalità d'intenti.
L'avvolgente colonna sonora, fatta di partiture solenni e canzoni celtiche, la resa dei conti al cardiopalma (con la partecipazione di tutte le figure secondarie, più ispirate del previsto) che avviene all'interno del festival pagano di Beltane e le ottime scelte di casting, con la bella e tosta Melissa George nel ruolo principale, confezionano un titolo solido e robusto che va dritto al sodo con la corretta efficacia, vincitore non a caso dei premi per 'Miglior Film' e 'Miglior Regista' all'Actionfest Film Festival di Asheville.