A Casa Tutti Bene, la recensione: ritorno al passato

Gabriele Muccino dimentica ciò che ha imparato negli USA e confeziona un film "nato vecchio", dal linguaggio fastidiosamene televisivo e scontato.

A Casa Tutti Bene, la recensione: ritorno al passato
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Nel 1974 Riccardo Cocciante si apprestava a far uscire un disco che sarebbe rimasto nella leggenda, inciso nella storia musicale del nostro Paese: Anima. Nell'album vi era una canzone speciale, quella che sarebbe poi diventata il primo grande successo del cantautore italo-francese, Bella Senz'Anima, un brano che - nonostante i suoi 44 anni - viene ricordato con affetto e magia ancora oggi da diverse generazioni. Un autore in particolare sembra aver fatto di questo pezzo il simbolo del suo nuovo lavoro cinematografico, in uscita nelle sale il 14 febbraio: parliamo di Gabriele Muccino e di A Casa Tutti Bene, opera corale che chiama a raccolta venti talenti del nostro cinema. Il regista romano ha ben pensato di inserire la canzone di Cocciante sia nel trailer che nel film vero e proprio, provando a immaginare una famiglia allargata che fosse per l'appunto bella in superficie ma senza alcuna anima, sempre avvezza alle distrazioni, all'egoismo e al tradimento spicciolo. Dopo una proficua parentesi americana, che ha portato alla creazione di ben quattro progetti di stampo internazionale, l'autore nostrano torna dunque in patria per rifugiarsi sull'isola di Ischia, senza però mettere a frutto nessun insegnamento appreso a Hollywood e proponendo al suo pubblico un lavoro vecchio - nella forma - di alcuni anni, una quindicina volendo quantificare a ogni costo.

Il tempo immobile

Per Gabriele Muccino infatti sembra che il tempo si sia fermato al 2001 de L'Ultimo Bacio, e purtroppo non lo diciamo con un'accezione positiva. Come un gambero, anziché guardare al cinema contemporaneo e procedere in avanti, il regista compie svariati passi indietro, rispolverando la classica forma del nucleo familiare in crisi farcito di coppie piene di problemi e picchi di fiducia fra i personaggi pari allo zero. Per comprendere meglio il discorso partiamo dalle fondamenta, dal soggetto: Alba e Pietro vogliono festeggiare le loro nozze d'oro nella loro villa di Ischia, un evento talmente importante da richiedere l'invito della loro intera famiglia, fra figli, sorelle, cugini e nipoti. Parenti che non passano una giornata insieme dalla notte dei tempi per i più svariati motivi, fra coppie saltate, impegni pressanti di lavoro, malattie e vecchi rancori. Tutti però accettano di raggiungere l'isola più o meno di buon grado, del resto si tratta di sopravvivere soltanto una mezza giornata lontani dal mondo di tutti i giorni. Peccato però che il meteo avverso, come svela il trailer, costringa tutti a rimanere sull'isola per diversi giorni, twist di sceneggiatura che obbliga tutti i personaggi a confrontarsi con la realtà e con i vari fantasmi del passato. Non andiamo oltre, anche perché non occorre: basta ripensare agli esordi di Gabriele Muccino per immaginare quali snodi possano capitare ai protagonisti.

Compiti per casa

Si assiste così a una sequela di conflitti, di tradimenti e confessioni, di baci rubati e fughe romantiche (e che importa dei figli piccoli lasciati al loro destino con nonni e zii, senza che abbiano notizie dei genitori), di amanti lontani tenuti a freno al telefono, opportunismi vari, litigate (diciamo pure sceneggiate in grande stile), urla, violenze, lacrime e canzoni degli anni '70 - come Bella Senz'Anima. Se da un lato questa struttura potrebbe incuriosire una buona parte di pubblico, a smorzare ogni entusiasmo arriva una sceneggiatura lineare, scontata, con dialoghi farciti di frasi fatte in sequenza e banalità a profusione. Tutti elementi in grado di rendere i 100 minuti di visione di A Casa Tutti Bene difficili da digerire, se non addirittura irritanti. Al netto di qualche movimento di macchina interessante, la regia mucciniana non riesce a gestire nel migliore dei modi neppure il cast, certo articolato e sfaccettato. Se Ivano Marescotti, il capofamiglia Pietro, tenta in tutti i modi di sopportare una famiglia insopportabile, portando a casa un lavoro onesto, la compagna Stefania Sandrelli si attiene troppo alle regole, recitando in maniera sterile un copione già di per sé privo di guizzi. Lo stesso possiamo dire della maggior parte del cast più giovane purtroppo, che si limita a fare "i compiti per casa" senza colorare più di tanto l'interpretazione - quando non sfocia nell'overacting.

La luce in fondo al tunnel

Bisogna però lodare qualche pedina del complesso puzzle di A Casa Tutti Bene: grazie alla sua smisurata verve e alla sua faccia tosta, Gianmarco Tognazzi riesce sicuramente a svettare dal gruppo, idem per la sua partner sullo schermo Giulia Michelini, nei panni di una rozza ma onesta ragazza di borgata.

Onore al merito anche a Claudia Gerini, in un complesso ruolo accanto a Massimo Ghini, un uomo di mezza età alle prese con un drammatico Alzheimer. L'attore romano mette a segno un'interpretazione a tratti emozionante, un faro all'uscita di un tunnel infinito. Oltre il già detto, i temi non si rinnovano ma restano pressoché immobili rispetto al già citato Ultimo Bacio o Ricordati di Me - almeno formalmente. I personaggi, seppur più grandi e cresciuti rispetto ai classici, non hanno risolto nulla della loro vita, anzi hanno commesso errori ancor più grandi, imparando poco e niente dalle esperienze. La sola "ancora di salvataggio" dell'intero progetto è un finale amaro, ambiguo, che evita di dare giudizi e abbozza qualche soluzione generica, lasciando poi a discrezione dei personaggi l'onere di affrontare la loro stessa vita. Un epilogo positivo avrebbe affossato ulteriormente un lavoro intrappolato nel passato, una corposa soap opera per la TV travestita da grande cinema, senza in realtà possederne il carattere, le sfumature e la magnificenza. Elementi appartenenti forse alle partiture originali del maestro Nicola Piovani, qui al servizio di un racconto anonimo, privo di mordente.

A Casa tutti bene Gabriele Muccino torna dunque dagli Stati Uniti lasciando oltreoceano l'aura internazionale guadagnata negli ultimi anni, barattando il tutto per un progetto poco incisivo, già visto più e più volte, con un cast sulla carta stellare ma incapace di graffiare sul serio. La sceneggiatura infatti non aiuta per nulla gli interpreti, costretti a recitare frasi fatte, banalità da soap opera e sceneggiate sopra le righe - quando non si cantano al pianoforte vecchie canzoni degli anni '70. Parliamo di brani immortali, d'accordo, senza tempo, che posizionati all'interno del film però trascinano il linguaggio e la forma verso il passato. Si ha infatti l'impressione di guardare un'opera italiana di quindici anni fa, immobile, incapace di guardare alla contemporaneità. Come se negli ultimi decenni nulla si fosse evoluto, cinema compreso. La realtà dei fatti invece vede il mondo dell'intrattenimento procedere a passo spedito, motivo per cui il cinema nostrano più televisivo sembra ormai appartenere all'era mesozoica, adatto a dinosauri che non vogliono estinguersi. Che evitano dunque l'inevitabile.

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