Recensione 99 Homes

Andrew Garfield e Michael Shannon in un intenso dramma ai tempi della crisi

Recensione 99 Homes
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Orlando, Florida. Una delle zone residenziali migliori degli Stati Uniti, sede di alcuni dei più grandi resort e parchi di divertimento del mondo intero e meta di grande richiamo per turisti e vacanzieri. Eppure la crisi è arrivata anche qui, esplicitandosi, tra le altre cose, nel dramma del crollo dei mutui, che negli ultimi anni ha costretto migliaia di persone a perdere la propria abitazione a causa di prestiti non più sostenibili. Oramai si fanno più soldi con la compravendita di immobili pignorati dalle banche che con la costruzione di nuove case, e gli agenti immobiliari specializzati nel ramo stanno vivendo un periodo di grandi, spietati, “affari”. Rick Carver (Michael Shannon) è uno di questi affaristi senza scrupoli, e uno fra i tanti disgraziati che si ritrova a dover sfrattare è un giovane padre single con madre e figlioletto a carico, Daniel Nash (Andrew Garfield), che si ritrova nella spiacevole condizione di dover lavorare per lo stesso Carver per avere una speranza di poter riconquistare una vita dignitosa...

Mors tua vita mea

Daniel, difatti, è un onesto operaio, grande lavoratore versato in tutti i campi dell'edilizia, ma non trova ingaggi da parecchio tempo e l'aver perso la casa di famiglia non ha fatto altro che peggiorare il suo già precario equilibrio, considerando anche che deve portare avanti una famiglia. L'unica soluzione sarebbe quella di accettare la proposta di Carver di lavorare per lui: dapprima come operaio, e successivamente, dato che Danny si dimostra più sveglio del previsto, come assistente. Il giovane uomo risolleva ben presto la propria situazione finanziaria, ma a caro prezzo: da agnello si è trasformato in lupo, e non è sicuro che sia proprio quello che desiderava.
Ramin Bahrani, classe 1975, appare come un fulmine a ciel sereno nel firmamento di Venezia 71 con il suo 99 Homes, film drammatico denso di difficili scelte morali. Una volta messi alle strette, bisogna soccombere o essere pronti a tutto pur di non morire... compreso fare un patto col diavolo? Questo il dilemma alla base della pellicola, che ci cala (anche tramite un sapiente uso delle inquadrature) nei panni di un uomo come tanti, suo malgrado alle prese con la giungla del settore immobiliare. Lasciato in costante sottofondo il dramma umano, il contesto del film ricorda, per certi versi, altre opere in cui un giovane intraprende una carriera importante scontrandosi con le asperità, le falsità e le ingiustizie del sistema sotto la guida di un ambiguo mentore: i due Wall Street, Le idi di marzo, L'avvocato del diavolo... la differenza, però, sta nel fatto che Daniel si è trovato praticamente costretto dalla sua situazione a diventare un predatore di suoi simili, non è quello che vorrebbe fare, e il dilemma arriverà soltanto dopo...

“Le case sono solo scatole”

Bahrani è molto bravo a creare e mantenere un'atmosfera di continuo pathos, in empatia con il protagonista e al contempo mostrarci, senza troppi pietismi ma in maniera sempre cruda e convincente, anche il dramma umano di tante altre persone nelle condizioni di Daniel, e allo stesso tempo la misurata freddezza degli operatori immobiliari e della polizia, “costretta” ad essere spietata nell'adempiere quanto previsto dalla legge. Ottima la rappresentazione dei due protagonisti, da un lato un Garfield (barbuto per l'occasione per ovviare al fatto che qui ha già un bimbo in età scolare mentre pochi mesi fa lo abbiamo visto ancora liceale nei panni di Spider-Man) convincente nella sua determinazione e al contempo nella sua umanità, e dall'altro uno statuario Shannon, sempre all'altezza in ruoli come questi (del resto era, con tutta probabilità, la cosa migliore de L'Uomo d'Acciaio) che rende perfettamente l'idea di un uomo votato alla causa utilitaristica: del resto, se decide di “aiutare” Daniel offrendogli un lavoro non lo fa per solidarietà, ma solo perché riconosce in lui doti che può sfruttare a suo vantaggio.

99 Homes Il concorso di Venezia 71 viene scosso, a sorpresa, dal nuovo film di Ramin Bahrani, un intenso dramma sulla crisi e sulle scelte che può costringerci a fare: fin dove saremmo disposti a spingerci per assicurare il benessere dei nostri cari? La pellicola convince soprattutto nei suoi primi due terzi, costruendo un contesto credibile e denso di un'atmosfera opprimente che, suo malgrado, coinvolge. Peccato per la parte finale, nella quale si poteva osare di più, magari utilizzando diversamente il personaggio (abbastanza odioso e poco sviluppato) della madre del protagonista, Lynn, interpretato da una pur brava -ma sottosfruttata- Laura Dern.

7

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