Recensione 7 km da Gerusalemme: Recensione del film con Luca Ward

Dopo una carriera di grande successo come doppiatore, Luca Ward esordisce al cinema con 7 KM da Gerusalemme.

Recensione 7 km da Gerusalemme: Recensione del film con Luca Ward
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Il dialogo con Dio è qualcosa a cui l'uomo ambisce sin da quando ha iniziato ad avere coscienza di sé e della propria vita, e quindi del suo termine. Qualunque film punti a trattare questo tema parte in un qualche modo privilegiato, e allo stesso tempo rischia le critiche peggiori. Questo perché, volenti o nolenti, siamo tutti suscettibili di fronte a questo tema. Ognuno di noi, ateo o credente, agnostico o praticante, non può non rimanere sconvolto da una tale prospettiva, e ognuno di noi non può non applicare la sua personale visione di ciò che un dialogo con Dio dovrebbe essere.

Alessandro Forte (Luca Ward) è un uomo psicologicamente provato, ha perso famiglia e affetti e versa in una situazione economica precaria. E' un pubblicitario, e vive per il suo lavoro. Tre mesi prima, a Torino, aveva avuto un incidente da cui era miracolosamente rimasto illeso; rialzandosi dall'asfalto una zingara gli aveva porto una busta contenente un biglietto per Israele, affermando di avergliela vista cadere nell'impatto. 7 km da Gerusalemme inizia con l'immagine di Alessandro che cammina solitario nella strada che da Gerusalemme porta ad Emmaus. Dopo poco a lui si affianca uno strano personaggio, dai tratti inconfondibili. Alessandro si ferma, lo osserva, gli chiede di presentarsi. L'uomo afferma di essere Gesù (Alessandro Etrusco), e lo dice in italiano. Alessandro, dopo un rapido scambio di battute, incuriosito dalla strana familiarità che "il Gesù" ha con lui, lo liquida lapidariamente prendendolo per un artista di strada. Ma Gesù lo chiama per nome, e Alessandro ha un sussulto "Se sei davvero chi dici di essere, dimostramelo, fammi vedere mia madre morta".

Un Gesù che beve la Coca Cola

7 km da Gerusalemme è un film che punta in alto, proponendo una visione di Cristo/Gesù universale, slegata da ogni contesto temporale e/o teologico, e per questo decisamente coraggiosa. E' un film che mira innanzitutto a sondare il rapporto intimo di un essere umano con la fede intesa come proprio personalissimo rapporto con Dio. Non "La Fede Cristiana", o "La Fede Islamica", ma "La Fede" in quanto tale. Si potrebbe allora muovere una critica sulle sembianze assunte dal profeta nel film, palesemente ispirate all'iconografia Cristiana ispirata dalla Sacra Sindone (è risaputo che duemila anni fa un bimbo nato a Betlemme tutto avrebbe potuto essere fuorché bianco con gl'occhi azzurri e i capelli lisci). Ma il Gesù precisa che l'immagine da lui assunta per mostrarsi ad Alessandro è puramente funzionale, un mezzo per aiutare Alessandro ad associarlo con ciò che esso rappresenta: "A Calcutta" afferma Gesù "Probabilmente mi sarei fatto vedere con sembianze differenti". Egli inoltre non si proclama mai come il Messia, o Cristo, ma semplicemente come profeta. Di fronte alle critiche mosse da Alessandro riguardo all'operato delle "sue istituzioni" Gesù spiega che non è sua intenzione giustificare chi l'ha rappresentato in questi anni ("Si sono avvicendati molti uomini e sono stati commessi degli errori"), ne le istituzioni religiose che ne hanno fatto oggetto di culto ("Il sistema è vecchio e scricchiola"). E' un Gesù a 360 gradi, giudice imparziale di tutti ma soprattutto di tutto, incredibilmente potente nel suo essere incredibilmente super partes (e quindi probabilmente fastidioso ad alcuni). Forse il miglior Gesù mai apparso su cellulosa.
I dialoghi con Alessandro possono apparire inizialmente surreali, ma ciò è in parte dovuto alla grande immedesimazione che lo spettatore ha con il personaggio, proprio perché, come è stato detto in precedenza, ognuno di noi ha una sua personalissima visione di ciò che un dialogo con Dio dovrebbe essere. Ma se si progredisce con il personaggio di Ward, insieme a lui si riesce a superare lo scoglio iniziale di diffidenza, immergendosi infine totalmente nell'esperienza del protagonista. Si rimane di stucco di fronte all'incontro che Forte ha con la madre defunta, in perfetta antitesi con ciò che la cultura religiosa e popolare ci hanno inculcato nella testa: al posto dei "Ti guardo sempre da lassù e veglio su di te" troviamo un laconico e quasi allucinato "Hai ancora quella poltrona tanto comoda?". Così come noi ci domandiamo cosa mai abbia voluto dire la madre con quel criptico messaggio, così Alessandro si scaglia contro Gesù, manifestando lo sdegno avuto per una tale esperienza. Ma Gesù gli spiega che non tutto è come logica vorrebbe che fosse, che ciò che alla nostra coscienza appare scontato e aprioristico dopo la morte non lo è più (citazione all'incontro di Dante con Beatrice alla cima del Purgatorio).
Le domande che Alessandro porge a Gesù sono senza dubbio le più realistiche e antipretenziose. Si va dai misteri delle Madonnine che lacrimano sangue, all'autenticità della Sindone. Nessun grande interrogativo esistenziale, solo i piccoli grandi dubbi di tutti i giorni, che tutti noi, almeno una volta nella vita, non abbiamo potuto fare a meno di porci. Domande umane dunque, e risposte che forse lo sono ancora di più. Gesù è universalmente riconosciuto come il più grande comunicatore di tutti i tempi, e parte di questa grandezza è dovuta al fatto che ciò che lui diceva risultava estremamente immediato, tanto da poter essere facilmente compreso anche dai bambini, eppure al contempo così profondo da confondere gli adulti ("Le mie risposte sono spesso state comprese dai bambini, e fraintese dagli adulti"). L'aspetto umano e attuale di Gesù viaggia quindi di pari passo con la sua aura divina, dicendo ciò che direbbe un dio, ma con parole di un uomo. Vale la pena citare la domanda di Forte che meglio ha trasmesso lo spirito di questo Gesù:
-Perché non ti manifesti al mondo come hai fatto con me?
-E come? In mondo visione? O magari prima di un concerto rock...
Senza dubbio il miglior Gesù mai visto su film.

Se dal punto di vista dei contenuti 7 km da Gerusalemme fa un lavoro egregio, lo stesso non si può purtroppo dire di parte del suo cast. Haber, nei panni dell'occidentale folgorato che si trasferisce vita natural durante a Gerusalemme, interpreta una parte che mal gli si addice; era forse intenzione del regista giocare proprio con il suo aspetto da figliol prodigo, ma il risultato è scarso, e quella ottenuta è una performance che non è ne carne ne pesce. Peggior discorso per la recitazione di Rosalinda Celentano nei panni di una malata terminale, la cui recitazione ed espressività vocale rasentano lo zero assoluto (non giusitifcabili nemmeno in una persona che versi in disperate condizioni di salute). Luca Ward è al suo debutto cinematografico, e si vede; tuttavia dà il meglio di se, raggiungendo picchi di recitazione più che buoni, merito anche della maestria con cui sa usare la sua voce (è, come noto, apprezzatissimo doppiatore di miti del cinema come Keanu Reeves e Russell Crowe). Un attore con più esperienza forse avrebbe potuto fare qualcosa in più, soprattutto per quanto riguarda la dimensione psicologica e le reazioni tra i vari incontri con Gesù, punto in cui Ward non centra del tutto il bersaglio. Non dispiacerà comunque ritrovarlo nuovamente sul grande schermo. Menzione d'onore va invece a Monica Ward, anche lei doppiatrice professionista, relegata ad un ruolo di qualche minuto come madre che ha perduto la figlia; il suo dialogo con Alessandro al ritorno da Gerusalemme è senza dubbio uno dei migliori di tutto il film. Davvero un peccato che la sua sia stata un'apparizione così breve.
Regia e sceneggiatura compiono bene il loro dovere, creando un film non eccessivamente verboso, ma che fa del parlato la sua arma migliore. Le critiche da esso mosse verso alcuni aspetti dei temi trattati ci sono e si sentono; tuttavia non si scende mai nel particolare, nel "chi, quando, dove e perché", lasciando il suo messaggio aperto a molteplici letture, ma senza mai scadere nel qualunquismo. Una prova di merito per Malaponti.

7 km da Gerusalemme Un film ispirato, che dà voce ad un Gesù che parla italiano. In tutti i sensi. Ottimi i contenuti, un po’ meno alcune interpretazioni, ma nel complesso gradevole a occhi e orecchie. Gran lavoro di Malaponti, che dimostra cosa ancora ha di buono il cinema italiano da offrire.

7.5

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