Recensione 5 (Cinque)

Il 'fumetto criminale' di Francesco Maria Domenidò

Recensione 5 (Cinque)
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Liberamente ispirato a una storia vera, Cinque di Francesco Maria Dominedò arriva nelle sale italiane (per ora in sole sette copie) e già si prepara ad essere soprannominato come il ‘Romanzo criminale de noantri'. Anche se, a dire il vero, a parte l'ambientazione romana e il quintetto di ragazzi alla prese con la malavita di strada, i due film hanno ben poco da spartire. Cinque, un numero scelto in virtù del suo richiamare la coesione delle cinque dita della mano (salde insieme e inseparabili come i cinque protagonisti), vorrebbe in effetti essere più che altro la caricatura dei film del genere crime metropolitano, e porsi dunque al di sopra (o al di sotto) delle suddette storie, rappresentando i protagonisti come vere e proprie parodie dei loro potenziali alter ego ‘seriosi'. Per realizzare questo film indipendente a basso budget (solo 350mila euro), che non ha ricevuto alcun contributo statale (come ci tiene a precisare il regista) Dominedò si è rivolto a una rosa di attori che includono il ‘televisivo' Matteo Branciamore de I Cesaroni, l'isolana Giada de Blanck (nei panni di un'improbabile spogliarellista russa), l'ex tronista Francesco Arca, l'Alessandro Borghi visto in Distretto di Polizia 6, e molti altri volti più o meno noti del panorama teatrale, televisivo e cinematografico.

La storia de i Cinque

Manolo (Matteo Branciamore), Gianni (Stefano Sammarco), Luigi (Christian Marazziti), Fabrizio (Alessandro Tersigni) ed Emiliano (Alessandro Borghi), si conoscono (adolescenti) in riformatorio dove sono finiti perché già piegati alla dura legge della periferia (in questo caso quella del Quarticciolo di Roma). All'interno del riformatorio i ragazzi conosceranno precocemente alcuni orrori della (mala)vita mentre Emiliano subirà un'atroce violenza che lo segnerà per la vita ma che verrà, tempestivamente, vendicata dal gruppo di amici. Da quel momento l'unità del gruppo sarà suggellata dal cosiddetto ‘patto di sangue': loro cinque saranno per sempre inseparabili come le dita di una mano. Anni dopo, divenuti adulti e determinati a dare una decisiva svolta alla grigia vita di mala-periferia, i cinque amici organizzeranno ‘il grande colpo': grazie alla soffiata di una amico riusciranno infatti a svaligiare un portavalori contenente ben cinque milioni di euro e una misteriosa valigetta apparentemente impossibile da aprire. Nell'attuazione del colpo, però, qualcosa andrà storto e ci scapperà anche il morto a complicare le cose. A questo punto, ancora non soddisfatti di avere un milione d'euro a cranio, i cinque andranno avanti e metteranno in piedi un rischioso traffico di droga tra Spagna e Italia che li farà impigliare sempre più nella fatale rete delle tre fatali d: denaro, donne e droghe. Un mondo tanto ammaliante quanto effimero dal quale è sempre molto difficile tornare, vivi, alla realtà.

Realtà o fumetto?

L'interessante idea dei personaggi fumetto che avrebbe in effetti potuto giustificare una trama non troppo rigorosa (come risulta essere quella di Cinque), non è coltivata fino in fondo e, vedendo il film, l'impressione non è quella di un prodotto oculatamente 'caricaturizzato' ma piuttosto di un film serio non troppo riuscito con qualche svista di troppo. Qualcosa, di fatto, a metà strada tra il realismo e il fumetto, in cui spicca una fotografia 'stilizzata' estremamente satura di giallo in esterni, sullo sfondo della quale si muovono questi Cinque ragazzi, ognuno a rappresentanza di una precisa classe comportamentale (lo schizzato, il buontempone, il timido, l'ingenuo) impigliati tra la verosimiglianza del contesto e l'inattendibilità narrativa delle loro azioni. Un mix che a lungo andare genera una sorta di caos, acuito dalle incisive digressioni in contesti stranianti che deviano troppo rispetto al ‘racconto criminale portante' (la tavolata napoletana in contesto romano, l'ampio spazio dedicato ai locali di lap-dance, la commistione tra russi, spagnoli e perfino rumeni che parlano napoletano di un'ironia - se tale - difficile da contestualizzare) raccordati da una voce fuori campo (romanesca) che appare e scompare a singhiozzo, e che si basano su un'ironia di non facile fruibilità, spesso fino a sé stessa (come i super-geniale-hacker che gira con una busta di cartone in testa). Peccato, perché va riconosciuta all'operazione filmica in generale, una sostanziale onestà artistica.

5 (Cinque) Francesco Maria Dominedò firma con Cinque la sua opera prima, rivisitazione in chiave di ‘fumetto’ di uno dei tanti ‘Romanzi criminali’ che affollano le periferie di ogni metropoli che si rispetti. Una pletora di attori chiamati a recitare in questa multiculturale storia che prende le mosse dalla periferia romana del Quarticciolo per poi abbracciare rumeni, russi, spagnoli con una libertà narrativa unita a una particolare ironia che non sempre funzionano a dovere, anche a causa di uno script con qualche buco di troppo che non giova alla generale fluidità (e comprensibilità) dell’opera prima di Dominedò.

5.5

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