22 luglio, la recensione del film originale Netflix

Il 22 luglio 2011 Anders Behring Breivik compie due sanguinosi attentati in Norvegia, uccidendo decine di giovani sull'isola di Utoya.

22 luglio, la recensione del film originale Netflix
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Norvegia, 22 luglio 2011. Alle ore 15.25 il quartier generale del governo a Oslo è vittima di un attentato dinamitardo nel quale rimangono uccise otto persone e ferite molte altre. L'esecutore del crimine è Anders Behring Breivik, simpatizzante dell'estrema destra norvegese, che ha organizzato tutto nei minimi dettagli e, sfruttando la successiva situazione di panico e caos nell'intero Paese, ha modo di mettere in atto una carneficina ancora più sanguinosa.
Il neo-nazista infatti, spacciandosi come poliziotto, si reca sulla piccola isola di Utoya, dove sta avendo luogo un raduno di ragazzi organizzato dalla Lega dei Giovani Lavoratori, l'ala giovanile del Partito Laburista Norvegese, e armato di tutto punto inizia la sua strage. Impreparati a rispondere all'attacco, gli adolescenti cadono uno dopo l'altro, almeno fino all'arrivo delle forze speciali che mettono fine alla tragica mattanza, che alla fine conterà quasi 70 morti e decine e decine di feriti. Si dà così il via al processo più atteso di sempre, nella Nazione.

Tra schermo e realtà

La carriera di Paul Greengrass ha sempre giocato sul sottile filo tra realtà e finzione, imprimendo la sua anima più ludica solo alle scorribande di Jason Bourne, avendone diretto i tre sequel dell'originale dando inizio a un'estetica action di raro impatto nel cinema hollywoodiano moderno.
La saga con protagonista Matt Damon (con cui ha collaborato anche nel sottovalutato Green Zone del 2010) rappresenta una sorta di unicuum nella filmografia del regista, che solitamente si è attaccato con forza alla verosimiglianza della messa in scena, adattando storie realmente accadute, più o meno tragiche, per il grande schermo.
Dall'eroico sacrificio dei passeggeri del volo United 93 (2006) fino alla tesa epopea vissuta dal personaggio di Tom Hanks in Captain Phillips - Attacco in mare aperto (2013), Greengrass ha preso ispirazione da eventi nei quali l'umanità, nelle sue forme più cruciali e dolenti, veniva spesso alla luce quale reale protagonista. Stessa strada seguita dal suo ultimo e atteso lavoro, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2018 e ora disponibile su Netflix come produzione originale, che adatta il romanzo One of Us: The Story of a Massacre in Norway — and Its Aftermath di Asne Seierstad, giornalista freelance che ha raccontato il prima, il durante e il dopo inerenti il sanguinoso attentato compiuto nell'estate di sette anni fa dal terrorista di estrema destra Anders Behring Breivik, costato la vita nelle sue due fasi a settantasette persone, più centinaia di feriti.

Mostri e vittime

La via intrapresa dal regista è quella di una messa in scena sobria e ragionata che rifugge volontariamente la mera retorica o qualsiasi impatto spettacolare di sorta (che d'altronde sarebbe stato fuori luogo) per concentrarsi sulla semplice riproposizione dei fatti per come avvenuti.
Una scelta senza dubbio onesta ma che, proprio nella sua attenzione al realismo, rischia ben presto di condurre a un'inesorabile monotonia e l'eccessiva durata, di oltre due ore e venti minuti, non fa che confermare quest'impressione. La schematica narrazione si rivela così sia un pregio che un difetto, impedendo al cuore della vicenda di emergere con la necessaria potenza e obbligando lo spettatore a generare egli stesso uno slancio empatico nei confronti delle vittime, qui impersonificate metaforicamente nella figura di Viljar Hanssen, adolescente rimasto gravemente ferito durante l'attentato sull'isola di Utoya, del quale ci viene mostrato il lungo e doloroso percorso di riabilitazione.
A questi si alterna principalmente la trafila carceraria e processuale del villain, quel Breivik che si dimostra lucido e inquietante quanto basta grazie all'ottima, trattenuta performance di Anders Danielsen Lie, capace di dar vita nel migliore dei modi allo spietato assassino di estrema destra.

Modi e tempi

La prima parte, con la messa in atto dei due correlati attentati, quello dinamitardo di fronte alla sede governativa di Oslo e la susseguente carneficina perpetrata sull'isoletta di Utoya, è quella a maggior tasso tensivo e in particolare la seconda, con il massacro di tante giovani vite, è intrisa di una violenza brutale e necessaria che trasporta nitidamente nell'orrore di quel giorno. 22 luglio non risparmia infatti il sangue nel mostrare le strazianti ferite e uccisioni, così come nel complesso recupero psicologico del personaggio di Viljar, unico totem emotivo dell'intera visione.
Il dolore dei parenti delle vittime e le risposte politiche da parte del Primo Ministro vengono così portati in secondo piano, lasciando al centro dell'opera il rapporto/contrasto a distanza tra l'adolescente traumatizzato (con molte sequenze nelle quali è protagonista in cui le inquadrature appaiono chiaramente instabili e "ballerine", per ampliare il senso di spaesamento) e il crudele assassino, con un epilogo misto rispettivamente tra speranza e condanna.
Un film che valorizza i propri meriti in una rappresentazione rispettosa e decorosa di quanto accaduto ma, consciamente, si dilunga in un'eccessiva verbosità che, priva ovviamente di colpi di scena e con una verità conosciuta dal pubblico grazie all'ampia copertura giornalistica a riguardo, rischia di stancare se approcciata sotto un'ottica sbagliata.

22 luglio Paul Greengrass ripercorre il prima, il durante e il dopo di quanto accaduto in Norvegia il 22 luglio 2011, giorno in cui il simpatizzante di estrema destra Anders Behring Breivik ha compiuto un doppio attentato nel quale persero la vita quasi ottanta innocenti, con il contemporaneo ferimento di centinaia. Il massacro di Utoya domina la prima mezz'ora di visione, con una tensione palpabile nell'attesa e nella (relativa breve) messa in atto della carneficina, lasciando poi spazio alla lunga fase processuale alla quale si alterna il percorso di riabilitazione di una delle giovani vittime. Proprio sul dualismo tra l'adolescente traumatizzato e lo spietato killer si gioca l'anima dell'operazione, e le interpretazioni del cast si rivelano efficaci al punto giusto, ma la narrazione si premura più di resocontare in forma lucida e rispettosa quanto tragicamente avvenuto che di offrire uno sguardo emozionale di maggior respiro: una scelta certamente condivisibile che però demitizza il mezzo filmico di una necessaria presa sullo spettatore, il quale dovrà affrontare una certa monotonia per arrivare alla fine delle due ore e venti di visione.

6

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