12 agosto 1945. Mentre i notiziari annunciano lo sgancio delle due bombe atomiche sul Giappone e l'imminente fine della Seconda Guerra Mondiale, in un piccolo paesino ungherese tutto è pronto per celebrare un atteso matrimonio.
István Szentes, segretario comunale e personalità più influente del posto, non aspetta altro che vedere il figlio Arpad, un ragazzo timido e gentile, convolare a nozze con la bella Kisrózsi, la quale però cova ancora dei sentimenti verso il suo ex fidanzato, da poco tornato in città.
Mentre i preparativi per le feste procedono di gran fretta, in un'atmosfera di generale allegria, l'arrivo nella piccola stazione locale di due individui getta un'ombra sull'intero villaggio. I due uomini appena giunti infatti sono ebrei, che portano con loro delle casse contenenti profumi: una serie di scomodi segreti risalenti a diversi anni prima rischia ora di venire alla luce.
Un mondo nuovo
Alla base vi è il romanzo di Gábor T. Szántó, che ha collaborato anche in fase di sceneggiatura, ma 1945 guarda a una lunga tradizione di un certo cinema europeo nel modo tramite il quale sfrutta il conflitto per raccontare altro. Qui la Seconda Guerra Mondiale è infatti un semplice sottofondo, con la sola presenza del piccolo reggimento russo a presidiare il villaggio che testimonia alcune dinamiche legate al conflitto.
Il pretesto è sfruttato in maniera piacevolmente subdola per mettere in mostra tutti i mali del mondo, racchiusi qui in un microcosmo apparentemente disincantato e "fuori da tutto", che si riscopre a fare i conti con il proprio rimosso quando gli spettri del passato fanno infine ritorno.
Spettri che rivivono nelle figure dei due silenziosi ebrei ortodossi, giunti in città per uno scopo ben preciso che - come ovvio che sia ai fini narrativi - resta misterioso fino all'ultimo terzo di visione: il complementare ricorso al MacGuffin, con il mistero che riguarda il reale contenuto delle casse, aggiunge ulteriore pepe e curiosità.
Figli di Caino
Ferenc Török, regista dalla lunga carriera cominciata agli inizi del nuovo millennio con il premiato Moscow Square (2001), firma probabilmente il suo miglior film, con evidenti influenze da suoi connazionali del calibro di Béla Tarr e László Nemes.
Qui lo stile è meno dilatato e privo di lunghi piano-sequenza come nelle opere dei due citati colleghi, ma la scelta del bianco e nero e una maniacale cura per la fotografia - sia nelle scene in interno che nei campi larghi - si approcciano a un determinato tipo di cinema, nel quale l'attenzione per le immagini viaggia di pari passo con l'intensità narrativa. Allo stesso modo il sonoro, con i rumori ambientali in primissimo piano, immerge totalmente all'interno di una vicenda che diventa sempre più grottesca e torbida con lo scorrere dei minuti.
Il senso di cortocircuito dato dall'evento clou di inizio visione diventa progressivamente più incalzante e mette a nudo il lato peggiore degli individui, pronti a tutto pur di proteggere e preservare quanto ottenuto con l'inganno e l'infamia.
Come a sottolineare che non solo sul campo di battaglia si può assistere alle più infide atrocità, ma anche tra le case di un paesino soltanto apparentemente schivato dagli echi del conflitto.

L'ironia nera qui è sempre schiava di un dramma latente e la tensione psicologica avvolge ben presto la storia e i personaggi in un circolo senza vie di fuga, con un epilogo che si tinge di note catartiche e quel tuono finale che sa tanto di giudizio divino.
1945 si svolge nell'arco di una giornata e i novanta minuti di visione sanno come gestire l'asse tempistico e ritmico, senza tempi morti e passaggi inutili, dando il giusto spazio a tutte le numerose figure coinvolte e creando un'ambientazione credibile, proprio nella sua verosimiglianza ancora più spaventosa.