12 Soldiers, la recensione: dodici uomini in guerra con l'Afghanistan

Dodici uomini, appartenenti all'unità speciale Alpha 595, si ritrovano da soli contro la minaccia talebana in Afghanistan dopo l'11 settembre 2001.

12 Soldiers, la recensione: dodici uomini in guerra con l'Afghanistan
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L'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001 ha cambiato profondamente il volto degli Stati Uniti, ma non solo. Quel singolo evento ha innescato una reazione a catena di episodi di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze, come l'ISIS per esempio, nato in seguito alla profonda instabilità creatasi in medio oriente qualche anno dopo l'attentato.
La caduta delle torri ha infatti spinto, subito dopo, gli americani sino in Afghanistan, terra da liberare dai radicali talebani di Al Qaida - responsabili dell'accaduto. Di storie legate alla guerra in questione ne esistono a migliaia, Nicolai Fuglsig però ne racconta una soltanto, epica, memorabile, in mano a pochi uomini (i primi a giungere in territorio afgano) e in grado di cambiare in positivo (per gli USA) il conflitto.
Come si intuisce dal titolo 12 Soldiers (ancor più sanguigno l'originale 12 Strong), seguiamo da vicino la missione dell'unità speciale Alpha 595, formata da appena dodici uomini e con un compito ben preciso: liberare una lingua di terra chiave per la dominazione della zona, ora in mano ai talebani armati fino ai denti.

Alla ricerca dell'umanità

Nelle loro roccaforti, i nemici giurati degli USA hanno infatti carri armati, lanciamissili a lunga gittata, ogni ben di Dio bellico e almeno 50.000 uomini su cui fare affidamento, in aggiunta a una determinazione e a una violenza sfrenata che non guarda in faccia a nessuno. I dodici soldati dell'Alpha 595 sono invece soli, in una terra ostile, straniera e sconosciuta.
La loro unica ancora di salvezza iniziale si chiama Abdul Rashid Dostum, un generale del posto che ha a cuore - come gli americani - la liberazione dell'Afghanistan dalla minaccia talebana, che senza troppi scrupoli ha devastato e saccheggiato intere città, uccidendo anche donne e bambini e creando sacche di resistenza. In guerra però tutto è lecito, le spie si nascondono in ogni angolo, il primo impatto fra americani e ribelli è infatti duro, spigoloso, nessuno si fida ciecamente dell'altro, ma non vi è altra via se non quella della collaborazione.
Ha così inizio un processo di scoperta umana che andrà avanti per tutta la durata del film, in parte utile a capire come due popoli, due culture profondamente diverse, abbiano in realtà dei punti di contatto. Non esistono però solo il bianco o il nero, i colori si spaccano in infinite sfumature: le stesse fazioni ribelli sono spesso in guerra fra loro, per la felicità talebana, segno inequivocabile di una spaccatura dolorosa che ha segnato un'intera generazione - e ancora una volta la ricerca dell'umanità sarà la chiave di volta del futuro afgano.
Questo è soltanto uno dei temi di 12 Soldiers, ma non il principale: come ogni buona produzione patriottica di stampo americano, il film prodotto da Jerry Bruckheimer vuole prima di tutto mostrare di cosa sono capaci i soldati US in zone di guerra, ovvero fregiarsi di eroismo, aiutare chi è in difficoltà e trionfare - ovviamente. Lo spettacolo e la patria prima di tutto.

Peccare d'originalità

12 Soldiers è infatti un progetto che non brilla particolarmente per originalità del racconto e della messa in scena: tutto avviene in modo abbastanza lineare, fra scene prevedibili e dialoghi di una semplicità disarmante. L'impianto generale è didascalico all'estremo, con classiche inquadrature alla bandiera issata, banali promesse fra mogli e soldati, una costante retorica di fondo che tiene il lungometraggio su binari per precisi.
Due però sono i punti di forza del film: la potenza della storia vera che sta alla base di tutto e i suoi personaggi. Non si fatica molto per entrare in empatia con i protagonisti, soldati per alcuni versi anche impreparati ad affrontare una missione di tale calibro.
Il loro vero sacrifico è nel sapersi adattare in ogni situazione, pronti ad affrontare una guerra senza volto in "tempo reale", senza tatticismi e aiuti "da casa". Non parliamo di superuomini indistruttibili, come avremmo fatto negli anni '80, ma di persone che combattono con il cuore con un solo scopo: tornare a casa trionfanti, in qualunque modo si mettano le cose.
La vera storia dell'unità speciale Alpha 595 ha poi dell'incredibile, certamente ammantata da un pizzico di fondamentale fortuna, ma comunque intrisa di autentica umanità - che travalica persino il patriottismo.

Al netto dunque di una prima e un'ultima parte senza mordente, che sanno terribilmente di "già visto", Nicolai Fuglsig riesce comunque - nella parte centrale - a costruire scene d'azione in grado di far presa sul pubblico - lanciato allo sbaraglio al confine nemico insieme ai soldati protagonisti.
Ogni assalto è un'incognita, non si sa mai contro cosa si sta combattendo, contro quanti guerriglieri, di conseguenza i vari esiti sono tutt'altro che scontati.

La cavalleria

A salvare "capra e cavoli" arriva poi la vera cavalleria, quella formata da attori di razza che sanno esattamente come muoversi sulla scena. Su tutti Chris Hemsworth, un capitano Mitch Nelson convinto di essere un condottiero pur non avendo poi troppa esperienza sul campo, che finisce con umiltà a imparare da ogni singolo errore. Sicuramente più navigato di lui è il sottufficiale Hal Spencer, un Michael Shannon non in stato di grazia ma comunque incisivo.
Buona prova anche per gli interpreti "secondari", da Michael Pena a Navid Negahban, un generale Dostum sempre imperscrutabile, glaciale e ambiguo, prima di far cadere la maschera nelle battute finali. Completa il quadro generale un'ambientazione spoglia, arida, che ben traduce il senso di estraniamento dei soldati piombati in terra straniera; la lunga lingua di terra teatro dei combattimenti finali poteva forse esser sfruttata meglio, ma è tardi per cambiare le cose.

12 Soldiers Nonostante la storia epica alla base, realmente accaduta e raccontata in Horse Soldiers da Doug Stanton, il regista Nicolai Fuglsig finisce per inciampare nel patriottismo americano spicciolo. 12 Soldiers appare didascalico in più punti, salvandosi "in calcio d'angolo" grazie a una parte centrale in grado di catturare l'attenzione e a un cast di alto livello. Le scene d'azione, seppur confusionarie, dipingono abbastanza bene l'inferno che dev'essere stato l'Afghanistan post 11 settembre 2001 in mano ai talebani. Oltre agli spari, fra le righe di sceneggiatura, fa capolino anche una ricerca dell'umanità fra americani e afgani ribelli, facce opposte della stessa medaglia che condividono un fine comune. Un aspetto poco approfondito che lascia spazio a bandiere sventolanti e mani sul cuore.

6

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