Il fatto che in qualità di produttori esecutivi dell'operazione figurino gli stessi Matt Reeves e Drew Goddard rispettivamente regista e sceneggiatore del Cloverfield prodotto nel 2008 dallo stesso J.J. Abrahms che già figurò in quel caso come finanziatore, suggerisce immediatamente che la oltre ora e quaranta di visione in questione sia in qualche modo legata a quel sorprendente monster movie interessato a guardare al filone giapponese dei kaiju eiga per trasferirlo in terra americana attraverso l'ottica del found footage.
E le cose, magari, stanno proprio così, ma, senza anticipare nulla ed evitando di rivelare se si tratti di un sequel, un reboot o uno spin off, è bene precisare subito che 10 Cloverfield Lane si distacca completamente dallo stile e dalle caratteristiche su cui poggiò il film reevesiano, in quanto Dan Trachtenberg - al suo esordio nella regia di un lungometraggio - abbandona del tutto gli stilemi del falso documentario e la macchina da presa in continuo movimento da effetto mal di mare per concepire, invece, un prodotto cinematografico d'impostazione classica.
Senza lasciare Trachtenberg
Prodotto cinematografico che, in maniera decisamente semplice, prende il via dal momento in cui la giovane Michelle alias Mary Elizabeth Winstead finisce coinvolta in un incidente automobilistico per poi risvegliarsi in un seminterrato insieme al misterioso Howard, il quale, incarnato dal veterano John Goodman, le spiega che l'ha salvata da un attacco chimico che sembrerebbe aver reso inabitabile la zona.
Del resto, man mano che i fotogrammi avanzano e che ai due si aggiunge l'Emmett cui concede anima e corpo il John Gallagher Jr. di Jonah Hex, si viene a scoprire che all'esterno sono tutti deceduti e che altro non è che una claustrofobica situazione tipicamente derivata da precursori quali Saw - L'enigmista di James Wan e Cube - Il cubo di Vincenzo Natali quella che vede coinvolto il trio.
Situazione che, con la sempreverde Venus di Frankie Avalon a fare da sottofondo, lascia tranquillamente avvertire un vago retrogusto di sensazione di assedio in parte debitrice nei confronti del super classico La notte dei morti viventi, in parte rimandante al mitico La cosa di John Carpenter, tanto più che la qui protagonista ne interpretò il prequel/remake datato 2011.
Senza dimenticare l'entrata in scena di qualche cadavere, ma evitando sempre di scadere nel dettaglio esplicito; in quanto, finalizzato a relegare effetti speciali e spettacolarità quasi esclusivamente nel corso della sua fase conclusiva, l'insieme intende in maniera evidente tenere lo spettatore sulle spine privilegiando una lenta attesa volta a far salire la tensione passo dopo passo.
Perché è soltanto una volta approdato all'epilogo che capisce il senso di quanto visionato fino a pochi istanti prima, provando la forte impressione che il debutto trachtenberghiano altro non sia che un non disprezzabile esercizio di stile messo in piedi sull'idea per un cortometraggio dilatato a oltre cento minuti e che, in fin dei conti, non regala niente di particolarmente nuovo e originale.