Quattro metà: il regista di Generazione 56K racconta il nuovo film Netflix

Abbiamo avuto l'occasione di conversare con Alessio Maria Federici, esaminando con un'ampia panoramica l'evoluzione del settore cinematografico.

Quattro metà: il regista di Generazione 56K racconta il nuovo film Netflix
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Quattro Metà è la nuova commedia romantica Netflix: in vista dell'imminente release (Quattro Metà arriva a gennaio su Netflix) ci è stata data l'occasione di parlare con il regista Alessio Maria Federici. Alla sua seconda collaborazione con il colosso dello streaming (abbiamo analizzato la prima nella nostra recensione di Generazione 56k), Federici si è confidato all'interno di una chiacchierata che ha sollevato molti spunti di discussione: dal suo film alle tecniche di regia, passando per i registi che lo hanno ispirato, arrivando ad una riflessione sullo stato del cinema internazionale ed italiano. La sua commedia romantica è disponibile su Netflix, mentre qui trovate qui la nostra recensione di Quattro metà.

Un settore in evoluzione

Everyeye.it: La prima domanda è legata al periodo che stiamo vivendo: che sensazioni hai provato a girare durante una pandemia?
Alessio Maria Federici: L'umore generale era fantastico perché siamo dei privilegiati, come lo siamo stati sempre: mentre gli altri non vivevano noi abbiamo ritrovato una parvenza di vita fin da subito. Da un punto di vista umano, per chi racconta emozioni e sensazioni - e per chi come me è costretto a dover far ridere - è stato un momento difficile.

Grazie alla grandissima attenzione della produzione non ho mai avuto un caso di contagio sul set, ma la sensazione di insicurezza certamente c'era. Anche perché nel contempo non eravamo consapevoli del fatto che stavamo vivendo un grandissimo cambio: mentre io e te parliamo c'è qualcuno che sta guardando il film di Sorrentino sul telefono in metropolitana. Sta cambiando il modo in cui dobbiamo raccontare le storie.

Everyeye.it: Sei preoccupato da questa nuova modalità di gestire il "successo" di un film in streaming? C'è una grossa differenza rispetto a quello che accadeva prima, con l'uscita al cinema, e cioè analizzando il box office.
Alessio Maria Federici: Non lo so, perché è tutto completamente nuovo. Ci ho pensato, e anche tanto. Tieni presente che io sono un tifoso della Roma, quindi sono abituato a perdere, ma ho una grande competitività e mi sarebbe piaciuto moltissimo confrontarmi con la sala. Sinceramente adesso mi sono reso conto che il confronto deve essere diverso: è importante che il successo lo abbiano le storie, soprattutto in un film del genere in cui ho provato a raccontare delle emozioni. Ho la speranza che, dopo averlo scelto, le persone non stoppino il film.

La tecnica fa il regista

Everyeye.it: Com'è nato il tuo coinvolgimento in questo titolo?
Alessio Maria Federici: Il progetto mi è stato proposto quattro ore prima che l'otto di marzo chiudessero tutto, e precedentemente mi era saltato il film che ho finito di montare stanotte: era un periodo emotivamente molto particolare, c'erano delle grandi preoccupazioni. Questo lungometraggio per me è stato una grande boccata d'ossigeno, perché per la prima volta mi sono trovato a dover seguire delle dinamiche emotive, e non la classica dinamica di primo, secondo e terzo atto.

Raccontando tutti gli apici di una storia d'amore - primo appuntamento, primo bacio, primo tradimento - e soprattutto poterli declinare rispetto ai diversi contesti umani, che cambiano in base a come cambiano le coppie, l'ho vista come una grande sfida. Io sono un malato di tecnica, e quindi questa volta ho cercato di girare tutto il film con solo due ottiche di riferimento (il 21 e il 32), non facendo io i tagli interni ma muovendo gli attori rispetto alla macchina da presa per darmi emozioni o per farmi distaccare da quello che stavamo raccontando.

Everyeye.it: A proposito di tecnica: è evidente come nel film ci sia molto dinamismo nella regia. Questo fa parte del tuo stile o ti sei sentito obbligato dalla storia che dovevi raccontare?
Alessio Maria Federici: Fa parte del mio stile, anche perché io mi sto rendendo sempre più conto che in quello che raccontiamo mettiamo sempre noi stessi. Per questa volta ho fatto il film come piaceva a me, e ho fatto un film che avrei voluto vedere io: con la macchina in movimento e che si fermava sui dettagli solo quando ce n'era la necessità. Come quando la Gioli fa la telefonata prima che arrivi Martani con le pizze, concentrandosi su quel micro-nervosismo, dando una stasi che ho trovato naturale. Come ho trovato naturale poter tenere dei campi lunghi per poter raccontare delle emozioni che, come nella vita, le vedi arrivare ma le subisci perché ti travolgono come uno tsunami.

Everyeye.it: Hai avuto voce in capitolo in fase di scrittura o ti sei dovuto basare pedissequamente sulla sceneggiatura?
Alessio Maria Federici: Essendo un tecnico io costruisco il film con i miei tecnici. Per esempio, Quattro Metà a due settimane dalla partenza è stato stravolto dal montatore che è entrato in ufficio e ha detto: "Che state a fa? Questa roba non serve". Per questo su alcune dinamiche sono andato più che altro ad asciugare, perché era un film narrativamente e visivamente difficile, c'era il rischio di creare confusione.

E devo dirti che dal punto di vista artistico sono stato assecondato nella mia scelta di inserire una "pausa" dopo il secondo cambio (si riferisce al cambio delle coppie Ndr): devi fermarti e ragionare su quello che è successo, non è tutto così semplice. Credo che in questa nuova dinamica narrativa dobbiamo porci anche noi degli step nei quali costringiamo il pubblico a darci quel briciolo in più di attenzione. Il mio sogno è quello di far saltare la fermata a chi sta guardando il film in metropolitana, perché è stato travolto da ciò che vedeva sullo schermo.

Cellulare onnipresente

Everyeye.it: Rimanendo nel campo della tecnica: una cosa che è molto presente nel tuo film, e che sarà sempre più presente anche nelle prossime pellicole, è l'uso dello smartphone. Qualsiasi tecnica utilizzata per restituire lo schermo dello smartphone in un lungometraggio sembra complicata, quali soluzioni ti intrigano maggiormente?
Alessio Maria Federici: Oggettivamente è la cosa che abbiamo più in mano nella nostra vita, è molto difficile raccontarlo. Questa volta non mi sono potuto esimere dall'avere il telefono, perché sta diventando fondamentale nei nostri rapporti umani. Il telefono smette di esistere solo quando i protagonisti si trovano faccia a faccia, e ogni volta va declinato diversamente in base a quello che ci occorre.

Everyeye.it: Per esempio con l'uso dei social, utilizzando letteralmente lo schermo del cellulare inserito come effetto speciale.
Alessio Maria Federici: È un'altra di quelle cose che ormai conoscono tutti, appena la racconti in un modo che è leggermente diverso dalla realtà, chi la vede ha un "nistagmo visivo" grosso, smette di seguire il tuo film: è veramente un campo minato.

Omaggi e citazioni

Everyeye.it: In una scena specifica del film salta all'occhio un libro di Paul Auster: 4321. È stato d'ispirazione per la trama, o avete semplicemente voluto omaggiarlo?
Alessio Maria Federici: Ho cercato di fare una piccola citazione, nata dal mio desiderio di omaggiare una cosa che mi aveva affascinato, ed emozionato tantissimo.

Everyeye.it: A proposito di riferimenti, com'è nato quello a Stranger Things?
Alessio Maria Federici: Era in parte già presente in sceneggiatura, ma Stranger Things secondo me rappresenta il modo di definire una generazione. Soprattutto in questo momento storico, per tutte quelle persone che vivono una vita diversa da quella che è lo stereotipo conservatore italiano: ci sono tantissimi single e le modalità di rapportarsi sono molto diverse. Stranger Things è riuscito ad essere un prodotto trasversale, dai quindicenni ai quarantacinquenni, ed è diventato in molti casi un modo di cercare socialità. Poteva essere un'altra delle tantissime serie di Netflix, ma questa mi piace proprio per il suo riuscire ad essere trasversale.

La rivoluzione Netflix

Everyeye.it: Sei alla seconda opera per Netflix, dopo Generazione 56k. Credi che potrà continuare questo sodalizio, considerato che rimani comunque affezionato alla sala?
Alessio Maria Federici: Innanzitutto Netflix ha proposto anche film in sala, e secondo me la sta aiutando. Dobbiamo essere consapevoli che questa è una modalità nuova: sono terrorizzato e timoroso perché non so come confrontarmi con questo nuovo modo di raccontare le storie. Ma ti ripeto, se c'è qualcuno che sta guardando Sorrentino in metropolitana noi dobbiamo essere pronti ad assecondare questa richiesta. Io mi auguro che il sodalizio con Netflix possa continuare: ci sta aprendo ad essere internazionali in un paese che invece ha sempre sofferto del fatto che gli attori "se li fanno su whatsapp", in base a quello che serve al film.

Everyeye.it: Venendo da un paese artisticamente molto autoriale, spesso di nicchia, come vedi il cinema italiano in questa nuova evoluzione del settore?
Alessio Maria Federici: Secondo me abbiamo anche lanciato dei generi commerciali, che gli altri ci hanno copiato. Io sono convinto che l'evoluzione del settore ci farà ancora crescere, perché sta diventando un grande stimolo.

I miti che cambiano la vita

Everyeye.it: Ti ispiri a qualcuno all'interno del cinema italiano, o anche estero? E c'è qualcuno che ti ha fatto innamorare di questo lavoro?
Alessio Maria Federici: Nell'ultima parte della mia carriera come aiuto regista ho avuto la fortuna di conoscere Sam Mendes, ho fatto due o tre spot con lui, e mi ha fatto capire l'importanza della messinscena quando si raccontano le emozioni. Massimiliano Bruno mi ha insegnato ad avere rispetto degli attori, perché sono loro che ci mettono la faccia, e facendo l'aiuto regista - con lo stress delle dinamiche e dei tempi - era una cosa che avevo un po' perso. Paolo Genovese mi ha insegnato che "anche a Roma Nord ci si emoziona": non è una battuta, ma una cosa importante.

Bisogna sempre avere attenzione verso ciò che può colpire e che può emozionare. Luca Miniero era capace di entrare in una stanza e capire immediatamente cosa poteva far ridere. Stavamo girando Nessun messaggio in segreteria, e c'era un inquadratura nella quale non si vedeva la tazza del cesso: lui ha subito detto "se non c'è la tazza non si ride". Appena l'abbiamo inserita ha riso tutta la troupe. Per assurdo, da un punto di vista di affezione tecnica, i miei riferimenti vengono dalla pubblicità: Ago Panini, Federico Brugia, Fabrizio Mari. Sono riusciti a dare un'idea di confezione visiva che il nostro cinema stava perdendo, per fretta o per poco investimento.

Poi ovviamente ci sono i grandi maestri: Bellocchio mi ha stravolto quando ho deciso di fare questo mestiere, con la sua capacità di rimanere ligio nei confronti della modalità narrativa. La scuola di Daniele Luchetti quando ero ragazzino ha cambiato la mia ottica nel vedere le cose; l'emozione che mi ha dato Gianni Amelio con il suo film sull'Albania mi ha stravolto. Ho tantissimi riferimenti.

Everyeye.it: Dato che sei un amante del cinema voglio chiudere con un'ultima considerazione: qual è il film dell'anno per te?
Alessio Maria Federici: È Stata la Mano di Dio ha delle sequenze impressionanti, ma non ho ancora visto il film di Genovese e sono molto curioso... aspetta, c'è anche Freaks Out, già se lo sono dimenticati tutti! Riuscire a fare Spielberg in Italia... chapeau chapeau chapeau!

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