Intervista Nobi: Shinya Tsukamoto

Il regista di Tetsuo e Nightmare Detective torna a Venezia e ci racconta l'inferno della guerra

Intervista Nobi: Shinya Tsukamoto
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“Nei miei film, il corpo umano diventa un oggetto e così è anche sui campi di battaglia. E così come la gente pensa che i miei film siano spesso eccessivi, lo stesso vale anche per la guerra. Questo era un film che dovevo fare, per parlare ancora una volta del corpo umano e della sua sopravvivenza”.
A parlare è Shinya Tsukamoto, visionario cineasta nipponico che abbiamo avuto più volte la fortuna di avere ospite in Italia. All'ultima Mostra del Cinema di Venezia il cineasta nipponico ha portato in concorso Nobi (Fire on the plains), disperata e cruda storia di guerra ambientata nelle Filippine con protagonista un soldato in lotta per la sopravvivenza.
Un film denso di scene forti dai significati molteplici: alcuni letterali, molti altri metaforici. Grande importanza è data proprio dalla forza dell'ambientazione: “In passato ho raccontato la giungla di cemento di Tokyo nella quale sono cresciuto, che ha un grande significato simbolico per me e molti dei miei personaggi. Ma ora volevo raccontare la vastità della natura e i suoi pericoli. La natura, di base, è oscura ma bellissima finché è incontaminata. Poi arriva l'uomo con la guerra e tutto diventa orribile e inospitale.”

Sangue e natura

“È una storia tragica, com'è logico che sia: abbiamo corpi mutilati, violenze di ogni tipo, addirittura cannibalismo. Esperienze che chi le vive porterà con sé per il resto della sua vita.” continua Tsukamoto “Non è un riferimento attuale, la guerra è sempre stata così. Però quando ho cominciato a pensare di fare questo film, vent'anni fa, non mi era possibile, sia per una mera questione tecnica sia perché il Giappone negli anni '90 non pensava più alla guerra. Oggi è tutto diventato su scala globale, ed era il momento giusto. Ho cominciato a prepararmi già dieci anni fa, raccogliendo interviste di reduci di guerra per rendermi conto delle vere conseguenze delle atrocità della guerra. In tutti i sopravvissuti ho trovato la stessa ferrea volontà ad aggrapparsi alla vita, nonostante tutto. È un concetto che avevo già esplorato ma sempre in contesti urbani, non naturali, e sentivo che era mio dovere raccontare una storia come questa”.
E come ha agito nel trasporre il romanzo datato 1951 di Shōhei Ōoka, già oggetto di una versione cinematografica nel 1959 firmata Kon Ichikawa?
“Il mio primo approccio con Nobi è stato alle superiori, quando vidi il bel film di Ichikawa. Che però si sofferma più che altro sui personaggi. Più avanti, quando ho riscoperto il romanzo originale, ho scoperto questo straordinario riferimento all'elemento naturale, che volevo assolutamente rendere nel mio film.”

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