Intervista Mental

P.J. Hogan ci racconta la pazza storia della sua famiglia.

Intervista Mental
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P.J. Hogan a Hollywood è uno di quei nomi che conta e anche non poco. Partito dall'Australia si è subito affermato a livello internazionale con Il matrimonio del mio Migliore Amico, film che, a distanza di quindici anni è ancora un cult della commedia sentimentale americana. E i successi non si sono fermati di certo lì: negli anni successivi ha diretto anche Peter Pan e I Love Shopping, per arrivare in questo 2012 a Mental, il suo ritorno al cinema australiano da cui tutto era cominciato con Le nozze di Muriel del 1994. Componente della giuria di questa edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Hogan rimette sullo schermo la sua vita personale, con un'opera fuori concorso ironica e travolgente, divertente ma non per questo superficiale. Mental conduce lo spettatore ad una riflessione sul tema della pazzia attraverso una sceneggiatura brillante e una narrazione dinamica tipiche del lavoro del regista. Merito anche di tutto ciò che di se stesso e del suo passato P.J. Hogan ha inserito nella realizzazione di questo progetto, come ha raccontato in conferenza stampa, accompagnato dall'attrice Caroline Goodall e dal produttore Todd Fellman.

Meglio essere una pecora nera che una semplice pecora

Ti sei introdotto nella scena cinematografica internazionale con Le nozze di Muriel, che era un film australiano e poi ti sei trasferito in America dive hai continuato il tuo lavoro di regista e sceneggiatore. Adesso con Mental torni di nuovo in Australia, la tua terra.
P.J. Hogan:
Le nozze di Muriel si basava molto sulla mia infanzia, così come Mental. Intorno ai 25 anni sono venuto a conoscenza della parola "disfunzionale" e solo allora mi sono reso conto che la mia era proprio una famiglia disfunzionale. Che è anche uno dei motivi per i quali sono andato in America. La mia esperienza statunitense è stata molto gradevole, ma lì ti assumono per quello che sai fare, che è di certo una bella cosa ma non ti permette di esprimerti al massimo. Sono tornato in Australia per poter fare qualcosa di personale e Mental racconta la mia storia. Quando avevo 12 anni mia mamma ha avuto un esaurimento nervoso e mio padre, che era una figura politica del luogo, l'ha fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico e ci ha detto di dire a tutti che era in vacanza. Non era il suo primo esaurimento, quindi lo sapevamo tutti che non era vero. E così mio padre si è ritrovato improvvisamente ad avere a che fare con dei bambini tutti sotto i 12 anni: non aveva la minima idea di come comportarsi. Un giorno ha caricato un'autostoppista! L'aveva vista lì con un cane e aveva pensato che, solo perché possedeva un cane, era sicuramente una brava persona. Ce la siamo ritrovata in salotto che fumava una sigaretta. Quando ero piccolo credevo a tutto quello che lei mi diceva, ovviamente, solo dopo ho capito che la mia Shaz era folle. Però in quegli anni mi ha detto una cosa che mi è sempre rimasta impressa: "Meglio essere una pecora nera che una semplice pecora". La cosa assurda è che mia mamma, che non era pazza, era rinchiusa in ospedale, mentre Shaz era a piede libero per la città. E lei era davvero folle.

Essendo un adattamento della tua infanzia, come ti sei trovato a scrivere questa sceneggiatura?
PJH:
Sarà una cosa banale da dire, ma sicuramente il tempo aiuta a guardare le cose da una prospettiva nuova. Sono successe molte cose tra Le nozze di Muriel e Mental che mi hanno aiutato a sviluppare questa storia. Ho un figlio autistico e una sorella schizofrenica, quindi la malattia è molto presente nella mia vita. Spesso la gente viene a conoscenza di problemi come l'autismo solo grazie ai film che ne parlano e, per esperienza, mi sono accorto che quando hai un bambino autistico vieni spesso messo da parte. È una situazione seria ma proprio per questo volevo che Mental fosse una commedia, perché dobbiamo imparare a sorridere davanti a malattie come queste e non fuggire. E volevo essere assolutamente politicamente scorretto, che il film provocasse una discussione, che lo spettatore si chiedesse cose come: "Come si permette di farne una commedia? Chi è pazzo e chi no?". Molte persone nella nostra società hanno paura di chi soffre di malattie mentali, ma spesso si tratta di persone brillanti. È difficile tracciare una linea netta tra genialità e la pazzia. Io ho lavorato con moltissimi attori e posso assicurarvi che tutti loro sono pazzi!

Il film è pazzamente comico, ma lei invece appare una persona molto equilibrata. Forse perché come tutti i ragazzi australiani giocava a football?
PJH:
Sono molto squilibrato! Sono un regista, non potrei farlo se fossi una persona equilibrata. Quella nel film è la mia famiglia, non potevo sfuggirne. A 17 anni sono andato via di casa per frequentare la scuola di regia e sono stati i miei compagni di corso e quella che poi è diventata mia moglie a salvarmi. Per la prima volta, grazie a loro, sono stato capace di ridere della mia famiglia e ho iniziato a pensare che tutta quella sofferenza fosse in realtà servita a qualcosa. Soffriamo perché abbiamo bisogno di condividere questa sofferenza, adesso lo capisco meglio. Io non giocavo a football, che in Australia equivale a un bambino che in Italia non gioca a calcio. E mio padre era molto imbarazzato per questo. Tutto quello che voleva era un figlio che giocasse a football e che fosse molto popolare: devo ammettere che mi dispiace di non essere riuscito a compiacerlo.

In questo film mi ha colpito molto l'uso dei colori: è tutto molto vivido, saturato, tutto molto colorato. È un caso o una scelta stilistica?
PJH:
Dove sono cresciuto io, sulla Gold Coast, tutto è molto colorato, molto volgare e grezzo. È una città costruita per i turisti, in cui persino i parchimetri sono tutti colorati in maniera differente. Quando ero piccolo non c'era nemmeno una libreria. Qualcuno oggi ha definito il mio film come un gotico australiano... per me invece è semplicemente un film autobiografico. Quella che vedete nel film è la casa in cui sono cresciuto, abbiamo dipinto le pareti esattamente come nella mia vecchia casa. Ha quell'aspetto così colorato perché era davvero così.

Doris non è certo uno dei personaggi più carini del film...
Caroline Goodall:
Io credo che Doris sia uno dei migliori personaggi di sempre! È orrenda, davvero, ma è sempre magnifico per un'attrice recitare un personaggio senza possibilità di riscontro. Tutto quello che ha e a cui tiene sono le sue bambole. Mi sono molto divertita in questo film. In più io sono australiana, anche se poi ho vissuto in Gran Bretagna, ed è stato bellissimo tornare a lavorare in Australia. In più PJ è stato fantastico, così come tutto il cast. E poi volevo fare la scena del cane...
PJH: Non conosco nessun attore che avrebbe accettato di girare quella scena 15 volte in piena notte. Si gelava! Ma lei voleva farla! Aveva del pollo nascosto tra le gambe, perché per quanto Caroline sia una donna bellissima al cane la sua bellezza non interessava. Bisognava attrarlo con qualcosa. Non riuscivo a credere che la signora Schindler di Schindler's List potesse interpretare una scena del genere.

Sono passati 15 anni da Il Matrimonio del mio Migliore Amico eppure si percepisce una connessione con Mental, soprattutto per quanto riguarda la musica, la sua importanza e la sua influenza.
PJH:
La prima volta che ho visto la sceneggiatura de Il Matrimonio del mio Migliore Amico non c'era musica. Ho detto chiaramente che se mi dovevo occupare del film dovevo portare il mio punto di vista. Amo molto la musica e anche questo si rifà alla mia infanzia. Quando a casa mia era tutto un casino correvo a rinchiudermi in casa e accendevo lo stereo. All'epoca in Australia andavano molto di moda gli ABBA. Tutti gli altri ascoltavano i Led Zeppelin e David Bowie e io sentivo Dancing Queen! In realtà c'era una semplicità nella musica degli ABBA e nei loro testi che mi affascinava molto. Ascoltavo spessissimo S.O.S. e anche se solo oggi mi rendo conto del vero valore del testo, all'epoca la consideravo una canzone bellissima. Ho scoperto che la musica spesso viene utilizzata per esprimere quello che non riusciamo a dire a parole, per i momenti difficili, per esprimere la sofferenza. In Mental utilizzo della musica che in realtà era la preferita di mia mamma. Ogni volta che in televisione davano Tutti Insieme Appassionatamente ci raccoglievamo in salone per vederlo. Eravamo dei ragazzini terribili in realtà e mia madre piangeva sempre quando vedevamo quel film. Solo dopo ho capito che non piangeva per il film in se stesso, ma perché in quella pellicola c'era un padre che cantava con i suoi figli, cosa che invece da noi non accadeva mai. La musica è semplicemente una parte della vita.

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