Dopo aver visto il film per la prima volta ho detto a Lars (Von Trier) che mi era molto piaciuto. Alla sua esclamazione "Come ti è piaciuto!" ho subito pensato di aver fatto uno sbaglio e che lo avrebbe cambiato, montato in modo differente, perché lui odia quando i suoi film piacciono al pubblico. A parlare è Matt Dillon, protagonista assoluto de La Casa di Jack, nuova folle opera del regista danese Lars Von Trier, che una volta di più ha rotto qualsiasi schema possibile, rilasciando un film estremo come il suo marchio di fabbrica quasi impone. L'attore americano ha dato appuntamento alla stampa romana nel centralissimo Hotel Bristol Bernini, che affaccia sulla celebre Piazza Barberini. Al di là delle finestre il cielo sembra essersi allineato ai toni oscuri e cupi del film, sbarrando la strada a qualsivoglia raggio di sole. L'autore di Melancholia e Nymphomaniac sceglie spesso protagoniste femminili per le sue opere, personaggi "positivi" il più delle volte, questa volta invece il motore degli eventi è un uomo cattivo sin nel midollo, un serial killer spietato e cinico, incapace di provare qualsivoglia empatia - verso le vittime, verso l'umanità, il mondo esterno. Di questo però abbiamo già discusso nella nostra recensione completa, oggi invece i riflettori sono puntati proprio su Matt Dillon, unico rappresentante della produzione arrivato in Italia.
Senza empatia
"Jack, il mio personaggio, è certamente atipico, non rappresenta la normalità. È uno psicopatico, non nutre empatia verso nulla, anche se i delitti e i reati che commette sono spesso guidati da una insana passione oscura. È un killer senza scrupoli ma anche un artista fallito, incompreso, che deve curare in modo maniacale ogni sua 'opera', se così vogliamo chiamarla. Il film nella sua interezza tocca una moltitudine di temi, tutti racchiusi all'interno del protagonista, che cambia continuamente". Un personaggio, Jack, che Dillon non dimenticherà facilmente, vista la totale lontananza dal suo essere uomo, attore, artista (di successo questa volta): "Ho avuto non pochi dubbi prima di accettare il film, l'argomento non mi interessava molto, ero però certo che Lars Von Trier avrebbe fatto un lavoro eccezionale. L'ho sempre ammirato ed è per lui che ho accettato questa difficile parte, che neppure divorando cattiveria giorno e notte è possibile replicare. Anche la sceneggiatura mi ha convinto, era incredibile, la più interessante che avessi mai letto, inoltre lui mi ha ovviamente detto che si sarebbe preso interamente la responsabilità di ciò che sarebbe accaduto su schermo, così ho detto SI. Temevo comunque di non farcela, ero spaventato dall'orrore che trasudava dallo script, dai crimini che il personaggio commetteva, avevo paura di giudicare il protagonista e non rappresentarlo al meglio ma alla fine è andata bene. Lars ha avuto pieno controllo, ha girato tutto ciò che voleva lui. Forse è per questo che ha funzionato".
L'ultimo viaggio
Matt Dillon è sì il fulcro centrale dell'opera, non è però il solo grande attore a comparire dentro e fuori la scena: il film infatti si sviluppa attorno a un dialogo fra Dillon e Bruno Ganz, l'attore svizzero scomparso il 16 febbraio scorso. "Sono davvero triste per Bruno, allo stesso tempo però mi sento fortunato per aver lavorato con lui. Era un attore eccezionale, lo ammiro da quando avevo 17 anni, età in cui l'ho scoperto su grande schermo. Lars ha scelto me prima che anche lui venisse coinvolto, una sera mi invia una sua foto scrivendo una sola parola 'Verge!', il nome del personaggio di Bruno e sono stato felicissimo. Insieme avremmo registrato il lungo dialogo fuori campo dopo aver finito il film, Lars così continuava a dirmi che avrei dovuto vedere le scene prima di andare in studio ma ero alquanto reticente, avevo una gran paura." "Grazie a diversi impegni sono riuscito a svicolare dalla prima proiezione tecnica, poi però ho sentito Bruno che mi ha detto 'Sarai fiero del tuo lavoro, è il film più interessante che abbia mai visto' così mi sono tranquillizzato. Solo successivamente mi sono convinto a vedere il lavoro finito ed effettivamente ci siamo imbarcati in qualcosa di assolutamente spaventoso. Sono orgoglioso della mia recitazione ma ci tengo a precisare che, nonostante la naturalezza, Matt non è assolutamente Jack."
Diventare un serial killer
Lars Von Trier ha imbottito, come tradizione, il suo film di temi, significati e metafore, al centro di tutto però c'è - come abbiamo visto - un autentico serial killer, una materia complessa che da sempre affascina "il pubblico da casa", un mondo sotterraneo che ha sorpreso persino Matt Dillon: "È un tema che conoscevo poco, così mi sono documentato e ho scoperto che esistono centinaia di libri a proposito. Uno in particolare si chiamava 50 Serial Killer di cui non avete mai sentito parlare, suddiviso in quattro volumi. Avevo paura di non riuscire a calarmi perfettamente nella parte, Lars però ci teneva davvero tanto, mi ha più volte detto che è un tema a lui molto caro, più vicino alla sua personalità, anche se lui ovviamente non ucciderebbe nessuno.""Personalmente ho dovuto agire per sottrazione, il personaggio è nato senza qualcosa, privo di coscienza e di empatia, ho dovuto eliminare queste parti dalla mia personalità. Ho vacillato in più occasioni, le più estreme, ma è stata comunque una grande esperienza. Inoltre mi ha aiutato il fatto di aver girato senza neppure aver fatto una prova, difficilmente si lavora così, eppure grazie a questo Lars ti obbliga a rinunciare alle tue idee intellettuali, alla tua morale, devi agire senza preconcetti. Chiaramente ti spinge anche a sbagliare, a fallire, ma fa tutto parte del processo."
La Casa di Jack è dunque davvero l'esperienza paurosa che molti, oltreoceano, hanno descritto? È certamente un'opera sregolata, adatta a un pubblico adulto che abbia la costanza di capire tutti i suoi strati, ma è comunque arte, nel mondo c'è anche di peggio: "Lars ha curato ogni aspetto della produzione, ha montato le scene più terrificanti, delle quali persino io avevo paura. Nonostante questo, la sera in TV capita di vedere cose anche peggiori. Lars vuole deliberatamente colpire il suo pubblico, ma la televisione ci ha comunque abituati 'bene', o male a seconda del punto di vista. Anche in virtù di questo sono sempre contrario alla censura." A tal proposito, la stampa italiana è riuscita a vedere la versione integrale del film, che deve ancora passare per il "Visto Censura" italiano; non sappiamo ancora se ci saranno dei tagli (speriamo vivamente di no) o dei divieti (cosa praticamente certa), in ogni caso dal 28 febbraio ci saranno 120 copie dell'opera in tutta Italia. In America sono uscite due versioni, inizialmente una Director's Cut e successivamente una Rated-R, cosa accadrà nel nostro Paese ce lo diranno soltanto i giorni a venire.
Matt Dillon e La Casa di Jack: Così sono entrato nella mente dell'assassino
Matt Dillon è arrivato a Roma per parlarci de La Casa di Jack e di come ha fatto a entrare nella mente dell'assassino protagonista.
Dopo aver visto il film per la prima volta ho detto a Lars (Von Trier) che mi era molto piaciuto. Alla sua esclamazione "Come ti è piaciuto!" ho subito pensato di aver fatto uno sbaglio e che lo avrebbe cambiato, montato in modo differente, perché lui odia quando i suoi film piacciono al pubblico. A parlare è Matt Dillon, protagonista assoluto de La Casa di Jack, nuova folle opera del regista danese Lars Von Trier, che una volta di più ha rotto qualsiasi schema possibile, rilasciando un film estremo come il suo marchio di fabbrica quasi impone.
L'attore americano ha dato appuntamento alla stampa romana nel centralissimo Hotel Bristol Bernini, che affaccia sulla celebre Piazza Barberini. Al di là delle finestre il cielo sembra essersi allineato ai toni oscuri e cupi del film, sbarrando la strada a qualsivoglia raggio di sole. L'autore di Melancholia e Nymphomaniac sceglie spesso protagoniste femminili per le sue opere, personaggi "positivi" il più delle volte, questa volta invece il motore degli eventi è un uomo cattivo sin nel midollo, un serial killer spietato e cinico, incapace di provare qualsivoglia empatia - verso le vittime, verso l'umanità, il mondo esterno. Di questo però abbiamo già discusso nella nostra recensione completa, oggi invece i riflettori sono puntati proprio su Matt Dillon, unico rappresentante della produzione arrivato in Italia.
Senza empatia
"Jack, il mio personaggio, è certamente atipico, non rappresenta la normalità. È uno psicopatico, non nutre empatia verso nulla, anche se i delitti e i reati che commette sono spesso guidati da una insana passione oscura. È un killer senza scrupoli ma anche un artista fallito, incompreso, che deve curare in modo maniacale ogni sua 'opera', se così vogliamo chiamarla. Il film nella sua interezza tocca una moltitudine di temi, tutti racchiusi all'interno del protagonista, che cambia continuamente".
Un personaggio, Jack, che Dillon non dimenticherà facilmente, vista la totale lontananza dal suo essere uomo, attore, artista (di successo questa volta): "Ho avuto non pochi dubbi prima di accettare il film, l'argomento non mi interessava molto, ero però certo che Lars Von Trier avrebbe fatto un lavoro eccezionale. L'ho sempre ammirato ed è per lui che ho accettato questa difficile parte, che neppure divorando cattiveria giorno e notte è possibile replicare. Anche la sceneggiatura mi ha convinto, era incredibile, la più interessante che avessi mai letto, inoltre lui mi ha ovviamente detto che si sarebbe preso interamente la responsabilità di ciò che sarebbe accaduto su schermo, così ho detto SI. Temevo comunque di non farcela, ero spaventato dall'orrore che trasudava dallo script, dai crimini che il personaggio commetteva, avevo paura di giudicare il protagonista e non rappresentarlo al meglio ma alla fine è andata bene. Lars ha avuto pieno controllo, ha girato tutto ciò che voleva lui. Forse è per questo che ha funzionato".
L'ultimo viaggio
Matt Dillon è sì il fulcro centrale dell'opera, non è però il solo grande attore a comparire dentro e fuori la scena: il film infatti si sviluppa attorno a un dialogo fra Dillon e Bruno Ganz, l'attore svizzero scomparso il 16 febbraio scorso. "Sono davvero triste per Bruno, allo stesso tempo però mi sento fortunato per aver lavorato con lui. Era un attore eccezionale, lo ammiro da quando avevo 17 anni, età in cui l'ho scoperto su grande schermo. Lars ha scelto me prima che anche lui venisse coinvolto, una sera mi invia una sua foto scrivendo una sola parola 'Verge!', il nome del personaggio di Bruno e sono stato felicissimo. Insieme avremmo registrato il lungo dialogo fuori campo dopo aver finito il film, Lars così continuava a dirmi che avrei dovuto vedere le scene prima di andare in studio ma ero alquanto reticente, avevo una gran paura."
"Grazie a diversi impegni sono riuscito a svicolare dalla prima proiezione tecnica, poi però ho sentito Bruno che mi ha detto 'Sarai fiero del tuo lavoro, è il film più interessante che abbia mai visto' così mi sono tranquillizzato. Solo successivamente mi sono convinto a vedere il lavoro finito ed effettivamente ci siamo imbarcati in qualcosa di assolutamente spaventoso. Sono orgoglioso della mia recitazione ma ci tengo a precisare che, nonostante la naturalezza, Matt non è assolutamente Jack."
Diventare un serial killer
Lars Von Trier ha imbottito, come tradizione, il suo film di temi, significati e metafore, al centro di tutto però c'è - come abbiamo visto - un autentico serial killer, una materia complessa che da sempre affascina "il pubblico da casa", un mondo sotterraneo che ha sorpreso persino Matt Dillon: "È un tema che conoscevo poco, così mi sono documentato e ho scoperto che esistono centinaia di libri a proposito. Uno in particolare si chiamava 50 Serial Killer di cui non avete mai sentito parlare, suddiviso in quattro volumi. Avevo paura di non riuscire a calarmi perfettamente nella parte, Lars però ci teneva davvero tanto, mi ha più volte detto che è un tema a lui molto caro, più vicino alla sua personalità, anche se lui ovviamente non ucciderebbe nessuno." "Personalmente ho dovuto agire per sottrazione, il personaggio è nato senza qualcosa, privo di coscienza e di empatia, ho dovuto eliminare queste parti dalla mia personalità. Ho vacillato in più occasioni, le più estreme, ma è stata comunque una grande esperienza. Inoltre mi ha aiutato il fatto di aver girato senza neppure aver fatto una prova, difficilmente si lavora così, eppure grazie a questo Lars ti obbliga a rinunciare alle tue idee intellettuali, alla tua morale, devi agire senza preconcetti. Chiaramente ti spinge anche a sbagliare, a fallire, ma fa tutto parte del processo."
La Casa di Jack è dunque davvero l'esperienza paurosa che molti, oltreoceano, hanno descritto? È certamente un'opera sregolata, adatta a un pubblico adulto che abbia la costanza di capire tutti i suoi strati, ma è comunque arte, nel mondo c'è anche di peggio: "Lars ha curato ogni aspetto della produzione, ha montato le scene più terrificanti, delle quali persino io avevo paura. Nonostante questo, la sera in TV capita di vedere cose anche peggiori. Lars vuole deliberatamente colpire il suo pubblico, ma la televisione ci ha comunque abituati 'bene', o male a seconda del punto di vista. Anche in virtù di questo sono sempre contrario alla censura."
A tal proposito, la stampa italiana è riuscita a vedere la versione integrale del film, che deve ancora passare per il "Visto Censura" italiano; non sappiamo ancora se ci saranno dei tagli (speriamo vivamente di no) o dei divieti (cosa praticamente certa), in ogni caso dal 28 febbraio ci saranno 120 copie dell'opera in tutta Italia. In America sono uscite due versioni, inizialmente una Director's Cut e successivamente una Rated-R, cosa accadrà nel nostro Paese ce lo diranno soltanto i giorni a venire.
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