Man in the dark: Rodo Sayagues

Abbiamo intervistato a Madrid Rodo Sayagues, co-sceneggiatore de La Casa del 2013 e dell'imminente Man in the Dark (Don't Breathe) di Fede Alvarez.

Man in the dark: Rodo Sayagues
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Abbiamo intervistato a Madrid Rodo Sayagues, co-sceneggiatore del remake de La Casa, per parlare del suo ultimo lavoro, Man in the Dark (Don't Breathe) diretto da Fede Alvarez. Ecco cosa ci ha detto del film, della sfida di raccontare una storia originale che tenesse il pubblico col fiato sospeso e della seconda collaborazione con Alvarez e Sam Raimi.

Raccontare il terrore

La storia che avete raccontato narra di un uomo non vedente e di protagonisti che, per sopravvivere, spesso non possono permettersi di emettere un fiato. Quali sono, in termini di scrittura, le sfide di raccontare una vicenda simile in maniera esaustiva?
È stato sicuramente un lavoro che ci ha messo davanti a varie sfide. Quando abbiamo avuto l'idea per la prima volta, siamo stati immediatamente molto accorti, anche perché il progetto prometteva molto bene e ci dava la possibilità di esplorare vari aspetti interessanti della storia che volevamo raccontare. Non appena abbiamo stabilito che l'uomo nella casa sarebbe stato non vedente, abbiamo trasformato tutto in una sorta di violazione di domicilio al contrario: ed ecco che la vicenda è diventata in maniera piuttosto naturale un vero e proprio incubo. Quando ho iniziato a scrivere ho fatto attenzione a come proporre al pubblico dei personaggi credibili e non necessariamente positivi: parliamo comunque di ladri e di qualcosa di moralmente deprecabile, ma al cinema la sfida è quella di dare a tutti la giusta dose di sfaccettature. L'altra sfida è stata quella di mettere i nostri personaggi in una situazione nella quale spesso non possono né parlare né fare alcun tipo di rumore, perché l'uomo li sentirebbe e li ucciderebbe. Quindi, la complicazione è stata quella di narrare una storia con pochi dialoghi. Per qualcosa come quaranta minuti, nel film, nessuno parla quasi mai. Per questo la nostra storia è stata fin da subito puramente cinematografica, e ha richiesto che utilizzassimo tutti gli strumenti che avevamo nella nostra cassetta degli attrezzi.

Hai avuto nei videogiochi una fonte di ispirazione? Spesso nel film si ha la sensazione di trovarsi in un survival horror.
Decisamente sì. E c'è molta azione. Sia io che Fede amiamo i videogiochi e abbiamo speso molto tempo della nostra vita a giocare, quindi quello videoludico è un background che é sicuramente molto vivo nella nostra testa. Mi ricordo in particolar modo di essermi appassionato anni fa ad Alone in the Dark, quindi sicuramente un'ispirazione c'è stata. Ne adoravo l'atmosfera.

In termini di storytelling, nel film c'è un messaggio sottile ma molto diretto: l'inferno può essere sulla terra se non si affrontano le proprie responsabilità e le proprie colpe.
Molto vero. È un messaggio che abbiamo avuto in mente dal primo giorno che abbiamo iniziato a scrivere. Volevamo che uno dei temi centrali fosse la giustizia. La domanda che ci siamo posti è stata "esiste una giustizia divina oppure siamo noi che portiamo la nostra giustizia nel mondo?". E se siamo noi, le cose si complicano perché ogni personaggio ha la sua giustizia personale. Ognuno pensa in qualche modo che la vita sia stata ingiusta, e tutti sono stufi di attendere una qualche giustizia che arrivi dall'alto e che risolva le cose. Dunque, ognuno pensa di farsi giustizia da sé per mancanza di alternative, ed è proprio per questo che la storia diventa sempre più intricata. Costruire questo sistema all'interno del film e mescolare le giustizie di tutti è stato un esperimento unico, e quello che ne è venuto fuori è assolutamente interessante. Ognuno dei nostri personaggi finisce col sentirsi "incaricato" di compiere una giustizia terrena, e il caos che ne deriva è esattamente al centro della storia che volevamo raccontare.

Il film inizia come un'invasione di ladri ma si rivela qualcosa di più ampio. Tecnicamente come si evitano tutti i cliché del genere mantenendo contemporaneamente molto alta l'attenzione del pubblico?
Noi stessi volevamo vedere qualcosa che non avevamo visto prima. Girare un film costa tempo, risorse e fatica, quindi eravamo i primi a volere che tutto fosse mirato a dare al pubblico qualcosa di nuovo. E questo è anche uno dei vantaggi del lavorare in team: se qualcosa non va ci fermiamo tutti e cerchiamo di sbloccare la situazione finché non siamo nella condizione di andare avanti meglio di prima. È questo che ci consente di lavorare portando avanti sempre e solo le idee migliori. È una sfida per tutti: se Fede avanza un'idea che secondo me è già stata abbondantemente sperimentata non ci muoviamo, e viceversa. È questo metodo di lavoro che crea l'ambiente perfetto per creare il film più originale possibile.

Questo film segna una nuova collaborazione con Alvarez e Sam Raimi. Avete progetti futuri?
In realtà gran parte delle cose che che facciamo non sempre sono pianificate fin dall'inizio. Quando abbiamo finito La Casa non sapevamo ancora che questo sarebbe stato il nostro prossimo progetto. Poi abbiamo lavorato allo script e abbiamo coinvolto Sam, proprio perché ci eravamo trovati benissimo insieme. Lui ci ha sempre incoraggiato a spingerci in avanti e a testare nuove idee. Il futuro non è ancora chiaro, ma spero che continueremo a collaborare. Ti dirò che abbiamo in testa un progetto per La Casa 2, ma non sappiamo ancora se e come andrà in porto. Io e Fede adoriamo il franchise e ne abbiamo un rispetto sacrale, quindi in ogni caso non ci muoveremo finché non avremo trovato l'idea migliore.

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