Luca Guadagnino e Chiamami col tuo nome: la famiglia, l'amore e gli Oscar

Luca Guadagnino e i suoi attori Harmie Hammer e Timothee Chalamet sono arrivati a Roma per raccontare il loro acclamato Chiamami col tuo nome.

Luca Guadagnino e Chiamami col tuo nome: la famiglia, l'amore e gli Oscar
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Nelle nostre sale arriva soltanto domani 25 gennaio, eppure Chiamami col tuo nome ha già percorso una strada costellata di riconoscimenti, splendide critiche e applausi in tutto il mondo, negli USA soprattutto. L'attuale Awards Season ha infatti portato già 50 premi e 150 candidature, quattro delle quali ai prossimi Oscar 2018 - i cui giochi, lo sappiamo, sono tutt'altro che conclusi. Un successo più che meritato per il regista Luca Guadagnino e i suoi eccezionali interpreti, Harmie Hammer e Timothee Chalamet, arrivati a Roma per raccontare alla stampa (e indirettamente al pubblico) il loro momento d'oro, per molti versi inaspettato. Chiamami col tuo nome infatti è quanto di più lontano ci possa essere da un classico blockbuster all'americana, è un'opera che si rifà più ai grandi maestri francesi e parla a cuore aperto un linguaggio universale, emozionante, che arriva senza filtri agli spettatori in sala. Un soffio di vita che lascerà un segno indelebile nella storia cinematografica contemporanea, al di là di tutti i premi riportati (o meno) a casa.

Famiglia 3.0

"Sono riuscito a fare un film disneyiano" ci ha detto Luca Guadagnino, che torna al cinema con un altro lavoro di respiro internazionale dopo A Bigger Splash. "Disneyiano nel senso che racconta la meraviglia del nido familiare, di un gruppo di persone che dialogano, che si comprendono vicendevolmente e sanno che possono sempre contare le une sulle altre. Ecco, vedo la famiglia come un luogo metaforico in cui ci si migliora a vicenda, un po' come succede in grandi successi Disney e Pixar come Toy Story. Lì un gruppo di personaggi differenti si unisce per formare un gruppo indissolubile, che starà insieme per tutta la vita." Un tema sempre attuale, soprattutto in questi nostri tempi in cui si prova sempre di più ad allargare il concetto base della parola "famiglia", coinvolgendo anche coppie omosessuali, conviventi, e combattendo contro i mulini a vento del pregiudizio. Chiamami col tuo nome prova a toccare i nervi scoperti che ruotano attorno al tema raccontando una bellissima ed emozionante storia d'amore gay, anche se non è questo il fulcro della narrazione: "Non è un film sull'amore gay, è su una persona che cresce e ne diventa un'altra, aiutata dai suoi affetti più cari. È un lavoro sul desiderio che va oltre ogni genere, trasversale all'estremo."
D'accordo con il regista Timothee Chalamet: "Una relazione talmente intensa come quella raccontata nel film è quasi rara da vivere nella realtà, significa che il discorso riguarda l'amore assoluto, non importa che sia gay, lesbo o etero. Si parla di vero, puro amore e la capacità di impegnarsi di fronte al sentimento, accettando così di essere felici oppure sofferenti. Oltre le etichette banali che siamo soliti affibbiare a tutto, oltre le categorie".

La sguardo e le parole di un padre

Lo si capisce alla perfezione durante la scena più toccante del film, che strapperà il cuore a gran parte del pubblico, quella che avviene nella più solenne intimità fra il padre Lyle e il figlio Elio: "Il monologo del padre spiega come affrontare l'amore rapportandosi all'istinto, alla sessualità, è un momento potente che accetta il sentimento come il dolore. E lo fa senza aggiungere ulteriore sofferenza. È giusto lasciarsi andare, amare perdutamente e poi soffrire, fa tutto parte del gioco" ha spiegato il giovane Chalamet, fresco di nomination all'Oscar come miglior attore protagonista a soli 22 anni, accanto a mostri sacri del panorama attuale come Daniel Day-Lewis, Denzel Washington e Gary Oldman.
"Più ci penso e più non ci credo, è come un sogno esser stato nominato, la mattina mi sveglio e mi tiro dei pizzichi per capire se è tutto vero o no. La cosa più importante però è ricevere l'affetto e i complimenti della gente, ho passato gli ultimi 5 anni a studiare recitazione e fa piacere capire che la strada che ho intrapreso è quella giusta. Non voglio comunque farmi illusioni, ora voglio soltanto godermi questo momento, la vita professionale è fatta di alti come di bassi. Conosco bene cosa si prova a fare un provino dopo l'altro e il tormento per non esser stati scelti, ora però ho la responsabilità di vivere questo momento a pieno, è legittimo godermelo."

Equilibrio assoluto

Raggiungere dei grandi risultati però significa impegnarsi all'estremo, lavorare come forsennati e dare anche se stessi sul set. Molto però dipende da ogni singolo regista, da come gestisce i propri momenti e le proprie scene: "Esistono registi autoritari, ingombranti, Luca invece è un autore incredibilmente equilibrato" ha detto Harmie Hammer, "ti lascia lavorare come desideri, non ti corregge mai e quando lo fa è sempre aperto al dialogo, pacato e aperto a nuove proposte. Amo il suo modo di lavorare con una singola macchina da presa con obiettivo da 35mm, significa che abbiamo uno spazio ampio dentro cui stare e Luca ci ha lasciati liberi di muoverci, di toccare oggetti, di fare tutto ciò che pensavamo potesse servire alla scena. Quando qualcosa non funzionava ne parlavamo e correggevamo, ma in generale abbiamo respirato un'aria di libertà assoluta".
Un racconto confermato dallo stesso Guadagnino: "Se ho imparato una cosa in tutti i miei anni di carriera è che bisogna muovere il quadro, intendo l'interno del quadro, dell'inquadratura. La scena deve prendere vita, bisogna partire dagli umani che si muovono e poi costruire il resto. Tendo sempre a dimenticare la sceneggiatura e a ricominciare da zero insieme agli attori; poi arriva il montaggio, un momento in cui la tela iniziata sul set dev'essere rifinita ed enfatizzata al massimo. Bisogna portare fuori il lavoro fatto dagli interpreti, farlo brillare, poi amo cercare l'armonia nella dissonanza, è difficile ma è quello che voglio fare, che ho sempre cercato di fare".

Utopia e realtà

Un concetto che sta per portare Luca Guadagnino a Los Angeles, in lizza per vincere la statuetta per il Miglior Film: "Sognavo una candidatura sin da quando avevo vent'anni. Proprio pochi attimi fa una mia cara amica mi ha ricordato un pomeriggio di tanti anni fa, ero qui a Roma con lei a bordo del bus 64 e, passando davanti alla basilica di San Pietro, le ho detto 'Magari non diventerò mai Papa, ma una candidatura agli Oscar la voglio a tutti i costi'. Ora che ci sono riuscito mi godo questo momento insieme a tutta la mia troupe, quello di Chiamami col tuo nome è stato un percorso incredibilmente pacato, quasi silenzioso, minimale, eppure il risultato è stato sorprendente. Questo insegna che la passione e l'inaspettato camminano mano nella mano".

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