Intervista Leonardo Pieraccioni

Il regista de Il Ciclone e Un fantastico via vai ci parla di cinema, giovani e... social network!

Intervista Leonardo Pieraccioni
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Il vero ciclone è lui, Leonardo Pieraccioni, che contagia il suo pubblico come un uragano di simpatia. Parla ai ragazzi di brutti voti a scuola, di lezioni saltate e di progetti di vita, ma soprattutto della figlia Martina, che ha dato un senso diverso alla sua vita. Senza prendersi mai troppo sul serio, si considera quasi loro coetaneo. Non ha perso un briciolo di quello stupore che caratterizza i bambini alle prese con le scoperte del mondo. Anche se scherza dicendo di non ricordare quanti anni abbia, poi invece nota ogni piccolo dettaglio di quello che gli accade attorno. Trasforma la realtà in un numero di cabaret e non ha alcuna remora a parlare della figlia Martina, che considera “la fonte della mia serenità”. Ricorda con emozione il debutto con I laureati, anche se poi ammette che tutti i registi ripensando ai lavori passati tendono a considerarli capolavori. “Nel mio caso - parole sue - riguardo i miei film quando li mandano in tv dopo due anni dall’uscita al cinema. Solo allora riesco ad avere una visione chiara di quello che ho fatto”.

Leonardo, cosa ne pensa dei social network?
A 150 metri dalla mia camera d’hotel c’era una discoteca. Contando che io vado al letto alle 11 e che alla reception mi hanno detto che la musica alle 3 del mattino si sarebbe conclusa, mi sembrava doveroso documentarlo. Ammettiamolo, su Facebook e Twitter siamo una banda di grulli. Se avessimo problemi seri o impegni di lavoro non staremmo lì a scrivere, ma la verità è che internet ci sta cambiando la vita e in meglio. È una rivoluzione che ha sostituito la piazza con i social network.

Lei chi segue?
Vasco Rossi su Facebook è fantastico! Ha bypassato le interviste scritte e gli uffici stampa scegliendo un altro modo di parlare. Non esiste più l’idea di “divo”, che rientra in un vecchio modo di fare cinema e tv per aumentare il mistero attorno al personaggio. Semmai temo che le battute divertenti che si leggono su Twitter e Facebook mi rubino il mestiere...

Ha mai pensato di mollare il genere comico per esplorare nuovi registri?
Di copioni drammatici ne ho letto tantissimi ma poi di film del genere non ne ho mai scelto nessuno perché secondo me andare al cinema per un’ora e mezza e non sentire neppure una risata è come essere seduti ad una tavola ben apparecchiata e vedersi togliere il piatto di lasagne da sotto il naso. Sembra una minaccia, ma spero di continuare per almeno 10/12 film sul versante comico. Un fantastico viavai, scritto insieme a Paolo Genovese, è una commedia che parte da dove tutte le altre fatte finora si sono interrotte, ossia sul lieto fine.

Qual è la soddisfazione più grande del suo mestiere?
Il miglior premio per me è la pacca. Ricordo ancora una ricevuta dieci anni fa da una signora a Milano, che molto seriamente mi ha bussato sulla spalla per ringraziarmi di averla fatta stare bene per un’ora e mezza con un mio film. Non sono mai riuscito a soddisfare una donna tanto a lungo (Ride). Scherzi a parte, per me la più bella medaglia è questa.

La gente ha bisogno di ridere di più in un momento di crisi?
Da sempre si ride per sdrammatizzare, ma questo non vale in politica: si dovrebbe smettere di fare giochi da burattini. C’è crisi, la gente si sente affamata e preoccupata, come se le mancasse l’aria e si riversa sul cinema. Ma prima di portare tutta la famiglia a vedere un film in sala ci sono altre esigenze da soddisfare: questo è un termometro per misurare cosa ci sta succedendo.

Quale sarebbe la soluzione?
Basta alla politica con personaggi da reality: sembra di stare al Grande Fratello e a breve finiremo a fare le elezioni a Cinecittà scegliendo il candidato al televoto. Che buffonata! Sarebbe meglio un governo tecnico fatto dai bambini, come quelli del Giffoni Film Festival! Quando ci sono i ragazzi si è sempre davanti alla verità.

A lei è nata da ragazzo la passione per il cinema?
A 12 anni prendevo il bus numero 6 a Firenze dicendo ai miei genitori che andavo a studiare a casa di amici e invece andavo al Cinema Universale, sala d’essai che proiettava i film iconici del passato. Ho iniziato amando i capolavori. Quando invece marinavo la scuola andavo al Giardino dei Boboli e mi divertivo a guardare i tetti e immaginare le storie di chi abitava nelle varie case, come una moglie innamorata del macellaio ad esempio, e da lì creavo film mentali che scrivevo in seguito. Per questo dico sempre che Il Ciclone è stato il mio trentesimo film e non il primo: gli altri 29 erano cortometraggi.

La felicità è un tema a lei caro. In quali piccole cose le capita di assaporarla?
Quella gastronomica innanzitutto, ma faccio prima a dire cosa non mi piace, perché mangio di tutto tranne baccalà, sedano e cetriolo. Avete presente quello di McDonald’s? Sembra messo appositamente per fare impazzire i clienti.

Magari in uno dei prossimi ruoli sarà uno chef...
Robert De Niro per “Toro Scatenato” ha messo su 22 chili: io cerco ancora un regista che mi proponga una parte in cui posso mangiare quello che voglio. Sarebbe fantastico!

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