Intervista Last Vegas: Jon Turteltaub

L'emozione di dirigere un poker di star negli occhi del primo grande ospite del Torino Film Festival

Intervista Last Vegas: Jon Turteltaub
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Assediati dal gelo improvviso calato su Torino in questi giorni, attendiamo in una sala stampa l’arrivo di Jon Turteltaub, chiedendoci come ci debba sentire a trovarsi su un set per dirigere assieme Michael Douglas, Robert De Niro, Morgan Freeman e Kevin Kline, i quattro protagonisti di Last Vegas: un poker d’attori che farebbe gola davvero a qualunque regista. Il trucco è bilanciare l’emozione, ci dirà poi Turteltaub, trovare un equilibrio tra la fascinazione e le esigenze di regia, l’unico punto d’incontro dal quale sarà possibile portare a casa il film. È con questa commedia agrodolce decisamente all star, incentrata sul passare del tempo e l’importanza di mantenere le amicizie giovanili per tutta la vita, che si apre nella cornice del Lingotto la 31esima edizione del Torino Film Festival, la prima targata Paolo Virzì. Oggi, nella seconda giornata di programmazioni, incontriamo il regista Jon Turteltaub per una chiacchierata informale.

Da dove nasce l’idea di Last Vegas?
Jon Turteltaub: In realtà è stato il classico spec script, una sceneggiatura non commissionata ma scritta e venduta direttamente, in questo caso alla CBS Film. Quando loro l’hanno mandata a me era in giro già da cinque anni. Lo script è di otto anni fa, e già al tempo la CBS me ne mandò una copia; mi dissero però che era un film a bassissimo budget, e così non lo lessi neanche. Quando ci sono tornato su in un secondo momento invece me ne sono innamorato e ho detto: “non mi interessa dei soldi, mi va benissimo, lo voglio fare.”

Come avete fatto a coinvolgere un quartetto di attori tanto straordinari?
Jon Turteltaub: uno alla volta (ride). Michael Douglas è stato il primo ad essere coinvolto, del resto lui aveva già letto la sceneggiatura prima che mi venisse proposta; quando sono entrato a far parte del progetto l’ho contattato, ci siamo incontrati e ha dato il suo ok definitivo. Poi siamo riusciti ad avere Robert De Niro, e lì abbiamo iniziato ad entusiasmarci per davvero, avevamo già due grossi nomi e sapevamo che questo ci avrebbe aiutato a convincere i due che mancavano. Per quanto riguarda Morgan Freeman è stato lui a contattare noi: il suo agente aveva letto la sceneggiatura e lo proponeva per il ruolo di Archie. Kevin Kline invece è famoso al giorno d’oggi per non accettare mai nessun ruolo, dice sempre di no a qualunque proposta ed è il motivo per cui oggi lo si vede così poco sullo schermo. Così ho preso l’aereo e sono andato a New York, lì abbiamo fatto una bella chiacchierata di cinque ore e si è convinto ad accettare. Per quanto riguarda Mary Steenburgen, invece, lei voleva assolutamente avere il ruolo di Diana, ci mandava foto e ci siamo incontrati a pranzo più di una volta. Noi abbiamo visto anche altre candidate, ma alla fine abbiamo scelto lei; pensavamo fosse la migliore ed effettivamente lo è stata.

Raccogliere un cast del genere però è solo metà del lavoro, poi bisogna riuscire a guidarlo. E’ stato difficile girare con quattro attori di questo calibro sul set?
Jon Turteltaub: Quando intervisti qualcuno di famoso immagino che la cosa ti innervosisca (ride). Ecco, la stessa cosa è successa a me! Davvero, l’unica difficoltà concreta incontrata sul set è stato il mio timore, loro sono stati tutti estremamente amabili e disponibili, sia l’uno con l’altro che nei miei confronti. Quando una persona sa fare così bene il suo mestiere non c’è alcuna difficoltà, queste subentrano nel momento in cui chiedi a qualcuno di fare qualche cosa che non vuole fare, o quando c’è un’atmosfera sul set che induce ad attriti e discussioni. Ma non è stato questo il caso, sono andati tutti d’amore e d’accordo. In più il budget ridotto ha fatto sì che la durata delle riprese fosse molto contenuta, e non c’è stato proprio il tempo di farsi il sangue amaro e litigare. Se non nutri una sorta di timore reverenziale nei confronti di un grande attore, non sei in grado di fare il tuo lavoro di regista, ma se ce l’hai in modo eccessivo allo stesso tempo non riesci a dirigerlo. Il trucco è stare su quel confine che ti permette di avere entusiasmo per quello che stai facendo e mantenere però il tutto al giusto livello.

Gli attori hanno contribuito in qualche modo alla costruzione del film? C’è stato spazio per scene e battute non previste in sceneggiatura?
Jon Turteltaub: Morgan Freeman vuole solo dire alla lettera le battute previste in sceneggiatura. Anche Robert De Niro vuole attenersi allo script, ma a lui piace provare dieci, venti volte di fila per esplorare varie possibilità di espressione. Kevin Kline invece vuole dire tutte le battute che sono mai state viste in qualunque film e in qualunque tempo! (ride) Gli piace variare posizione, postura, cambiare un cappello con un altro, ballare, per riuscire a trovare sempre il modo più divertente per dire una cosa. Il metodo di Freeman va bene per lui, e allo stesso modo va bene quello di Kline per il suo modo di recitare. Non ho mai visto un film, e men che meno l’ho diretto, in cui la personalità, il carattere e l’immagine pubblica di un attore avessero un effetto così prevalente sul ruolo che stavano interpretando. La scena in cui Michael Douglas alla fine del film si commuove confrontandosi infine con la sua età, è sì scritta in sceneggiatura ma acquista un valore aggiunto perché è lui in prima persona ad essere coinvolto, e lo stesso vale per le scene in cui Freeman ride o balla. Questo è il contributo fondamentale che ciascuno di loro ha dato alle riprese.

Tra le storie dei quattro, ce n’è una che ti ha coinvolto particolarmente rispetto alle altre?
Jon Turteltaub: Si, per me il ruolo più interessante è quello di Kline, perché malgrado possa sembrare impossibile che una moglie faccia il discorso che quella di Sam fa al personaggio di Kevin, io le ho creduto, e credo che il percorso compiuto dal personaggio nel film sia lo stesso che fa ogni uomo ogni singolo giorno della sua vita. Tutti noi siamo chiamati a compiere delle scelte; secondo alcuni lui fa la scelta sbagliata, ma per me è quella giusta.

C’è un episodio sul set che vale la pena di raccontare?
Jon Turteltaub: Devo dire che per questo film sono stati tutti estremamente gentili e corretti, si sono comportati molto bene e nessuno di loro si è dato a grandi scenate. Nessuno di loro voleva essere quello che crea delle difficoltà, o che discute per avere un certo tipo di stanza in albergo invece che un altro. A proposito di albergo... nel film vediamo l’area Hotel di Las Vegas, dove hanno alloggiato tutti tranne De Niro. Lui infatti possiede un albergo a Las Vegas, il Nobu Hotel, e noi non potevamo né offendere l’area né il suo albergo, e così c’era lui che in continuazione entrava e usciva di nascosto dalle stanze... ma no, forse non è una buona storia! (ride). Una cosa che vi posso dire è che non sono stati affatto contenti di salire sulle montagne russe. Michael Douglas detesta l’altezza, e la stessa cosa per Mary Steenburgen, che non era per niente contenta di girare quella scena.

Era chiaro fin dall’inizio chi avrebbe dovuto interpretare chi o sono sorte discussioni? Le assegnazioni hanno influito poi sulla sceneggiatura?
Jon Turteltaub: Non è mai chiaro al cento per cento come un attore possa incarnare il suo personaggio, anche perché i nostri avrebbero potuto rifiutare il ruolo, e in quel caso avevamo in mente già degli altri nomi. E’ stato il caso di Archie, che inizialmente era stato proposto ad un altro attore che ha rifiutato; siamo stati fortunati a quel punto ad avere Morgan Freeman. Una volta scelti gli attori abbiamo fatto una lettura tutti assieme ed è stata assolutamente straordinaria. Ma non ci siamo sorpresi, erano attori che abbiamo visto talmente tante volte in altri film che già sapevamo come avrebbero detto le loro battute. Nonostante ciò però hanno trovato sfumature particolarmente divertenti ed efficaci che hanno poi convinto lo sceneggiatore ad apporre qualche modifica.

La scena in cui si fingono boss della mafia arriva con De Niro o c’era da prima?
Jon Turteltaub: No, era già tutto previsto in sceneggiatura ed ero così felice che potessimo farlo. Era uno dei casi di cui parlavo prima, in cui capisci quanto la personalità di un attore possa influire nell’interpretazione di un determinato ruolo. Abbiamo anche pensato che si sarebbe potuto rifiutare di fare la scena, e invece no, è stato bravissimo. Non l’ho mai detto prima ma se Last Vegas invece di un film fosse una commedia in teatro, probabilmente potremmo invertire tutti i ruoli ogni sera in scena. Loro quattro sono talmente bravi che sarebbero assolutamente in grado di scambiarsi le parti, e di essere comunque altrettanto perfetti.

E’ d’accordo con certa critica americana, che ha parlato del film come di un Una notte da leoni con protagonisti invecchiati?
Jon Turteltaub: No! (ride) Quello che voglio è che la gente ami questo film. Se amandolo fa un confronto con un altro film va bene, ma se fa il confronto per denigrarlo no, allora non sono d’accordo.

Allontanandoci un attimo da Last Vegas, si può avere qualche anticipazione sul terzo capitolo della saga di Natural Tresure (Il mistero dei templari/Il mistero delle pagine perdute, con Nicolas Cage)?
Jon Turteltaub: Spero che si faccia! Esiste un copione anche se non è ancora pronto. Ci spostiamo dagli Stati Uniti per andare in Italia, o in Russia, e l’idea è quella di allargare la famiglia Gates introducendo nuovi componenti. E’ un film che è piaciuto molto e io stesso vorrei vederne un terzo capitolo. Lo vorrebbero adulti e ragazzi, ma in particolare lo vorrei io dato che mi pagherebbero molto di più! (ride)

Le voci che prevedano un’uscita per il 2015 quindi sono solo rumors?
Jon Turteltaub: Purtroppo si, ma se dovesse esserci davvero un terzo capitolo le tempistiche sarebbero quelle solite.

Se dovesse immaginare di rifare questo film tra trent’anni, chi sarebbero gli attori giovani di oggi che chiamerebbe?
Jon Turteltaub: Per Michael Douglas direi Chris Pine. Per Roberto De Niro invece Jesse Eisenberg. Per Freeman... qui è più difficile. Comunque non conta che sia bianco o nero, quindi direi Zachary Quinto. Per Kevin Kline ancora Kevin Kline, anche tra vent’anni!

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