Intervista Gli Sfiorati - Conferenza stampa

Il cast de "Gli sfiorati" a Milano per presentare il film

Intervista Gli Sfiorati - Conferenza stampa
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In uscita venerdì 2 marzo, Gli sfiorati è la seconda prova dietro la macchina da presa del giovane Matteo Rovere, filmaker romano classe 1982 impostosi all’attenzione del pubblico e della critica tricolore grazie al discusso Un gioco da ragazze (2008), prima tappa di una sorta di viaggio iniziatico intrapreso dal regista volto a proporre storie diverse dal solito e nuovi modi di esprimersi attraverso il mezzo cinema.
Quanto segue è un resoconto delle domande più significative poste dai giornalisti al cast della pellicola durante la conferenza stampa milanese, tenutasi lo scorso 23 febbraio presso la Terrazza Martini di Piazza Armando Diaz.
Oltre allo stesso Matteo Rovere, erano presenti i protagonisti Andrea Bosca e Miriam Giovanelli e lo scrittore Sandro Veronesi, autore dell’omonimo romanzo che ha ispirato il film.

Quali sono le principali differenze che intercorrono tra il libro e il film? E quali le similitudini?

Andrea Bosca: In sostanza, ciò che cambia dal libro al film sono i toni di narrazione.
Ciò che invece rimane del tutto invariato è questa idea di ossessione in modo così profondo sulla quale abbiamo lavorato molto.
La stessa passione/ossessione per la grafologia che ha il mio personaggio è un aspetto molto importante e al quale abbiamo dedicato una congrua attenzione.
La cosa più difficile è stata proprio imprimere la giusta efficacia a questa sorta di dipendenza - da una persona piuttosto che da una sostanza - insita un po’ in tutti i personaggi.

Leggendo il romanzo, quali sono stati i fattori che vi hanno convinto a trasporlo sul grande schermo?

Matteo Rovere: Domenico Procacci venne da me con questo romanzo e ne rimasi totalmente folgorato, al che, io e gli sceneggiatori, come diceva prima Andrea, abbiamo deciso di mantenere pressoché invariato quello che era lo spirito contenuto in quelle pagine, quindi quell’ossessione spesso tendente alla perversione che accomuna i protagonisti. Questo è stato, in pratica, il punto da cui siamo partiti e che ci ha più affascinato nell’intero romanzo.

Matteo, quali sono stati i modelli che più ti hanno ispirato?

Matteo Rovere: Semplicemente ho fatto un salto indietro a quella che è stata la mia infanzia attingendo dal cinema degli anni ’90, un’epoca alla quale devo molto e che, per questioni anagrafiche, ha contribuito più di tutte a influenzarmi in maniera positiva.

Che tipo di approccio hanno avuto gli attori nel confrontarsi con i loro personaggi e con le rispettive ossessioni?

Andrea Bosca: Come attori abbiamo dovuto confrontarci con un universo sconosciuto, sia a noi che agli spettatori. In questo, Matteo ci ha aiutato molto perché è riuscito a imprimere in ognuno di noi una parte dei personaggi che interpretavamo, di modo che, alla fine, le loro vite non risultavano così diverse dalle nostre.

Miriam Giovanelli: Per me, questa è stata la prima esperienza come attrice a tutto tondo, perché mi sono confrontata con un vero set e un vero regista che ha saputo dirigermi in tutto ciò che facevo. Anche per me vale quanto detto da Andrea, nel senso che sono riuscita a trovare nel del mio personaggio dei caratteri molto simili a ciò che sono io.

Andrea, come ti sei preparato per interpretare questo ruolo?

Andrea Bosca: Ho cominciato ad assimilarlo leggendo il libro di Sandro, dopodiché l’ho sviluppato con la sceneggiatura. E’ stato un lavoro abbastanza bizzarro perché mi sono preparato per sei mesi e, arrivato sul set, ho dovuto “dimenticare” tutto. Interpretare questo personaggio mi ha fatto capire che un attore non deve seguire sempre regole prestabilite, ma affidarsi anche a ciò che gli suggerisce l’istinto.
Poi, naturalmente, i vari corsi di grafologia che ho seguito mi hanno lasciato parecchio ed è stata un’esperienza semplicemente meravigliosa.

Matteo, che tipo di pubblico ti aspetti per questo tuo secondo film? A chi ti sei rivolto quando l’hai pensato?

Matteo Rovere: Quando si fa un film si cerca di parlare a un pubblico il più vasto possibile per un motivo fondamentalmente banale, ovvero perché si pensa che la storia che racconti possa avere un’universalità, altrimenti non la racconteresti.
Questo è un film un po’ pruriginoso e un po’ sensuale, ma allo stesso tempo molto centrato nel descrivere una società a prescindere da quelle che sono le varie fasce di spettatori.
Questo sentirsi “sfiorati” è un modo di essere che non appartiene solo ai ragazzi degli anni ’80, come sostiene Sandro Veronesi nel suo libro, ma è una cosa che, secondo me, accomuna anche gran parte delle persone nella nostra contemporaneità.

Matteo, secondo te, essere “sfiorati” è più vero adesso o lo era più negli anni ’80?

Matteo Rovere: Leggendo il romanzo ho subito pensato quanto fosse incredibile che i fatti e i personaggi raccontati fossero molto legati anche al presente. Gli “sfiorati” esistono e si stanno espandendo. Il problema è che, oggi, la “sfioratezza” non è neanche più una caratteristica ma è diventata quasi una qualità, un fatto comune che accomuna tantissime persone. Personalmente la considero quasi un’arma di difesa contro una società che attacca tutti senza distinzioni. In questo, anch’io mi sento un po’ uno “sfiorato”...

Matteo, in questo film tu racconti i giovani d’oggi, ma è curioso notare che questi, al contrario dei loro coetanei che abbiamo visto al cinema in questi ultimi tempi, non ricorrono quasi mai all’uso della tecnologia. Come lo spieghi?

Matteo Rovere: In realtà questa è una cosa in parte voluta, perché nel film ci sono diversi riferimenti a Facebook e altri social network, ma tutti i personaggi, entrando in contatto con questo mondo di “sfioratezza”, cercano quasi di riallacciarsi alle relazioni umane dimenticando la tecnologia.

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