Elle - l'incontro con Paul Verhoeven a Roma

Regista di Robocop e Atto di forza, l'olandese Paul Verhoeven ha incontrato a Roma la stampa in occasione dell'arrivo in sala del suo acclamato Elle.

Elle - l'incontro con Paul Verhoeven a Roma
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Vincitore del Golden Globe nelle categorie relative al miglior film straniero e alla migliore attrice, ovvero Isabelle Huppert (oltretutto qui candidata al premio Oscar), Elle - tratto da un romanzo di Philippe Djian - si appresta ad invadere le sale cinematografiche italiane, distribuito da Lucky Red. Con protagonista una donna che, a capo di una grande società di videogiochi, gestisce affari e relazioni sentimentali ricorrendo al pugno di ferro e vede improvvisamente cambiare la propria vita dal giorno in cui viene aggredita in casa da un misterioso sconosciuto, è il lungometraggio che segna il gradito ritorno alla regia di un lungometraggio per l'olandese classe 1938 Paul Verhoeven. Autore, tra l'altro, di Robocop e Basic instinct, il cineasta ha incontrato la stampa a Roma; dove, parlando anche di questa appena iniziata era Trump, ha osservato che in questo "momento politico piuttosto pericoloso" la cosa più importante per il cinema sarà l'evasione; come testimonia, a detta sua, anche il successo ottenuto da La La Land, film ottimista che riporta ai vecchi tempi andati, in cui tutto era più semplice.

Isabelle e le altre


Isabelle Huppert è stata candidata al premio Oscar. Come mai il film non è rientrato nella cinquina? È forse troppo eversivo per gli americani?
Potendo formulare soltanto delle ipotesi su quanto accaduto, sicuramente il terzo atto di Elle è molto difficile e, appunto, non è stato accettato dagli americani. Parlo del momento in cui lei passa da vittima allo sviluppo di un rapporto di natura sadomasochista con il suo violentatore. È un qualcosa di estremamente controverso e che, ovviamente, non ci ha consentito di raccogliere finanziamenti per la realizzazione del film in America e neppure di trovare attrici lì disposte a farlo. Il fatto che sia stato escluso dalle candidature è, probabilmente, politico.
Al di là delle tematiche relative alla violenza sulle donne ed al femminicidio, nel film è presente molta ironia...
L'ironia, in un certo senso, era già accennata nel romanzo di partenza, in quanto lo scrittore Dijan passa da parti di durissima violenza ad aspetti molto più sociali, con gli incontri che Isabelle intrattiene nel film. C'è un po' di noir nel mio lungometraggio, ma non volevo realizzare un thriller, non doveva appartenere ad un genere specifico, desideravo che fosse scevro. Quindi, volevo accentuare l'aspetto ironico. Oggi nel cinema si tende troppo a categorizzare. Io ritengo che la vita non sia classificabile come un genere.
Le donne dei film di Paul Verhoeven sono sempre tormentate, borderline...

In questo caso, il personaggio femminile in questione è già nel libro da cui ho tratto il film, ma, in generale, non sono attratto da donne tormentate e non considero tale neppure questa interpretata dalla Huppert. Mi sembra una donna piuttosto normale, ha subìto determinati eventi durante la propria infanzia, il suo carattere è stato probabilmente forgiato soprattutto dal sapere che il padre uccise ventisette persone. Non la vedo come una tormentata, ma una sopravvissuta, una donna che rifiuta di essere vittima e di essere vista come tale. Infatti, quando, seduta al ristorante, racconta ai propri amici quanto accadutole, dice "Credo di essere stata violentata", ma noi sappiamo benissimo che lo è effettivamente stata. E, quando le persone a cui lo racconta mostrano pietà e compassione nei suoi confronti, lei taglia corto e cambia discorso. Quindi, non è sicuramente squilibrata o tormentata, è il suo carattere ad essere così.
Rispetto agli uomini, qui le donne sembrano essere vincenti...
Anche questo aspetto era già contenuto nel libro, compresa la scena finale. Abbiamo modificato e ampliato un po' i personaggi, ma io non ho inventato nulla e, fondamentalmente, non mi ci sono neanche concentrato troppo. Ho seguito ciò che il testo offriva.
Come avete lavorato con Isabelle Huppert?

Per un cineasta, c'è molta più libertà in Europa che negli Stati Uniti. Isabelle Huppert era interessata a questo progetto prima che entrassi a farvi parte io, aveva già contattato lo scrittore. Poi, avendo il produttore Saïd Ben Saïd lavorato in film in lingua inglese di Roman Polanski, David Cronenberg e Brian De Palma, ha contattato me per girare il film negli Stati Uniti ed abbiamo ingaggiato lo sceneggiatore David Birke per fargli scrivere il copione in inglese. Però, dopo aver mandato la sceneggiatura ad agenti e ad attrici, non abbiamo trovato nessuna disposta ad accettare questo ruolo controverso e problematico. A quel punto, dopo tre mesi, ci siamo detti che era il caso di riportare il film in Europa, a Parigi e, quindi, molto umilmente siamo tornati da Isabelle per chiederle se era ancora disposta a prendere il ruolo. Lei ha immediatamente accettato e, oltretutto, non è stato necessario parlarle di aspetti dal punto di vista psicologico, freudiano, perché ha accettato di realizzare tutto quello che era contenuto nella sceneggiatura. Non ha avuto da ridire su nulla, anche perché è una persona estremamente audace quando crede nel ruolo che sta per interpretare e non cerca di attirarsi la simpatia del pubblico, proprio come me.

Paul instinct


La modifica principale che la sceneggiatura ha apportato alla storia raccontata nel libro sta nell'aver trasportato tutto nell'industria dei videogiochi...
L'idea di rendere la protagonista manager di una società che realizza videogiochi è venuta fuori perché nel libro si parla del fatto che lei è leader di un gruppo di scrittori e sceneggiatori di televisione e cinema. Non è stato tanto il discorso dell'interesse suscitato dal fatto che si dice che c'è un rapporto di causalità tra il guardare videogame violenti ed essere persone tendenti alla violenza; magari qualche relazione c'è, ma, fondamentalmente, da un punto di vista visivo sarebbe stato difficile mostrare nel film una ventina di persone intorno ad un tavolo che discutevano di script che nulla avevano a che vedere con il resto della storia. Una sera, a cena a Los Angeles con mia moglie e le mie figlie, chiedevo proprio loro cosa avrebbe potuto funzionare come sostituto del suo lavoro e mia figlia più piccola, che conosce i videogiochi, mi ha dato il suggerimento. L'ho proposto allo sceneggiatore ed ho scoperto che è un fanatico di videogame. Siamo andati a Parigi a visitare una società che li realizza e, non potendoci permettere di costruire un videogame nostro, ne abbiamo presi due o tre dei loro e li abbiamo mescolati.
Come si è evoluta la figura della donna nella filmografia di Paul Verhoeven?
Penso che, con il passare degli anni, diventando più vecchio sono maggiormente interessato alle donne rispetto agli uomini. Si vede anche dai protagonisti che ho scelto per i miei ultimi film, sono stati sempre femminili. Credo che, per me, le donne siano molto importanti. Mi rendo conto di quanto sia stata importante ed influente mia moglie nella mia carriera e nel mio lavoro, quante cose abbiamo vissuto e attraversato insieme, quante difficoltà abbiamo superato. Posso dire di ammirare le donne. Comunque, il mio prossimo film sarà su due donne, due suore, sarà ambientato in Toscana, nel Medioevo, e parlerà di qualcosa che succede all'interno di un monastero a Pescia, cittadina vicino Firenze. Il titolo provvisorio è Blast virgin e si basa su Immodest acts, libro scritto da un professore americano che ha effettuato una serie di ricerche negli archivi fiorentini. Poi, ho in preparazione anche il mio film su Gesù.
Non era in progetto anche un biopic su Adolf Hitler?
In realtà, il film su Hitler è basato su un libro che venne scritto nel 1928 da un amico di Bertolt Brecht e, pur essendo ambientato nel 1923, anno del colpo di Stato organizzato e attuato dal cancelliere, ne è protagonista un personaggio femminile.
Quando venne girata la scena di Basic instinct in cui Sharon Stone accavalla le gambe, Paul Verhoeven immaginava che sarebbe diventata iconica, una delle scene più conturbanti della storia del cinema?

No, anche perché quella scena l'abbiamo girata a fine giornata, quando gli attori erano andati via ed eravamo rimasti solo io, Sharon Stone e il direttore della fotografia. L'abbiamo girata in una diecina di minuti e me ne ero completamente dimenticato; poi, quando il montatore mi ha fatto vedere quella scena mi è venuto da ridere e gli ho chiesto come mai avesse inserito anche quelle immagini. Lui, che è una persona tanto carina, cattolica e per bene, mi ha risposto "Le hai girate, quindi le ho messe". Non credevamo, però, che ciò avrebbe avuto quell'effetto dirompente, ce ne siamo resi conto soltanto una volta mostrato il film al pubblico. Tra l'altro, ciò si basava su un fatto vero, in quanto, quando andavo all'Università, c'era una ragazza che andava alle feste senza mutandine, mostrando tutto con estrema facilità e che non si faceva problemi ad accavallare e scavallare le gambe quando i miei amici lo chiedevano. Lei rispondeva che le mutande non le portava apposta per quello (ride).
Continuamente, si fanno remake, anche dei suoi film. Tra qualche anno, magari, gli americani torneranno sui loro passi e rifaranno questo...
Non credo che lo faranno nei prossimi quattro anni (ride). Non posso credere neppure che saranno otto, già è attualmente abbastanza seria e grave la cosa.

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