Intervista Dallas Buyers Club: Jared Leto

Il poliedrico leader dei 30 Seconds to Mars ci parla della sua esperienza sul set del suo nuovo film

Intervista Dallas Buyers Club: Jared Leto
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Guardando Dallas Buyers Club non si può che restare affascinanti dalle performance di Matthew McConaughey e Jared Leto, che nel film sembrano aver cancellato le proprie identità per immergersi completamente nei complessi personaggi di Ron e di Rayon. Ed è quello che ci conferma anche Jared Leto al Festival Internazionale del Film di Roma, in una conferenza stampa nella quale c’è spazio davvero per tutto: le battute dirette ai presenti (per i più svariati motivi, tra l’altro), gli scambi con i fan, le informazioni sul film e una sequela di piccoli aneddoti ed espressioni che riguardano l’Italia. E se è vero che Jared torna al cinema a distanza di molti anni, e ci spiega anche come mai, non si vergogna a dire che, in un ipotetico e impossibile caso, sceglierebbe di salire sul palco con la sua band, piuttosto che presenziare sul set di un film. Saranno contentissimi i fan dei Thirty Seconds To Mars che, tra l’altro, hanno avuto anche l’esclusiva dell’annuncio di un nuovo concerto italiano in programma per il prossimo anno.

Questo film è soprattutto di grandi interpretazioni. Entrambi i protagonisti avete perso tantissimi chili per l’occasione... puntate alla cinquina degli Oscar?
Non si tratta tanto di quanti chili perdi, ma di come questo ti cambi. Ho perso circa dieci chili, ma a un certo punto ho smesso di contarli, perché non mi importava quanti fossero. Ma è meraviglioso che abbiate amato le nostre performance e i nostri personaggi. Per me è stato chiaro fin dall’inizio che Rayon è un uomo che vuole vivere come una donna, non una queen o qualcuno che è interessato al glamour. È semplicemente qualcuno che si identifica con un genere diverso. Non volevo portare in vita un cliché o uno stereotipo, il modo in cui generalmente vengono messi in scena questi personaggi.

Non ti vediamo molto sullo schermo, come mai? E come spieghi che il film che hai fatto prima di questo, Mr Nobody, ci abbia messo quattro anni per arrivare negli Stati Uniti?

Non faccio molti film, probabilmente perché non sono mai stato interessato a farne il più possibile, voglio solo fare i più interessanti. Sai, non penso che solo perché ami qualcosa, devi farlo tutto il tempo. Io amo la musica e la mia band mi occupa molto tempo ed energia. Credo che Mr Nobody sia stata una sfida per il pubblico americano e i distributori non erano pronti. Ma è bello che sia finalmente uscito.

Che cosa ti ha spinto ad accettare questa sceneggiatura?

È stato molto d’impatto, un po’ come vedere il film. È stato emozionante, è stata una sfida... Ho sentito che questa sceneggiatura è stata in giro per Hollywood per quindici anni prima che questo film fosse fatto. Mi sono subito innamorato di Rayon! È una storia molto commovente da leggere e volevo far parte di questo film, è una di quelle opportunità che ti capitano una volta nella vita.

Qual è il ruolo per il quale uccideresti?

Magari quel ruolo che non è ancora stato scritto. È bello essere sorpresi da quelle sceneggiature di cui non hai nessuna idea, come un transgender... insomma se mi avessero detto dieci anni fa chi avrei interpretato, che mi sarei fatto la ceretta alle sopracciglia, indossato una parrucca e andato in giro sui tacchi, avrei risposto che erano pazzi! Non sai mai cosa c’è dietro l’angolo, cosa ti porterà il domani.

Di recente hai detto che ci sarebbero state delle news sull’Italia. Di cosa parlavi?

È un segreto. Sapete tenere un segreto, no? Stiamo organizzando uno show a Roma e credo che a febbraio o marzo suoneremo a Roma. Abbiamo suonato a Milano la scorsa settimana ed è stato favoloso. L’Italia ha tra i pubblici migliori del mondo.

Come ti sei documentato prima di girare il film?

Ho cominciato dall’inizio, ascoltando persone transgender che vivono le loro vite come faceva Rayon. E poi ho iniziato un viaggio alla ricerca del mio lato femminile, un processo davvero incredibile.

Cosa pensi di avere in comune con il tuo personaggio?

Be', ho davvero delle belle gambe! Ci sono molte cose di me nel personaggio: è divertente e ama divertirsi, è paziente... c’è un sacco di amore intorno a lei. È un personaggio che vive la sua vita e celebra la vita ed è una grande qualità.

Che cosa pensi del problema dell’AIDS?

Nel 1985 avere l’AIDS era come una sentenza di morte, si moriva in fetta. È stato un periodo davvero difficile. Questa è una delle cose che amo del film, perché ricorda la verità di quel periodo e della situazione della comunità omosessuale. Ma il centro della questione è su come trattiamo la gente malata.

Mi ha molto colpita l’intensità emotiva del tuo personaggio. Come sei riuscito ad arrivare così in fondo a questo personaggio? E com’è stato lavorare con Matthew e Jennifer?

È stato bello lavorare con loro, ma non li ho mai davvero incontrati fino a quando il film non è stato presentato a Toronto. Ero nel mio personaggio, molto concentrato e connesso al ruolo. La parte emotiva del viaggio, la più importante, è quella che ti permette di comunicare e raccontare la storia al meglio. Anche perdere peso è tutto connesso all’identità del personaggio.

Il personaggio di Ron è davvero molto toccante. Quando hai letto la sceneggiatura ne sei stato colpito anche tu?

Certo, ero davvero molto commosso. Ho pensato che fosse una storia unica, mi sono innamorato della parte e ho amato l’idea di lavorare con Matthew, e con Jennifer quando poi si è aggiunta più tardi, ero molto emozionato perché trovavo il regista molto interessante. Abbiamo tutti visto l’opportunità di raccontare una storia davvero speciale e abbiamo lavorato duramente per fare qualcosa di meraviglioso da condividere con voi.

I due protagonisti sono molto diversi ma complementari. Ti è mai passato per la testa di scambiarvi le parti?

No, non penso proprio. Credo di essere nella giusta parte, che Rayon fosse fatta per me e Matthew fosse nato per quella parte. Lui è del Texas e sono sicuro sia stato un cawboy prima... e io ho davvero indossato dei tacchi in passato!

Se, per assurdo, nella stessa data ci fosse una importante scena da girare e un concerto della band, quale sceglieresti? Dovrei andresti?

Non credo succederebbe, perché sono molto bravo a organizzare il mio tempo. Ma... probabilmente sceglierei il palco. C’è qualcosa di incredibile nel girare il mondo e condividere la musica con le persone. Il cinema è una cosa più solitaria. Sceglierei la musica, ma amo i film, amo dirigere, recitare. Un film può cambiare la tua vita. Ma quando sei sul palco, con un gruppo di pazzi, è tutto magnifico. Ma fortunatamente non devo scegliere, posso fare entrambi, anche se una volta ogni sei anni. Non voglio farvi stancare di me!

Qual è la tua band preferita?

Quando ero piccolo erano I Led Zeppelin e i Pink Floyd, il rock classico. Poi sono passato ai The Cure, NIN, Nirvana. Mi piaceva un sacco di musica rock.

Artifact ha vinto un premio a Toronto, i tuoi video, diretti dal tuo alter ego, sono dei piccoli film. Hai mai pensato di dirigere un film di fiction? Ti vedi come un regista?

Sai, io ho iniziato a studiare come regista. Prima volevo essere un pittore, poi ho deciso di essere un regista. Ho lasciato al terzo anno per iniziare a recitare, perché pensavo che iniziando a recitare sarebbe stato più facile per me diventare un regista. Ma nel frattempo andavo avanti con la mia musica e diventava una parte sempre più grande della mia vita. Ma passo molto tempo dietro la macchina da presa e sicuramente continuerò a farlo.

Questo film mi ha fatto pensare a Requiem for a Dream: ti senti più a tuo agio in questi film o in quelli più di genere?

Devo ammettere che mi sento più tranquillo con questi film indipendenti. Ho sempre amato quel tipo di film, quando penso ai film che mi piace vedere mi vengono in mente cose come Gomorra. Requiem for a Dream e Dallas Buyers Club penso siamo simili in un certo senso: ci sono un gruppo di sognatori che rimangono intrappolati da una serie di circostanze dalle quali non possono sfuggire. Ma amo i film indipendenti, gli esperimenti visuali... il motivo per cui si fanno quei film è la passione e non solo per diventare ricchi o vendere popcorn. Amo i popcorn ma non è sempre una buona ragione per fare film. Generalmente cerco di fare film artistici e mi piace davvero farli. E poi a volte questi piccoli film ti spezzano il cuore...

Il film in qualche modo denuncia le contraddizioni del sistema sanitario americano...
Io credo che tutti meritano di avere delle buone cure mediche, così come meriti di avere acqua da bere e un rifugio. Sono requisiti di base. Ho avuto un’esperienza in Italia con la sanità. Ero in tour e non riuscivo a farmi curare e tossivo da mesi, ma abbiamo trovato qui a Roma una clinica che è stata capace di curarmi. E mi ha dato dei medicinali, ma solo dopo avermi fatto scegliere quale poteva essere la cura migliore. Sai, in America ti avrebbero dato semplicemente la più forte... “così cura qualsiasi cosa”. Ed è incredibile che la medicina costasse solo 7 euro... è meraviglioso!

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