Intervista Canti della forca

Abbiamo lasciato che fossero i personaggi di Canti della Forca a raccontarci chi è Stefano Bessoni

Intervista Canti della forca
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È da poco disponibile in libreria (pubblicato da Logos Edizioni) Canti della Forca, il progetto che unisce cinema, letteratura e illustrazione di Stefano Bessoni. Riferimenti al macabro e filastrocche, significati sottointesi e puro piacere del lasciarsi trasportare dalle emozioni suscitate dal connubio di immagini e parole, il progetto supera le classiche barriere della classificazione artistica e si spinge oltre, divenendo un tutt'uno con l'autore. E se spesso si decide di parlare con un regista per approfondire il lavoro svolto sul film, questa volta abbiamo deciso di lasciare che fosse la sua passione per Canti della Forca a parlarci di chi è Stefano Bessoni e del suo complesso universo creativo. Ma prima di cominciare questa chiacchierata bisogna tenere bene a mente che Canti della Forca "non è di immediata comprensione, come Morgenstern stesso". Lo scopo primario di Stefano, infatti, è di presentare Christian Morgenstern al pubblico italiano: nonostante il suo lavoro sia praticamente inserito nei programmi di studio di molte scuole europee, come quella tedesca, l'autore è completamente sconosciuto dalle nostre parti. E anche recuperare le sue opere risulta un'opera complicatissima.. per questo diventa fondamentale il lavoro di Canti della Forca che, questa settimana, dopo la premiere mondiale al Sitges Film Festival, viene presentato al pubblico italiano durante l'edizione 2013 del Lucca Comics & Games.

Connessioni: l’autore e il regista

Perché in Italia il lavoro di Morgenstern non ha funzionato?
Per prima cosa bisogna tener conto che si tratta di poesia ed essa non ha mercato. In più nasconde significati che hanno collegamenti con la filosofia e con Nietzsche in particolare. Oggi posso permettermi di presentare il suo lavoro grazie a Tim Burton: mostrandolo come filastrocche macabre, e non come poesia che parlano di esistenzialismo, riesci a sdoganare la cosa. È ovvio che chi legge può prenderle in entrambi i modi, come filastrocche macabre legate ai morticini, ma può anche approfondirne la filosofia.

Quanta della filosofia originale di Morgenstern è rimasta in Canti della Forca?
Ho cercato di rispettare il più possibile le poesie originali, traducendole e adattandole all'italiano. Poi ho creato un parallelo di prosa, che rendesse l'opera più fruibile, commerciale e personale. Il racconto è una totale mia invenzione che crea la storia di collegamento tra le poesie. Gli ho creato intorno una vera e propria impalcatura, anche a livello cinematografico.

Il macabro è molto presente, ma anche una sfumatura molto tenera, sentimentale, emotiva. Tutto ciò era già presente nella versione originale?
In parte si ma, non essendoci una struttura narrativa non emergeva. Si tratta però di un contesto poetico, macabro ma non splatter. Mi piace tornare a una dimensione dell'orrore post-romantica, che richiami i racconti di Poe, che tenda a ricreare un contesto dark, ma che abbia anche dei contenuti. Personalmente cerco di lavorare su tutto questo, cercando di mantenere un equilibrio che non mi renda nemmeno troppo sdolcinato.

Nel libro c'è un'interessantissima storia che si lega al passato di due personaggi attraverso il meccanismo degli orologi. Che cosa rappresenta?
La fobia nei confronti del tempo, un'ossessione da parte di Morgenstern e, di rimbalzo, anche mia. Una sorta di controllo del tempo che sfugge e, quindi, la necessità di creare dei marchingegni che riescano a controllarlo. Per Morgenstern tutto questo avveniva attraverso gli orologi, per me con il cinema. Io ho la paura e l'ossessione per la morte e il cinema diventa una sorta di marchingegno per riuscire a gestire in maniera effimera la morte. Sono storie complicate, ma secondo me non bisogna arrovellarsi troppo a cercarne i significati e lasciarsi trasportare dalle poesie.

La maggior parte dei protagonisti del corto tratto da Canti della Forca sono immaginari, tranne l'illustratore. Quanto di Stefano Bessoni c'è in lui e, di riflesso, quanto di Morgenstern c'è in te?

Praticamente sono io. Per molto tempo sono stato combattuto di interpretare io stesso quel personaggio: quello è il mio studio, il mio tavolo da lavoro, i miei disegni... però, da regista, non me la sono sentita, sarebbe sembrato un essere presuntuoso. Ma sono io, indiscutibilmente. Di Morgenstern in me c'è tantissimo: ci sono strane coincidenze che potrebbero farmi pensare di essere una sua reincarnazione, ma ho troppo i piedi per terra... la verità è che mi identifico tantissimo nel suo lavoro e cerco di farlo mio, oltre che di farlo conoscere in Italia.

Tra tutti i personaggi della storia, quello che emerge maggiormente è il bambino...
Volutamente gli ho dato maggiore importanza rispetto agli altri. Nell'immaginario di Morgenstern è solo uno dei tanti: troviamo solo la ninnananna del piccolo impiccato. Poi ogni tanto la sua presenza si percepisce in altro, ma non essendoci una vera e propria struttura narrativa si assiste solo a una successione di poesie e personaggi, senza che nessuno emerga davvero. Ma il piccolo impiccato torna sempre. Ovviamente io ho fatto una selezione dei personaggi, nell'opera originale ce ne sono molti altri. Ma si capisce che per Morgenstern il piccolo impiccato era un personaggio importante, anche se non lo sottolinea troppo. Poi ho creato questa sorta di dualità, con il piccolo impiccato scheletrico e quello bambino, ho cercato di fornirgli una sorta di mitologia che lo collegasse alle storie degli altri impiccati della fratellanza.

Personaggi: come la morte prende vita

Guardando al corto, i tuoi personaggi hanno una strana particolarità. Muovono costantemente le dita, tanto da apparire l'unica cosa davvero viva all'interno di tutta la costruzione filmica...
Non è una cosa voluta, non c'è un motivo per questo. Ma me ne sono accorto anche io dopo averlo rivisto. Probabilmente ho fatto uno transfert psicologico sui personaggi animati. Sai? Io non riesco mai a stare fermo e tocco continuamente degli oggetti. Ho inconsapevolmente trasferito questa mania ai personaggi animati. È un mondo morto in cui i morti si muovono: molti di loro sono realizzati con ossa e materiali animali, che li rendono ancora più macabri. Nel corto appare perfettamente la mia costante frenesia del voler fare, spesso frenata dalle circostanze, e l'immobilità, che è una caratteristica tipica del mio stile registico.

La tua frenesia di fare viene fuori soprattutto quando hai una matita in mano: non puoi fare a meno di disegnare. Quanto ha influito questa abitudine sulla lavorazione dei personaggi di Canti della Forca?
Ho scoperto Morgenstern a metà degli anni 90 e fin da subito ho iniziato a disegnare i suoi personaggi. È un progetto che porto avanti da tantissimo tempo e non è la prima volta che ci lavoro. Possiamo definire questo corto una sorta di teaser di un qualcosa di più grande, un lungometraggio, per il quale sto cercando degli appoggi a livello europeo, in particolare a Berlino e Londra. In questi giorni ho scoperto che il corto è stato riconosciuto di interesse culturale e presto sarà arricchito del personaggio in carne e ossa di Morgenstern e di nuove animazioni, divenendo una sorta di iperteaser del lungometraggio finale.

Questi personaggi hanno sempre avuto la stessa morfologia, sin dal 1996?
Alcuni hanno la stessa morfologia, tipo l'impiccato che è lo stesso da 16 anni. Altri hanno subito delle mutazioni e delle riscritture, anche nella versione narrativa.

Ma come si formano nella tua mente questi personaggi? Arriva prima la loro immagine o la loro storia?
Generalmente arriva prima l'immagine, altre volte invece prima delle successioni a livello di storia. Ormai sono talmente abituato a lavorare a tutto tondo che non riesco più a distinguere cosa arriva prima. Mi piace lavorare in maniera mista e vorrei continuare così.

Molti dei progetti sui quali stai lavorando si sono formati nella tua testa parecchi anni fa: fa parte della tua metodologia di lavoro dedicare moltissimo tempo a ogni cosa?
Esattamente. Mi vengono delle idee, cerco di capire se permangono e se sono valide ci lavoro e le sviluppo. Al momento ho una library di almeno 7/8 progetti già scritti, pronti e sviluppati.

E questo lavorarci contemporaneamente, non porta i progetti a influenzarsi tra di loro?
Sicuro. Ma credo che sia giusto così. Non c'è l'inizio e la fine di qualcosa, tutto si compenetra. Per me poetica e stile vengono prima di tutto ed è questo che caratterizza un regista.

Perché hai scelto di lavorare con la stop-motion per questi personaggi?
Perché mi piace, perché significa animare cose morte ed è quindi la rappresentazione concettuale del concetto stesso dei Canti della Forca. E poi è il mezzo migliore per rendere tridimensionale tutto. L'alternativa poteva essere l'animazione 3D ma non mi convince: l'animazione in stop-motion ha una forza molto diversa. Certo, a livello pratico ci si lavora molto. Per questo corto abbiamo lavorato circa 4 mesi, ma ne vale la pena... anche se ci vogliono anche i soldi per farlo.

Canti della forca I pupazzi utilizzati in Canti della Forca sono realizzati in gomma modellata attorno a una intelaiatura in filo d'alluminio, che permette agli animatori di realizzare una vasta gamma di movimenti. Sono stati realizzati da Gigi Ottolino su disegni e indicazioni di Stefano Bessoni, che poi li ha assemblati e dipinti a mano, esattamente come nelle illustrazioni del libro. Per il regista è fondamentale che non sia stato lui stesso a modellare i pupazzi, perché così rispecchiamo davvero fedelmente i disegni di partenza, senza le eventuali modifiche creative che lui stesso avrebbe potuto apportare.

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