Intervista Bullet to the Head

Sylvester Stallone e Walter Hill raccontano il cinema d'azione.

Intervista Bullet to the Head
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Si tratta forse del personaggio più atteso della settimana edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, unico esempio di quella parte glamour del cinema che la kermesse sembra aver un po' snobbato. Sylvester Stallone, protagonista di Bullet to the Head di Walter Hill, ha animato il festival con le sua innata capacità da intrattenitore, sottolineando, prima di qualsiasi altra cosa, l'importanza del settore produttivo e storico del cinema italiano, con un appello di speranza nei confronti di Cinecittà. "Prima di procedere con la conferenza stampa voglio dire che nel nostro settore è molto raro trovare dei luoghi che sono dei cult, dei miti. Voi siete fortunati perché avete Cinecittà, che è praticamente un museo e mi auguro che troviate un modo per far sopravvivere questo luogo, che sono convinto tornerà a splendere!". Entusiasta e fomentato, Stallone si conquista così il primo di una lunga serie di applaus,i dimostrando di non essere solo un icona multigenerazionale del cinema d'azione americano, ma anche un istrionico comunicatore con piena consapevolezza di stesso, della sua intelligenza e dei ruoli che è chiamato a interpretare ogni giorno. Con lui sono saliti sul palco anche il regista Walter Hill e lo sceneggiatore (italianissimo) Alessandro Camon, pronti a rispondere alle curiosità della sala sul film.

Uomini del futuro, ma con un passato.

Ieri ha incontrato il pubblico di Tor Bella Monaca ed è stato accolto con molto entusiasmo. Che emozioni le ha dato questa esperienza?
SS:
Quello in cui sono stato ieri è un quartiere di periferia come quello in cui sono cresciuto io. Capisco la loro situazione, quello che passano, come sono costretti a crescere. È stata un'esperienza fantastica e credo sia stata un'idea geniale organizzare un incontro con loro, lì. Ci ho tenuto a dire loro di non avere paura del fallimento, perché falliranno tantissime volte, ma ogni volta diventeranno più saggi.

Lei è stato sia Rocky che Rambo, personaggi iconici per diverse generazioni. Sente il peso di questo ruolo?
SS:
In un certo senso si, ma un buon peso. Questi due personaggi sono molto diversi tra loro e interpretarli è stato molto strano. Penso che Jimmy, il protagonista di questo film, sia un po' una via di mezzo tra loro due e che sia un'ottima occasione per creare un nuovo personaggio che diventi un'icona per questa generazione.

Bullet to the Head è un esempio di come si possano fare degli ottimi film d'azione anche senza l'uso di grandi effetti speciali, basandosi solo sulla storia. Stava cercando di far arrivare questo messaggio a Hollywood con il suo lavoro?
WH:
Io non cercavo di dire nulla a Hollywood, ho solo pensato che fosse una buona storia. È stato Sly a chiamarmi per chiedermi di leggere la sceneggiatura. Sapete, noi siamo amici da anni ma non abbiamo mai avuto modo di lavorare insieme. Credo si tratti più che altro di un omaggio a un certo cinema d'azione, quello degli anni Settanta e Ottanta, ma allo stesso tempo è moderno. Devo dire però che si tratta di un film che si è formato strada facendo. È la prima volta che lavoro con una star che è anche un regista. Spesso la gente lo dimentica, ma Sly ha diretto molti film, forse una decina, che saranno anche la metà di quelli di un normale regista ma sono comunque tanti. Abbiamo messo insieme i pezzi mentre ci lavoravamo.

Quale pensa sia stato l'incontro che le ha cambiato la vita? E cosa la rende, nonostante la sua età, così giovanile?
SS:
Mi alleno con le attrezzature Technogym, che sono costruite in Italia! È quello che faccio, mi alleno molto. Quando da giovane mi sono trasferito a Hollywood ero molto ottimista, ero convinto che tutti mi avrebbero amato. Con Rocky avevamo fatto un sacco di soldi, solo che io non ero ancora stato pagato e vivevo in un appartamento da schifo. Così sono andato dalla produzione a chiedere dove fossero i miei soldi e loro mi hanno risposto di tornare a lavoro, che non gli interessava niente di me. Mi avrebbero pagato quando gliene sarebbe venuta voglia. Il nostro lavoro è un business, non una storia d'amore. La gente pensa solo agli affari. Non ero arrabbiato con loro, anzi l'ho ringraziato per avermi insegnato una grande lezione. Da quel momento ho deciso di fare solo film che parlassero di combattere e non arrendersi...

I dialoghi di questo film sono molto esaltanti. Come avete lavorato su essi? C'è qualche film a cui si è ispirato?
AC:
Voglio precisare che il film è un adattamento di una storia a fumetti francese. L'abbiamo cambiata, ma era già molto forte di per sé. Nei dialoghi, devo ammettere, c'è molto di Sly e di Walter che fornivano costantemente idee e suggerimenti. Se c'è un film che può essere stato fonte d'ispirazione, questo è 48 Ore. La formula di questo genere di film nel tempo si era deteriorata. Il conflitto dei personaggi era divenuto sempre meno forte, più un conflitto di stile che di moralità. In Bullet to the Head, invece, i protagonisti sono un poliziotto e un criminale, sono esattamente ai lati opposti della legge. È vero, lavorano insieme, collaborano, ma da un momento all'altro potrebbero anche ammazzarsi a vicenda.

Il linguaggio visivo di questo film può in qualche modo richiamare i suoi vecchi film e il mondo della fantascienza?
WH:
Una delle cose fondamentali che hanno a che fare con il lavoro a Hollywood riguarda il concetto di opportunità. Negli ultimi anni non ho trovato molte opportunità, però non voglio che questo film sia visto come un esperimento. Siamo abituati a vedere giganteschi film d'azione, mentre il mio è un film d'azione con dei limiti, dei confini. Magari ricorda un po' il metodo di lavoro del passato, ma non ci piace pensare a noi stessi come uomini del passato... ciò non toglie però che un passato ce l'abbiamo comunque.

Per il ruolo di Jimmy si è ispirato ai suoi vecchi personaggi?
SS:
Credo che si impari sempre dai propri errori. A volte ho fatto film d'azione in cui c'era solo molta azione. Questo film è differente: il dialogo e l'umorismo che ne vengono fuori sono molto interessanti e rendono il mio personaggio diverso da quelli del passato. Il conflitto in questo progetto viene fuori dalla personalità dei protagonisti e non solo dalle scene d'azione.

Una volta lei ha detto che si poteva ritrovare il genere western in qualsiasi film. È ancora convinto di questa idea?
WH:
Certamente. Il trucco di un film è quello di creare un mondo che somigli molto al western. Anche in quei film i mondi erano inventati eppure li prendevamo per veri. Il compito difficile che un regista ha è quello di creare un mondo che risulti sempre credibile, che sia sufficientemente reale, in modo che i rischi che i protagonisti corrono nel corso della storia siano sempre plausibili. È una specie di danza tra realtà e finzione, che ci risulta più semplice e istintivo accettare in un film western.

Lei è un grande attore, ma come si compone la sua vita fuori dal set?
SS:
È una cosa che mi sono sempre chiesto anche io. Che cosa fanno gli attori quando non recitano? Si dedicano alla cucina? Portano a spasso il cane? Recitano? Io in realtà inseguo le mie figlie per casa e devo dire che questo mi tiene veramente molto impegnato. Sono arrivato come Rocky e Rambo e mi sono ritrovato in una casa dove sono tutte femmine: mia moglie, le mie figlie, due domestiche, i miei cani. Abbiamo un solo cane maschio... ed è stato castrato. E questo fa riflettere molto sulla mia vita fuori dal set.

Uno dei suoi primi incontri è stato con Woody Allen. Ce lo racconta?
SS:
È stata un'esperienza molto brutta, di quelle che ti cambiano la vita. Stavano lavorando a un film e stavano cercando qualcuno per il ruolo del cattivo. Ci siamo presentati io e un ragazzo più basso di me, ma Woody dice all'aiutoregista di riferirci che non facciamo abbastanza paura. Così io e l'altro ragazzo siamo andati via, siamo andati a comprare della vasellina, ce la siamo spalmata sul volto e poi ci siamo riempiti di polvere e sporco. Siamo tornati da Woody e gli abbiamo chiesto: ora facciamo paura? Lui si è spaventato, ha reagito in modo nervoso e ci ha presi. Questo incontro mi ha insegnato a non arrendermi mai.

Perché crede che gli spettatori si entusiasmano e accettano di più le scene di grande violenza piuttosto che quelle di sesso?
WH:
Mi sta dicendo che le piace guardare la violenza ma non il sesso? Onestamente credo alle persone piacciano le storie e la violenza fa parte dei film, così come della letteratura, sin dai tempi di Omero. È la completezza di una storia a darci piacere, perché si contrappone alle nostre vite frammentate. Ma tutte le storie sono violente, anche quelle d'amore come Cime Tempestose. Solo che non tutte sono violenze fisiche, molte sono emotive.

L'ultima volta che ha presentato Rambo, ha lasciato una finestra apera su questo personaggio.
SS:
Rocky è un personaggio finito. Ormai è un atleta che ha raggiunto il suo massimo. Rambo invece ha mentito a se stesso per tutta la vita, è uno di quegli uomini che hanno bisogno di una guerra, che non può tornare a casa. Ha bisogno di morire in modo glorioso. C'è un'idea su Rambo, ci stiamo lavorando e spero funzioni. Ma chissà, Rambo potrebbe trovarsi a combattere cose come l'artrite! Oppure tornare come Rambolina. La società odierna è abbastanza aperta da poter accettare anche una cosa del genere.

Agli inizi Arnold Schwarzenegger era il suo più grande rivale e ora gira voce che, oltre a I Mercenari 2, farete un film insieme. È vero?
SS:
Il mio antico rivale... si, come Annibale. Ormai è diventato un vecchio amico. Abbiamo lavorato insieme e abbiamo fatto questo film in cui lui è fantastico.

Uno dei momenti più memorabili del film è il combattimento con le asce con Jason Momoa.
WH:
Io mi sono divertito molto a fare quella scena, ma forse perché non ero io a dover combattere.
SS:
Infatti non è stato per niente divertente.
WH:
Quando ho iniziato a lavorare a questo film molti mi hanno chiesto come pensassi che loro due potessero andare d'accordo. Invece siamo andati tutti molto d'accordo e Jason è una persona adorabile. Ma la scena delle asce è l'unica in cui io e Momoa abbiamo litigato di brutto.
SS:
Ma poi abbiamo fatto a modo mio ed è andato tutto molto bene! Walter ha avuto l'idea del combattimento con le asce e Jason è molto atletico. È un uomo enorme ma si muove come una pantera.
WS: Sono convinto che se le cose non le rendi un po' divertenti non funzionano. Nel momento in cui il personaggio di Sly chiede "Chi siamo, vichinghi?", la scena diventa reale.

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