Divorzio a Las Vegas, la recensione del nuovo film con Giampaolo Morelli

Oltre all'attore napoletano, la commedia sentimentale di Umberto Carteni vede Andrea Delogu al suo esordio sul grande schermo.

Divorzio a Las Vegas, la recensione del nuovo film con Giampaolo Morelli
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Una commedia da vedere al cinema. Sembrerà strano, dato che ultimamente le storie d'amore più popolari hanno una vita più lunga sulle piattaforme streaming che in sala, eppure Divorzio a Las Vegas, film di Rai Cinema diretto da Umberto Carteni, che oltre a Morelli e Delogu conta anche Ricky Memphis, Grazia Schiavo e Gianmarco Tognazzi, è proprio pensato, scritto e messo in scena per il grande schermo. La storia è quella di due quarantenni che da ragazzi, tra peyote, alcol e voglia di avventura, si erano sposati a Las Vegas dopo essersi appena conosciuti, senza mai più rivedersi dopo quella notte.
Lorenzo, spin doctor ingenuo e indolente, ed Elena, donna in carriera e prossima al matrimonio con un uomo ricchissimo dalle velleità nobiliari (Tognazzi), saranno costretti a ritrovarsi dopo vent'anni per tornare nella Città del Peccato e annullare un vincolo dimenticato da entrambi.

Una commedia all'americana

Astenersi nostalgici della commedia all'italiana. Siamo di fronte a un film che guarda al futuro, che piaccia o meno, se per futuro si intende la tendenza del mercato internazionale a uniformare i lungometraggi di mezzo mondo agli standard hollywoodiani, soprattutto nella prospettiva di una seconda vita su Netflix, Amazon Prime Video e via dicendo.
Divorzio a Las Vegas, con una storia tutt'altro che graffiante ma che, anzi, si presenta fin dall'inizio come conciliante (soprattutto tra le differenze di classe) si candida a diventare un instant classic che tra qualche anno vedremo e rivedremo in prima serata sulla tv generalista.
Efficace nel susseguirsi di gag azzeccate che fanno ridere più di quanto ci si aspetti, derivativa e cinefila quanto basta (Lorenzo sembra risolvere ogni situazione citando una battuta a effetto dei film americani con cui è cresciuto - e noi insieme a lui), piena zeppa di brand e di "scene cartolina" di Las Vegas e Roma e infine consolatoria, sia in termini sentimentali che per quanto riguarda uno dei grandi topoi americani come la "seconda occasione".
Una di quelle commedie alla Nancy Meyers (What Women Want, È complicato) costruite con grande mestiere in cui il fascino degli attori coinvolti, l'originalità dell'intreccio e i momenti comici, se ben amalgamati, riescono a dare la giusta dignità a film spensierati e leggeri.

Poca Italia, dunque, se escludiamo i tratti partenopei di Giampaolo Morelli e la romanità di Ricky Memphis, e tanto immaginario americano coadiuvato da una buona sceneggiatura che valorizza anche i comprimari attraverso la regola degli opposti che si attraggono, che permea tutto il film.
Così come lo stesso Memphis, nullafacente pignolo travolto da una delusione d'amore e Grazia Schiavo, attrice di razza nei panni di un'avvocatessa inflessibile e austera.
Andrea Delogu unisce al fascino insospettabile della ragazza qualunque la forza di una presenza scenica sorprendente e, in effetti, se pensiamo all'originalità con cui utilizza i social e alla disinvoltura con cui passa da un genere televisivo all'altro e dalla radio alla tv, è perfetta nell'incarnare una donna desiderosa di (ri)affermare un'indipendenza e un'identità tutt'altro che scontate.

Un product placement eccessivo e un'ottima regia

Nelle commedie sentimentali americane avviene spesso che lui o lei siano coinvolti in un progetto di lavoro più o meno competitivo, che se svolto con successo determinerà uno scatto di carriera con tutte le implicazioni esistenziali connesse. Già dopo un quarto d'ora la pellicola è ricca di spot più o meno evidenti ma è l'azienda per cui lavora Elena a guadagnare lo spazio maggiore. La protagonista deve architettare qualcosa di rivoluzionario in termini di impatto ambientale e i dialoghi col capo assomigliano più a proclami destinati a motivare il personale che alle scene di un film, in ogni caso politiche simili di product placement servono anche ai fini produttivi di un prodotto del genere, dunque chiuderemo più di un occhio e concentreremo la nostra attenzione sulla storia.
Divorzio a Las Vegas resta in ogni caso un prodotto da vedere in sala, senza aspettare il passaggio casalingo. Stupisce come Umberto Carteni, un passato come regista di pubblicità televisive prima di esordire nella commedia con Diverso da chi?, scelga una fotografia così curata (Emanuele Zarlenga) e una messa in scena che esalta la sceneggiatura adoperando come si deve le regole del cinema.

Assistiamo a sterminati piani lunghi e lunghissimi nel deserto del Nevada, all'immancabile scena dell'ingresso a Las Vegas fatta di rapidi movimenti di macchina fra i neon e a primi piani solo quando servono.
Tante anche le scene, alcune corali e ben riuscite, che sfruttano la profondità di campo, in cui i dettagli degli ambienti che ospitano i personaggi - dalla prigione al tribunale, dal club al night passando dalla camera d'albergo a soqquadro in stile Una notte da leoni - spesso ci parlano più dei corpi, dei volti e delle battute.

Divorzio a Las Vegas Divorzio a Las Vegas conta sicuramente su un cast di rilievo. Insieme a Giampaolo Morelli, Ricky Memphis, Grazia Schiavo e Gianmarco Tognazzi, spicca l’esordio di Andrea Delogu. Quest’ultima interpreta una donna in carriera che prima del matrimonio si ricorda di essersi già sposata, precisamente a Las Vegas, vent’anni prima, con un ragazzo incontrato per caso e poi dimenticato. Dopo essersi ritrovati, i due saranno costretti a tornare nella Città del Peccato per un divorzio lampo. Il film fa tesoro della lezione americana in fatto di commedia sentimentale riuscendo a mescolare con efficacia un buon intreccio, il fascino degli attori coinvolti e degli ottimi momenti comici. La Delogu è convincente nel ruolo della donna che invece di “imborghesirsi” definitivamente riscopre la sua vera natura. La nota dolente è un product placement troppo invasivo che rovina diverse scene ambientate a Roma. Tuttavia la pellicola si distingue per la cura del reparto tecnico e per una regia pensata più per la sala che per la visione casalinga.

7

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