Recensione TRON Legacy

Siete pronti ad entrare nella rete?

Recensione TRON Legacy
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"I've got all the patterns down, up until the ninth key.
I've got Speedy on my tail, and I know it's either him or me.
So I'm heading out the back door and in the other side;
Gonna eat the cherries up and take them all for a ride."


Pac-man Fever, Buckner e Garcia

Gli anni 80 non sono stati caratterizzati solo dalle improbabili cotonature di Pete Burns dei Dead or Alive e gli altri gruppi pop e new wave e dalle guerre stellari di Ronald Reagan. I favolosi '80s sono stati il periodo in cui il medium videoludico ha iniziato la sua scalata di quella vetta che lo avrebbe poi portato a superare il giro d'affari dell'industria cinematografica. Quegli aggregati di pixel noti come Pac-Man, Frogger, Q-Bert e Donkey Kong, mossi, all'epoca, da dei microprocessori che oggi impallidirebbero di fronte all'iPhone che teniamo in tasca, stavano entrando con forza nell'immaginario collettivo, in tempi in cui l'America e il resto del mondo riuscivano ancora a cibarsi e vivere di ottimismo perché esisteva ancora la possibilità di sperare in un domani migliore, anche se i territori oscuri, legati alla minaccia tecnologica della guerra nucleare, minavano questa incondizionata visione positiva del futuro. L'America stava poi assistendo ad un cambio generazionale del volto dei suoi portabandiera del settore economico: da sempre legato al comparto automobilistico ed industriale e, conseguentemente a beni "tangibili", venne rivoluzionato con la nascita di Silicon Valley, l'ascesa dei tycoon nerd Bill Gates e Steve Jobs, due facce di una stessa, rivoluzionaria medaglia. Due film in particolare hanno saputo esprimere al meglio questa temperie: WarGames di John Badham, in cui un giovanissimo Matthew Broderick, giocando a una sorta di variazione sul tema Asteroids, rischiava di scatenare una guerra termonucleare, e TRON, diretto da Steven Lisberger e prodotto da una Disney in crisi che stava tentando disperatamente di ritrovare il suo ruolo di punta all'interno di una factory che l'aveva relegata nell'angolo, remunerativo quanto si vuole, ma enormemente limitato e limitante, dell'intrattenimento familiare. Uscita nel 1982, la pellicola di Lisberger venne finanziata dalla casa di Topolino dopo essere stata rimbalzata da tutti gli altri maggiori studi hollywoodiani. Non fu un vero e proprio flop, ma ebbe di certo una tiepida accoglienza: il pubblico rimase spiazzato da una pellicola Disney che di disneyano aveva davvero ben poco. Giudicandolo col senno di poi, con occhi abituati (e forse anche anestetizzati) da anni ed anni di computer grafica sempre più spettacolare, la ventata d'innovazione portata da Lisberger rischierebbe di non ricevere la giusta attenzione e forse è vero che, specie a causa di una sceneggiatura tutt'altro che di spessore, TRON sia invecchiato peggio di altri cult anni ottanta (come il coevo Blade Runner). L'importanza seminale della pellicola, però, è, in un certo modo, aumentata nel tempo: è stata la prima storia a mettere di fronte lo scontro e il rapporto fra l'uomo e la tecnologia digitale tratteggiando un affresco in cui il conflitto fra le due parti si risolveva in maniera ottimistica.
Sono trascorsi ben 28 anni dal primo TRON e quello che ci domandiamo è come potrebbe risolversi in pieno 2010 una storia che pone di nuovo l'elemento umano in contrasto con quello informatico?

Into the grid

L'anno scorso, siamo rimasti parecchio impressionati dal constatare come nelle sale fosse arrivato un film in mocap, A Christmas Carol, a tinte marcatamente horror prodotto da Walt Disney. Oggi stiamo qua a parlare del seguito di un film cult da ogni tecnofeticista del globo. Segno che forse qualcosa a Burbank era definitivamente cambiato da quando Henry Selick e Tim Burton dovettero rilasciare il loro Nightmare Before Christmas sotto etichetta Touchstone poiché gli executive dello studio non volevano associare il marchio principale dello studio ad un cartoon "gotico". Quando abbiamo incontrato Steven Lisberger a Venice presso gli studi di Digital Domain, è stato lui stesso a ricordare che la filosofia di quel genio del cinema e della finanza noto come Walt Elias Disney era "I don't make movies to make money. I make money to make movies" ("Non faccio i film per fare i soldi. Faccio i soldi per fare i film"). TRON Legacy nasce da un'intuizione narrativa tanto semplice, quanto geniale. Kevin Flynn, una volta diventato CEO della software house ENCOM ha continuato imperterrito ad entrare ed uscire dalla Rete per seguire la sua visionaria idea di un mondo in cui la tecnologia avrebbe drasticamente migliorato la vita di tutto il genere umano. Una sera, dopo aver salutato suo figlio Sam, di appena 9 anni, non ha più fatto ritorno a casa. 20 anni dopo, il ragazzo è ormai cresciuto, ha degli ovvi problemi di relazione con le autorità precostitute, ed è azionista di maggioranza della softco. Ditta della quale si disinteressa in maniera quasi totale se non fosse per l'annuale hackerata ai danni del nuovo OS e, di conseguenza, del consiglio d'amministrazione. Il suo padre putativo Alan Bradley gli rivela, un giorno, di aver ricevuto una chiamata al suo cercapersone ("hai ancora un cercapersone?") proveniente dal numero della Sala Giochi Flynn, inattivo da ben vent'anni. Spinto da curiosità si reca nella Flynn's Arcade e, fortuitamente, riesce a trovare il laboratorio segreto di suo padre, punto di accesso a quella rete in cui si troverà catapultato lui stesso. Ma molti cicli sono trascorsi da quando suo padre e TRON (il programma del suo collega e amico Alan) si avventuravano all'interno del Grid e la rete ha continuato a crescere ed evolversi. Diventando sempre più pericolosa.

Who's your User?

Dopo un anno di battage mediatico incessante in cui Disney ha dispiegato una mole gargantuesca di materiali virali e non, con una campagna marketing che definire titanica è poco, il rischio di rimanere bruciati è alto. In una stagione in cui la major ha acquisito alcuni dei suoi maggiori successi al botteghino, Alice in Wonderland e Toy Story 3, ma anche due film dalle performance decisamente al di sotto delle aspettative, Prince of Persia e L'Apprendista Stregone, come finirà per porsi questa nuova creatura cinematografica? In attesa di scoprire la risposta del botteghino (che a sua volta darà definitivamente una rotta allo sviluppo futuro del brand TRON) dedichiamoci al film in sé perché ci sono parecchie cose su cui disquisire, sia in positivo che in negativo. Ma dato che la bilancia tende nettamente a favore delle prime, diamo prima spazio alle seconde.
Uno dei concetti su cui l'esordiente Joseph Kosinski e gli sceneggiatori Horowitz&Kitsis hanno voluto fondare lo script è il rapporto padre-figlio. Il risultato finale è troppo debole e privo d'incisività, malgrado il promettente incipit ambientato nel 1989 a casa Flynn, in cui viene posta una base emotiva e relazionale che poi non viene minimamente sviluppata. Un po' a causa di un Garrett Hedlund incapace di reggere la parte in maniera credibile, un po' per colpa di un Jeff Bridges dai piedi scalzi, pseudo-zen, troppo imbolsito ed eccessivamente posticcio nelle scene in cui compare ringiovanito al di fuori del Grid, un po' per l'oggettivo demerito della sceneggiatura, l'agire dei personaggi "in carne ed ossa" appare estremamente più programmato rispetto a quello dei programmi di sintesi della rete, più "umani" ed imprevedibili. La stessa utopia di CLU, il doppio malvagio di Kevin Flynn, è scarsamente articolata e tutto, compreso il finale, pare voler fare affidamento su delle pretese di serializzazione multimediale (cosa che sembrerebbe confermata dal piacevolissimo cameo iniziale, che non vi riveleremo, fatto da un giovane attore estremamente valido, e ancora troppo poco sfruttato dal cinema, che si propone come potenziale nuovo villain del sequel di Legacy). Per non parlare dei didascalici rimandi ai temi come quelli delle epurazioni razziali naziste, anche se la potenza visiva dell'adunata in cui CLU arringa al suo esercito di programmi è notevole (e con questo arriviamo a due richiami in 16 anni alla follia del Reich rappresentata all'interno di un film Disney, dopo quella di Scar e delle iene con tanto di passo dell'oca ne Il re Leone). Probabilmente, sarà proprio la sceneggiatura il punto in cui le critiche al film tenderanno a convergere e su cui i detrattori insisteranno con più veemenza, anche se Legacy, proprio come il primo TRON (anch'esso molto lacunoso sotto questo punto di vista) basa la sua forza su altro. Gli elementi positivi di TRON Legacy stanno tutti nella veicolazione di un messaggio che arriva tramite l'essenzialità, la simmetria e la precisione della composizione visiva e della sinergia fra immagini e musiche. Chiaramente, su questo siamo pronti a mettere la mano sul fuoco, molti avranno da ridire sul fatto che la pellicola di Kosinski non segni un'effettiva rivoluzione estetica per il cinema, magari tirando in ballo paragoni con altri sci-fi di successo, uno su tutti Matrix. Ovviamente, questa si tratta di una semplice congettura che chi vi sta parlando in questo momento non può confermare con matematica certezza, dato che ha evitato come la peste bubbonica le recensioni del film che arrivavano da oltreoceano e oltremanica (ad eccezione di quelle scritte da Empire, che infatti tirava in ballo il film dei Wachowski, ed HitFix). Fermo restando che Matrix poteva apparire rivoluzionario solo a chi non aveva mai sentito parlare della telecamera virtuale di Super Mario 64, di Ghost in the Shell e degli Shaw Brothers, TRON Legacy non è e neanche poteva essere rivoluzionario: si basa sull'espansione di un universo ideato 28 anni fa (non è che il nome TRON Legacy sia stato scelto a caso). La Rete del film si è ingrandita ed è progredita tecnologicamente e strutturalmente in maniera assolutamente credibile e coerente: è come assistere all'evoluzione del Mushroom Kingdom di Super Mario, passato dalla bidimensionalità del coin-op del 1985 alla tridimensionalità di Super Mario Galaxy. La logica su cui si basa TRON, ieri come oggi, è quella dell'evoluzione tecnologica, fatta di upgrade e miglioramenti, piuttosto che di "revolutions". In senso lato, è come parlare della mutazione stessa avvenuta nella tecnologia e nei suoi (più o meno) addicted: negli anni '80 il nerd era una figura identificata col sociopatico sfigato che al posto di andare dietro alle ragazze preferiva veder comparire il proprio nome al primo posto della vanity board di Pac-Man e, quando stava a casa, trascorreva il tempo nella sua cameretta a giocare con l'Atari prima e col Nes poi. Oggi i tempi sono cambiati.

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Change the scheme! Alter the mood!

Da roba per disadattati, i vari orpelli tecnologici sono oggi diventati, stilosi, sexy, tattili: oggetti di uso comune che affascinano tutti, uomini e donne indistintamente. Ma, soprattutto, negli anni duemila la tecnologia è diventata invasiva, ai limiti del disturbante, per quanto possa suonare paradossale quest'affermazione su un sito che parla di cinema e videogiochi. Più che un mezzo atto a renderci la vita più semplice, sta diventando un'entità che contribuisce a renderci in qualche modo più schiavi e dipendenti da essa (alzi la mano chi non intrattiene un rapporto ai limiti del morboso con le e-mail ora che con gli smartphone e i tablet siamo raggiungibili sempre, comunque e dovunque). TRON Legacy sviluppa tramite la sua concezione estetica il senso ultimo di queste nostre parole. La messa in scena fa della simmetria geometrica di forme e suoni, d'ipnotiche luci al neon il veicolo principale per sviluppare l'allegoria di un universo digitale che con la bellezza del design e dell'interfaccia, ci sta trascinando all'interno di un mondo sempre più digitale e meno analogico (ed umano). Due sequenze in particolare evidenziano nettamente questo passaggio. La prima, forse un po' troppo ovvia, è quella in cui il consiglio d'amministrazione di ENCOM sta per lanciare il nuovo sistema operativo: una rivoluzione utile? No, anche qua si tratta solo di mettere un nuovo numero sulla confezione del software, venduto a prezzi spropositatamente elevati solo per far schizzare in alto il titolo della compagnia in borsa. L'altra è quella in cui la scomparsa di Kevin Flynn viene data tramite una distesa funerea e tetra di schermi televisivi: come per dire "belli, gli anni'80 di TRON sono morti e sepolti, ora le informazioni viaggiano sulla rete". Il salto netto dal low-fi di TRON all'high tech di Legacy sta tutto in questa allegoria della tecnologia che, anni fa, da alcuni folli visionari, era intesa come un mezzo per raggiungere un miglioramento della qualità dell'esistenza del genere umano, mentre invece è stata usata in gran parte per creare dei bisogni accessori, di utilità opinabile, capaci però di generare un grande giro d'affari, nonché una riorganizzazione dei nostri schemi mentali, delle nostre routine lavorative e della gestione del nostro tempo (il multitasking è il mantra moderno, fare 150 cose contemporaneamente è la regola). Probabilmente, se questo messaggio fosse stato veicolato anche col supporto di una sceneggiatura più profonda, staremmo qua a parlare di capolavoro assoluto, al posto di chiederci "ma che cavolo ha fatto Alan Bradley in tutti quei 20 anni in cui il suo caro amico aveva fatto perdere le proprie tracce?" e "ma chi non ha mai sentito parlare di TRON riuscirà a capire qualcosa della contrapposizione fra creativi e programmi?". Tuttavia, il cinema ha dei modi di trasmissione delle idee che possono variare in maniera sostanziale. TRON Legacy ha optato per quella estetica. Joseph Josinski ha gestito senza incertezze una macchina produttiva dalle dimensioni eclatanti (a parte un paio di prolessi piuttosto banali): il suo background di architetto e regista di spot pubblicitari lo ha, forse, aiutato nell'erigere una struttura visiva che si fonda, ancor più del film di Lisberger, su un formalismo geometrico tanto spettacolare quanto essenziale. In tempi in cui girare delle scene d'azione significa fare un montaggio di 800 angolazioni di ripresa diverse in un secondo, col risultato finale di un caos incomprensibile, Kosinski sceglie un approccio "a la Nolan", limitando i virtuosismi fini a se stessi, in cui, strano a dirsi, si riesce ad afferrare con lo sguardo chi sta facendo cosa, con l'aiuto della scelta cromatica tipica del mondo di TRON in cui i programmi e le guardie del sistema hanno due colorazioni differenti, blu e rosso: come nelle care modalità multiplayer dei videogiochi in cui per facilitare il gamer la CPU assegna delle livree differenti ai partecipanti. E, parlando di videogames, è impossibile non apprezzare l'upgrade delle sequenze action delle battaglie con i memory disc, di quelle di guida a bordo delle iconiche LightCycle e il legame cosmetico sempre più stretto e circolare che viene a crearsi con Zelda: Twilight Princess di Eiji Aonuma, che presentava certe soluzioni grafiche dichiaratamente ispirate al film di Lisberger. Davvero superfluo il commento sulle musiche composte dai Daft Punk che forniscono un perfetto contrappunto musicale alle vicende del film. Alternando sonorità sinfoniche ed altre più abituali al loro stile electrobeat, il duo francese si concede anche qualche rimando allo score di John Carpenter e del suo cupo 1997: Fuga da New York (con End of Line), e al Vangelis di Blade Runner (nel brano Arrival), Guy Manuel de Homem Cristo e Tomas Bangalter meritano di trovare un posto d'onore alla prossima notte degli Oscar. Le prove più valide di tutto il cast vengono fornite da un'Olivia Wilde sempre più simile all'androide C-18 del Dragonball Akira Toriyama, convincente nei panni di un programma "giovane" e curioso di tutto quello che riguarda il mondo dei creativi, dal lezioso ed opportunista Jarvis (James Frain) e, soprattutto, da un Michael Sheen in versione Ziggy Stardust che, in 5 minuti, riesce a rubare la scena a tutti e a tenere banco, nonostante la penalizzazione di un doppiaggio italiano incapace di trasmettere la sua performance in maniera ottimale.

Eredità digitale

1982-2010. L'eredità di TRON è arrivata portandosi dietro molte delle lacune di sceneggiatura che affliggevano il film di Steven Lisberger, tanto da spingere Peter Griffin a domandarsi "come si chiamava il cattivo di TRON?" in una puntata di Family Guy. Lacune che non hanno impedito al film Disney di 28 anni fa di diventare un cult geek per la maniera in cui veniva raffigurata e trasmessa la grande fiducia riposta dall'uomo nella tecnologia. Un rapporto che nel 2010 si è fatto più glamour di quanto non fosse quasi trent'anni fa, ma che dietro la sensualità glossy degli iPad and co. nasconde molte zone d'ombra. Joseph Kosinski, nel suo esordio in un lungometraggio, sopperisce agli scricchiolii dello script, con una messa in scena tanto fastosa, quanto essenziale e geometrica, capace di manifestare questa paradossale dicotomia di una tecnologia sempre più sensuale e "cool", quanto totalizzante nella sua invasività quotidiana. Se la sceneggiatura alla base di TRON Legacy fosse stata al livello della sua spettacolarità (a proposito: il 3D è ben fatto e gioca efficacemente con la spazialità della Rete), e meno orientata alla serializzazione dei fatti narrati, saremmo stati qua a parlare di capolavoro. Nota a margine: TRON Legacy è un film abbastanza dark nella sua rappresentazione (il parallelo col film di Carpenter citato quando abbiamo parlato dello score è da estendere anche in tal senso), musicato da due star della musica famose quanto si vuole, ma apprezzate soprattutto da chi si è cibato di chip DSP nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza fatte di brani in PCM, in cui si parla di entità perfette chiamate ISO. In poche righe abbiamo adoperato termini che risulteranno alieni ad una larga fetta del pubblico cui Disney ha intenzione di rivolgere il film in occasione delle imminenti festività. Non sappiamo se la major recupererà la spesa, arrivando a guadagnarci pure. Il film viene spacciato come un nuovo Avatar, ma la pellicola di James Cameron, anch'essa carente sul fronte dello script, presentava una storia decisamente più digeribile dall'uomo della strada. Quello che possiamo affermare con certezza è che il progetto TRON Legacy è ammantato da una vena di follia se non paragonabile a quella di 28 anni fa, di sicuro superiore alla media.

TRON Legacy Insieme a Scott Pilgrim TRON Legacy è il film più nerd degli ultimi mesi (se non addirittura anni). Pur sperando che la storia possa proseguire in seguito al bacio del box-office, non possiamo fare altro che ringraziare Kosinski e Disney per questo paradiso cinematografico geek. "I don't make movies to make money. I make money to make movies". Grazie Walt.

8

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