Tomas Milian, quel pistolero trucido che viveva in una capanna al Pincio

Se ne va un mito che ha attraversato almeno tre generazioni e che ha legato la propria fama a er Monnezza e al western all'italiana

Tomas Milian, quel pistolero trucido che viveva in una capanna al Pincio
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"Una scena che mi diede grande soddisfazione fu quella della mia morte. Mi sparavano e io cadevo a terra a pancia in giù, con la faccia di traverso, e mentre morivo vedevo la sabbia vicino alla mia bocca che si muoveva al ritmo del mio respiro. Senza perdere il controllo della scena pensai: 'Attraverso la sabbia si renderanno conto della mia morte...'. Iniziai a diminuire la forza del mio respiro. Sempre meno... sempre meno. Finché chiusi gli occhi e non respirai più". Suonano strane e surreali le parole di Tomas Milian contenute nell'autobiografico Monnezza amore mio, in cui descrive una delle sequenze più significative del suo primo western, The Bounty Killer (conosciuto anche col titolo di El precio de un hombre). Se n'è andata a 84 anni per colpa di un ictus una delle icone più celebri del cinema italiano anni '70 e '80. Negli ultimi anni, dopo un lungo soggiorno nella nostra penisola, si era ritirato a Miami, salvo fare un'incursione al Festival del Cinema di Roma del 2014. Tomas l'alternativo, il cubano che detestava Fidel Castro e che non vedeva di buon occhio l'Avana (il padre, ex ufficiale del''esercito, si suicidò davanti al piccolo Tomas pochi anni dopo il Colpo di Stato di Batista del '33). Da l'Havana a Spoleto. Da piccolo Tomas viene soprannominato Don Quintin el Amargao (l'amareggiato) per via del desiderio irrefrenabile di fuggire via da una realtà che sente come estranea al proprio modo di essere. La folgorazione avviene qualche anno più tardi, in seguito alla visione de La valle dell'Eden con James Dean. Pochi dollari in tasca e via, Milian parte alla volta dell'Actors Studio di Elia Kazan e Lee Strasberg. "Qui non si studia, qui si esplora" fanno sapere al giovane aspirante attore, che qualche anno dopo - è il 1959 - giunge in Italia per partecipare al Festival di Spoleto. Debutta nel cinema impegnato, lavorando con maestri quali Bolognini, Lattuada e Visconti. Ma il cubano trapiantato in Italia ben presto sposa la causa dei film di cassetta.

Peones, banditi e compañeros

Una vita privata movimentata, se non turbolenta, caratterizza i primi anni romani di Tomas Milian. È un continuo susseguirsi di flirt, esperienze gay e traslochi, con l'attore di Delitto al ristorante cinese che passa dagli attici dei Parioli ad una capanna malmessa al Pincio, all'interno di Villa Borghese. Stufo delle precarie condizioni economiche e di un certo cinema intellettuale, Milian diviene un volto celebre dello spaghetti e Zapata western: è il periodo de La resa dei conti, Tepepa, Faccia a faccia (di cui non conserva un buon ricordo a causa degli attriti con Gian Maria Volonté) e, soprattutto, Vamos a matar compañeros, in cui forma un formidabile trio assieme a Franco Nero e Jack Palance. A proposito dell'attore di Django, Milian rivela nella propria autobiografia un aneddoto destinato a divenire cult: Nero, solito farsi disegnare le rughe dal truccatore pur essendo giovane e di bell'aspetto, svela a Milian il motivo di tale gesto: "Perché così, quando sarò vecchio, la gente potrà dire che sono uguale a 30 anni fa". Geniale. Il western di Corbucci è anche uno dei pochi film in cui Milian si doppia da solo, al pari di Tepepa, che rimarrà nella Storia come la pellicola in cui l'attore cubano è riuscito a mettere "faccia a terra" un mostro sacro come Orson Welles, pretendendo, dietro la minaccia del rifiuto di girare, che il regista di Quarto Potere eseguisse la scena così come da copione.

Trucidi, gobbi e sbirri

"Il mio personaggio più noto nacque nel 1976, con Il trucido e lo sbirro... io lo ribattezzai Monnezza. Gli inventai anche un look, con un trucco molto accentuato, soprattutto sugli occhi (con il kajal), perché attraverso lo sguardo esprimo il 99% delle mie emozioni e gli occhi, tra il nero dei capelli ricci e della barba e dei baffi, finivano per sparire, cinematograficamente parlando". Er Monnezza è il personaggio più celebre di Milian: si tratta di un furfante di mezza tacca, sboccato e scaltro, fratello del sanguinario Gobbo (sempre Milian lo interpreta in due film, Roma a mano armata e La Banda del gobbo). Monnezza incarna i tratti tipici di quella veracità romana tipica della classe operaia capitolina. È un figlio del popolo, che si ribella ai poteri forti e alle ingiustizie pur inseguendo sempre il proprio tornaconto. In parole povere un "paraculo". È la voce di Ferruccio Amendola a rendere ancora più colorite le espressioni del personaggio, sebbene Milian reciti in dialetto romanesco. Prima della svolta comedy/trash, il cubano classe '33 si dedica al poliziottesco all'italiana nudo e crudo, nato sulla scia del cinema di genere americano portato al successo dall'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e da pellicole come Il braccio violento della Legge. Bollato come cinema reazionario, il poliziottesco nazionalpopolare verrà successivamente rivalutato. Pellicole come Milano odia: la polizia non può sparare consegnano al pubblico un criminale psicopatico e omicida come Giulio Sacchi, magistralmente impersonato da Milian, che conferma ancora una volta il proprio talento artistico, seppur sprecato in quello spazio asfittico che è il cinema commerciale anni '70, dominato da commedie sexy e b-movies a basso budget.

Squadre e delitti

Sul finire del decennio ecco la svolta: dai crudi film di guardie e ladri alla commedia a tinte gialle. Nasce prima la serie di "Squadre" (da Squadra antiscippo a Squadra antigangsters) in cui il personaggio del Monnezza viene sfumato in quello del maresciallo Giraldi, abile e tenace poliziotto con un passato nella malavita. Dalle squadre alla serie di "Delitti", lo schema rimane invariato (alla regia c'è quasi sempre Bruno Corbucci): una girandola di battute trash, schiaffi a Bombolo/Venticello, insulti al vicebrigadiere Gargiulo e inseguimenti avvincenti. Si passa da frasi come "E salutame Diego der Paraguay, er protettore de quelli che 'n c'azzeccano mai" a rime baciate, spesso realizzate con l'ausilio di comprimari dai nomi ad hoc, da Oronzo a Galeazzo passando per il tartassato Gargiulo (provate a immaginare voi stessi le rime). La serie dei delitti termina con Delitto al Blue Gay, quando ormai Tomas Milian ha 51 anni ed è stanco del personaggio.

Roma/Miami: andata e ritorno

Milian, in piena crisi esistenziale, vola prima in India e poi a Miami, tornando in Italia solo per il funerale di Bombolo nel 1987 (l'attore, in disparte per tutta la cerimonia funebre per non farsi riconoscere, dà un buffetto alla bara all'uscita, come omaggio ai tanti schiaffi dati all'amico nei film girati assieme). Ormai invecchiato e irriconoscibile (l'attore utilizzava delle parrucche nelle ultime commedie), Milian intraprende una seconda carriera, stavolta hollywoodiana: partecipa a Oltre ogni rischio di Abel Ferrara ed è Cesar, capo delle guardie del Tiburon Mendez di Anthony Quinn, nel drammatico Revenge - Vendetta, pellicola di successo diretta da Tony Scott (Top Gun) con protagonisti Kevin Costner e Madeleine Stowe. Nel '91 prende parte a JFK - Un caso ancora aperto di Oliver Stone, al fianco di star come Costner, Tommy Lee Jones e Gary Oldman. Nel 2000 presta il volto allo spietato Generale Salazar nel pluripremiato Traffic di Steven Soderbergh. È una delle ultime apparizioni sul grande schermo di Milian, la cui figura conosce però una seconda giovinezza in Italia prima grazie all'exploit delle vhs (e successivamente dei dvd) e poi per merito dell'avvento di Youtube, che permette a diversi utenti di racchiudere in pillole le migliori scene del cubano de Roma, destinandole alle nuove generazioni. Tomas Milian mito eterno che, proprio come l'Er Monnezza de La banda del trucido, "se n'è andato". Stavolta sul serio.