Speciale The Orphanage - Conferenza Stampa

Il regista presenta alla stampa l'orrore spagnolo

Speciale The Orphanage - Conferenza Stampa
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Un nuovo inizio

L'horror spagnolo rinasce grazie ai giovani talenti che ne stanno ridefinendo le caratteristiche. Lo scorso hanno con REC Jaume Balagueró e Paco Plaza avevano reso al genere un forte tributo, realizzando una pellicola da brivido, tesa e coinvolgente in particolar modo nei minuti finali.
The Orphanage non segue quella direzione artistica ma ne insegue il successo. Campione di incassi in patria con 25 milioni di euro, sette premi Goya e quattro candidature agli European Awards, il film dell'esordiente Juan Antonio Bayona è già un fenomeno. Meritato per altro.
Nato a Barcellona nel 1975, Bayona ha realizzato diversi cortometraggi e video musicali prima di approdare al cinema grazie alla collaborazione produttiva di Guillermo Del Toro. La sua presenza a Roma il 12 novembre scorso ha permesso alla stampa di scoprire i segreti dietro al suo inaspettato successo. Movieye naturalmente era presente.

Conferenza Stampa

A quali maestri o film si è ispirato per The Orphanage?
JAB - Sicuramente la “Residencia” e “¿Quién puede matar a un niño?” (usciti in Italia con i titoli “Gli orrori del liceo femminile” e “Ma come si puo' uccidere un bambino” - ndr) sono i due unici film di Narciso Ibanez Serrador a cui mi sono ispirato maggiormente. Anche “The Others” di Aleandro Amenabar e “Lo spirito dell'alveare” di Victor Erice hanno rappresentato per me un buon punto di partenza data la tematica comune. Anche quando parlavo con Guillermo di spiriti e fantasmi, citava sempre l'opera di Erice come principale punto di riferimento. Per questa ragione ho scelto Geraldine Chaplin per il ruolo della medium, come ponte tra il mio passato e il presente.

Lo stile del film è molto classico, è stata una scelta ricercata?
JAB - La storia si racconta attraverso la telecamera, con il montaggio e pianificando ogni cosa. Lo stile è una scelta istintiva che ti permette di scegliere il bene migliore in un dato momento. Quando devo girare ho già in testa la scena quindi non faccio altro che riprodurla su schermo. Molto registi oggi hanno trasgredito il linguaggio proponendo opere diverse, ma per me era essenziale raccontare una storia dallo stile classico, Hitchcockiano.

Si potrebbe affermare che la casa detiene un ruolo importante all'interno della narrazione come se fosse un personaggio a parte.
JAB- Si, anche se più che un personaggio si potrebbe definire uno stato mentale. E' un'idea idealizzata. Laura non accetta le sue responsabilità e nei suoi atteggiamenti risulta infantile. Ciò che ne consegue è il prodotto della sua irresponsabilità. Fugge dal suo passato rifugiandosi nei ricordi che quella casa tiene nascosti. Ma è anche molto coraggiosa e determinata.

Com'è nato il rapporto con Guillermo Del Toro?
JAB - Ci siamo conosciuti 15 anni fa. Partecipavamo entrambi a un festival del fantasy nel quale mi ero imbucato come giornalista per vedere quanti più film possibili e intervistare i registi presenti. Guillermo presentava “Cronos” e proprio quel giorno ebbi la fortuna di intervistarlo. Sembrava molto interessato alle mie domande e anche quando ci siamo rivisti anni dopo si ricordava sempre di me. Dopo quell'esperienza mi iscrissi a una scuola di cinema e ogni cortometraggio o videoclip che realizzavo lo spedivo a Guillermo per un suo giudizio. Si mostrava sempre molto entusiasta del mio lavoro. Quando gli dissi che stavo per debuttare con un lungometraggio, mai mi sarei immaginato che l'avrebbe prodotto. Mi reputo molto fortunato ad aver acquistato la sua fiducia. Per altro durante la lavorazione del film non si è mai intromesso, lasciandomi fare come avvenne per lui quando diresse “La spina del diavolo” prodotto da Almodòvar, il quale a sua volta gli lasciò carta bianca.

Ha più volte affermato di aver subito scelto Belen Rueda per il ruolo di Laura. Come mai?
JAB - Avevo già avuto modo di apprezzare le sue doti recitative vedendola in un corto di un mio amico e soprattutto nel film di Alejandro Amenábar “Mare dentro”. Avendo lavorato con Amenàbar volevo ci fosse un riferimento e anche per questo scelsi lei. La decisione si è poi rivelata tanto più azzeccata specie dopo aver visto ciò che ha fatto nei panni di Laura: ha dato più di quanto mi sarei aspettato.

Cosa può dirci della simbologia dietro la maschera di Tomas?
JAB - Tutti i personaggi del film sono collegati tra di loro, possiedono un doppio lato oscuro e rappresentano un riflesso di se stessi. Simon e Tomas o Laura e Benigna ad esempio. La maschera riflette il pensiero e la preoccupazione della madre di nascondere i lineamenti deformati di suo figlio, per cui ho pensato l'avesse realizzata con il materiale trovato in casa. E' una maschera ingenua nella sua conformazione e tale scelta mi è parsa logica ai fini della narrazione.

The Orphanage non segna solo il suo esordio. Per quale motivo ha scelto di circondarsi di non professionisti?
JAB - Era più economico (ride). La verità è che sono persone con le quali ho lavorato per molti anni e che stimo. Di loro mi fido. Abbiamo avuto fortuna che i produttori non ci abbiano costretto a selezionare professionisti, perché è usanza scegliere nomi piuttosto importanti ma in questo sono stati lungimiranti. Per farvi capire come abbiamo lavorato, alla fine delle riprese non avevamo più soldi per gli effetti speciali così ho chiamato un ragazzo che seguiva anni fa una scuola di cinema in cui insegnavo. Era molto bravo con la grafica tridimensionale così gli feci una proposta: gli promisi il computer più potente in commercio in cambio del suo contributo tecnico. Quello che vedete è opera sua.

Cosa differenzia il cinema europeo da quello americano? Dopo il successo di The Orphanage è stato tentato da Hollywood?
JAB - Il cinema americano è sicuramente ampio e abbraccia un genere di pubblico molto più vasto, però credo che il cinema europeo sia più interessante. I registi osano di più, sono trasgressivi e ciò produce film di qualità. Anche in Francia ultimamente stanno correndo più rischi. Con questo non voglio sminuire l'importanza dei prodotti made in Usa, anche perché ho ricevuto diverse offerte ma ho rifiutato perché finora, oltre a volermi concentrare sul mio territorio, non ho ricevuto script validi.

Quali saranno i suoi progetti futuri?
JAB - Sto portando avanti due progetti: uno in collaborazione con Guillermo la cui storia si basa su un'epidemia di paura e odio che si sta sviluppando in America come risposta alla paura che è stata istillata dal Governo; l'altro sempre spagnolo di cui però non posso ancora parlare per contratto.

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