Speciale Steven Soderbergh: sesso, bugie ed effetti collaterali...

Ripercorriamo la carriera del regista famoso per i grandi cast

Speciale Steven Soderbergh: sesso, bugie ed effetti collaterali...
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È da poco arrivato sugli schermi nostrani Effetti collaterali, il nuovo film diretto da uno dei più prolifici ed apprezzati registi del cinema americano, Steven Soderbergh. Reduce nel 2012 dall’enorme successo di Magic Mike, Soderbergh è tornato sulla scena con un originale thriller psicologico che ha affascinato la critica, tanto da far azzardare addirittura paragoni con Alfred Hitchcock ed Henri-Georges Clouzot. Gli “effetti collaterali” del titolo sono quelli provocati nella giovane Emily Taylor - interpretata da Rooney Mara, la Lisbeth Salander di Millennium - da un nuovo farmaco antidepressivo, prescritto alla ragazza dal suo psichiatra, il dottor Jonathan Banks, a cui presta il volto Jude Law. Il farmaco, tuttavia, scatenerà conseguenze imprevedibili, trascinando il dottor Banks e la sua paziente in un intreccio quanto mai pericoloso...
Se Effetti collaterali sta riscuotendo consensi su entrambe le sponde dell’oceano, l’infaticabile Soderbergh ha già un’altra pellicola in procinto di essere presentata a critica e pubblico fra pochi giorni: Behind the Candelabra, un film biografico dedicato al famoso pianista Liberace (nome d’arte di Wladziu Valentino Liberace), stravagante e talentuoso musicista stroncato nel 1987 dall’AIDS. Il film, prodotto dalla rete televisiva HBO (che lo manderà in onda negli Stati Uniti il 26 maggio), vede protagonista Michael Douglas nel ruolo di Liberace e Matt Damon nella parte del suo amante Scott Thorson, autore del libro di memorie a cui si è ispirato lo sceneggiatore Richard LaGravenese, e sarà presentato in concorso al Festival di Cannes.

E Cannes è indubbiamente un luogo particolare per Soderbergh: proprio il Festival francese ha costituito infatti il trampolino di lancio per la fortunatissima carriera del regista. Una carriera iniziata sulla Croisette nel 1989, quando Soderbergh, che allora aveva appena 26 anni, presentò il suo film d’esordio, Sesso, bugie e videotape. Realizzato con un budget di appena un milione di dollari, Sesso, bugie e videotape si rivelò un autentico trionfo: a Cannes conquistò critici e giurati, che gli assegnarono la Palma d’Oro (Soderbergh è tuttora il più giovane vincitore nella storia del premio) insieme al trofeo come miglior attore per James Spader. Spader interpretava il ruolo di Graham Dalton, un giovane armato di cinepresa che, attraverso una serie di video-confessioni da lui stesso registrati su nastro, finisce per incrinare il precario equilibrio fra una coppia di coniugi, impersonati da Andie MacDowell e Peter Gallagher.
Al di là dei vari riconoscimenti, inclusa una candidatura all’Oscar per la sceneggiatura, Sesso, bugie e videotape ha rappresentato un capitolo fondamentale non solo nel percorso artistico del suo autore, ma anche nella storia del cinema indipendente: il suo sorprendente successo commerciale (sei milioni di spettatori negli Stati Uniti) ha infatti contribuito in misura determinante all’evoluzione del cinema indipendente made in USA, che a partire dall’inizio degli Anni ’90 sarebbe uscito dal ristretto circuito dei cinefili per imporsi con sempre maggior forza presso il grande pubblico. E in effetti, da allora la carriera di Soderbergh si è sempre contraddistinta per questo duplice aspetto: una vena fieramente “indie”, di impronta autoriale quando non addirittura sperimentale (emblematici i casi di Bubble e The girlfriend experience), alla quale si sono alternati film ad alto budget, interpretati da star di primo piano e con un ampio potenziale in termini di box-office, sebbene il più delle volte Soderbergh sia riuscito a coniugare felicemente entrambi gli aspetti, dedicandosi a una forma di “cinema d’autore” in grado di attirare un vasto pubblico.

A dire la verità, i progetti successivi a Sesso, bugie e videotape, per quanto artisticamente ambiziosi, non riportarono l’accoglienza sperata: Kafka (1991), curiosa biografia dello scrittore Franz Kafka con protagonista Jeremy Irons, Piccolo grande Aaron (1993), un dramma ambientato durante la Grande Depressione, e Torbide ossessioni (1995), remake del noir di Robert Siodmak Doppio gioco, furono tutti dei clamorosi fiaschi. La “resurrezione” arrivò nel 1998 con Out of sight, sopravvalutato poliziesco che, dopo quasi un decennio, riportò Soderbergh all’attenzione degli spettatori, anche per merito della presenza del divo George Clooney.
Il 2000 fu l’anno d’oro di Soderbergh, che realizzò contemporaneamente due enormi successi di critica e di pubblico: Erin Brockovich, vera storia della donna che si batté in una causa civile contro una società colpevole di aver inquinato le falde acquifere di una cittadina californiana, impersonata da Julia Roberts (premiata con l’Oscar come miglior attrice); e Traffic, un magistrale affresco corale sul traffico di droga e sui suoi effetti distruttivi sulle esistenze di singoli individui. Il film, con un cast di primo livello capitanato da Michael Douglas, Catherine Zeta-Jones e Benicio del Toro, si guadagnò quattro premi Oscar, inclusa la statuetta come miglior regista per Soderbergh.

Il 2001 è l’anno di Ocean’s eleven, remake del film Colpo grosso: un heist-movie interpretato da una parata di superstar, fra cui George Clooney, Brad Pitt, Julia Roberts e Matt Damon, che rinverdì i fasti del Rat Pack e incassò la bellezza di 450 milioni di dollari al box-office internazionale. Un successo di proporzioni tali da portare alla realizzazione, da parte dello stesso team, di due sequel, Ocean’s twelve (2004) e Ocean’s thirteen (2007). Nel frattempo Soderbergh scelse di dedicarsi anche a progetti più personali e sofisticati, benché con risultati poco soddisfacenti: Full frontal (2002), satira su Hollywood passata pressoché inosservata, e Solaris (2002), remake del cult di fantascienza di Andrej Tarkosvskij.
La fascinazione per il cinema classico, da sempre un elemento distintivo nella filmografia di Soderbergh, è confluita nel 2006 in Intrigo a Berlino, thriller spionistico girato in bianco e nero secondo le convenzioni dei noir degli Anni ’40, strizzando l’occhio a Casablanca e ad altri capolavori dell’epoca; nonostante la presenza di due star del calibro di George Clooney e Cate Blanchett, però, il film si è rivelato un passo falso nella carriera del regista. Il riscatto è arrivato due anni dopo con Che, dittico cinematografico diviso in due parti - Guerriglia e L’argentino - che ricostruisce la vita di Ernesto “Che” Guevara, interpretato da un intenso Benicio del Toro (che per questo ruolo ha ricevuto il premio come miglior attore al Festival di Cannes).

Dopo un’opera complessa, ambiziosa e di difficile lavorazione quale Che, Soderbergh è tornato sui più tradizionali sentieri hollywoodiani con la commedia The informant! (2009), con Matt Damon nei panni di un biochimico ingaggiato per un’operazione segreta per conto dell’FBI, e con Contagion (2011), thriller catastrofico su una misteriosa epidemia letale. L’operazione è un successo su tutta la linea, e pure in questa occasione il cast è impressionante: dal “solito” Matt Damon a nomi quali Kate Winslet, Gwyneth Paltrow, Jude Law e Marion Cotillard. Intanto Soderbergh trova il tempo di dedicarsi anche ad altri progetti che lo appassionano, per esempio ...E ora parliamo di Kevin, tenebroso capolavoro della regista Lynne Ramsay, per il quale svolge il ruolo di produttore esecutivo.
Il 2012, infine, è l’anno di un film d’azione (un genere decisamente atipico per Soderbergh), Knockout - Resa dei conti, con la campionessa di arti marziali Gina Carano affiancata da comprimari quali Ewan McGregor, Michael Douglas, Antonio Banderas e Michael Fassbender. Ma è soprattutto l’anno di Magic Mike, film sul mondo dello striptease maschile ispirato alle esperienze da spogliarellista dell’attore Channing Tatum, che impersona il ruolo del titolo; al suo fianco nel cast, una squadra di attori-stripper che include un divo già affermato come Matthew McConaughey e attori emergenti come Alex Pettyfer e Matt Bomer. Prodotto per soli sette milioni di dollari, Magic Mike ne raggranella quasi 170 milioni in giro per il mondo, entusiasmando in particolare il pubblico femminile. Eppure, perfino quella che poteva apparire come una tipica operazione commerciale - una commedia sullo spogliarello interpretata da un manipolo di palestratissimi “divi del momento” - rivela in realtà un livello di scrittura e di approfondimento dei personaggi assai più denso del previsto, nonché un’inaspettata vena drammatica ed amara. Quella stessa amarezza soffusa, quasi “sottopelle”, che fin dai tempi di Sesso, bugie e videotape ha costituito una parte integrante nella cifra stilistica di un regista in grado di destreggiarsi con abilità (e una buona dose di furbizia) tra le ferree logiche hollywoodiane ed i propri interessi più autoriali e squisitamente cinefili.

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