Speciale Star Wars: Il Risveglio della Forza

Tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana, una mole sterminata di fan viveva in spasmodica attesa del nuovo episodio di Star Wars: Il Risveglio della Forza. Facciamo il punto della situazione, a poco più di un mese dall'uscita nelle sale.

Speciale Star Wars: Il Risveglio della Forza
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"Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana" è l'incipit affabulatore più celebre del nostro tempo. Forse al pari di "C'era una volta": più settoriale, ma altrettanto iconico.
Abbiamo da poco celebrato il Ritorno al Futuro Day con commossa nostalgia ma anche con una sottile coltre di inquietudine: il futuro di Marty e Doc è diventato passato. Forse non c'è poi molto di cui preoccuparsi. Non sempre il passato è qualcosa da superare. Del resto, anche le mirabolanti avventure della famiglia Skywalker sono ambientate tanto tempo fa. Non è il nostro tempo, né storico né dimensionale, e non c'è una DeLorean con la quale raggiungerlo, ma abbiamo ancora il mezzo di trasporto più potente dell'universo: l'immaginazione.
E' proprio la potenza immaginifica che ci ha permesso di compensare tutte le nostre carenze: non corriamo come i ghepardi, non voliamo come i falchi, non nuotiamo come i delfini, eppure siamo la specie dominante. "Voi siete una specie interessante, un interessante ibrido. Siete capaci di sogni di tale bellezza e anche di orribili incubi" recitava la proiezione del padre di Ellie nello splendido Contact di Zemeckis. E l'universo di Star Wars è proprio questo: un bel sogno che, né più né meno come quando siamo assopiti, risveglia quella parte di noi che ci rende molto più che semplici esseri senzienti. E' l'immaginazione, nel nostro tempo, la Forza del nostro universo: "Ci circonda, ci penetra, mantiene unita tutta la galassia" rivelava Obi-Wan Kenobi ad un giovane Luke. Se a dicembre la Forza si risveglia, la sfida più grande di J.J. Abrams sarà quella di risvegliare un'immaginazione assopita.

Il risveglio

Star Wars è entrato nella coscienza collettiva per la sua capacità di "far supporre allo spettatore più di quanto gli venga mostrato". Ovviamente, sarebbe assurdo negarlo, anche per la gigantesca macchina commerciale che la saga è stata in grado di mettere in moto. Star Wars è un brand di carattere universale ed universalistico, proprio come la cosmogonia che narra. E' un marchio capace di imprimersi nell'immaginario di milioni di persone come su milioni di tazze da colazione, magliette, accessori e merchandising di ogni tipo, risma e fattura. Mescolando sapientemente fabula e intreccio, mitologia ed epica, la space opera per eccellenza è riuscita ad assurgere, nell'arco di quattro decenni, all'agognato titolo di simbolo per antonomasia della cultura pop. Non c'è interpretazione o accostamento al quale Star Wars non si possa più o meno volontariamente prestare: dal poema epico alla mitologia greca, dalle filosofie orientali alla lotta ai totalitarismi, dalla saga familiare all'affresco sul potere, e l'elenco potrebbe continuare. Ciò a cui la saga somiglia in maniera più coerente è forse un ciclo di miti e leggende narrato con il pathos degli antichi aedi e rapsodi, unito alla potenza scenica e visiva del grande cinema di entertainment. Un universo che, dal punto di vista dello storytelling, è ben più ampio di quanto visto sul grande schermo. I sei film usciti nelle sale sono forse ciò che oggi chiameremmo "Universo Cinematografico" di qualcosa di più esteso. Non è un caso che Star Wars sia uno degli esempi più riusciti di intrattenimento crossmediale: cinema, serie tv, romanzi, videogiochi e fumetti sono andati a creare un unicum che spazia dal grande al piccolo schermo, dalla carta stampata alle console, dalle pagine fino alle tavole illustrate. Per quanto l'universo espanso sia tenuto separato dai film, al cinema le potenzialità della saga sono ancora enormi. Colin Trevorrow, futuro regista di Episodio IX, ha recentemente ribadito il concetto: Star Wars è un universo potenzialmente infinito. Una qualità che consegna ad un cineasta la più stimolante delle sfide: sperimentare.

The Times They Are a-Changin'

La trilogia a cavallo tra gli anni '70 e '80 ha aperto le danze e scoperchiato un vaso di Pandora. Poi, però, qualcosa si interrompe: arriva Episodio I, gli incassi volano, ma il fandom di Star Wars è assolutamente spiazzato. Episodio I non è solo il minore dei capitoli della saga: è anche un film che, semplicemente, non funziona. In una trilogia che dovrebbe narrare lo svilupparsi di eventi di cui già conosciamo le conseguenze (il passaggio di Anakin al lato oscuro della Forza, la caduta della Repubblica, l'ascesa dell'Impero Galattico) sono stati spazzati via gli elementi chiave che hanno fatto dei tre film originari i vertici cinematografici di un triangolo equilatero perfetto (con il vertice superiore nel picco qualitativo de L'Impero Colpisce Ancora, forse il migliore della serie). Con l'uscita al cinema della seconda trilogia (1999-2005) il pubblico in generale, e non solo i fan più affezionati, hanno dimostrato un principio cardine della celluloide: dopo l'uscita nelle sale, un'opera appartiene al pubblico e non più al suo autore. Dopo Episodio I, George Lucas viene messo alla berlina innanzitutto per aver annichilito ciò che aveva dimostrato di saper fare meglio: scrivere. La saga è sempre stata talmente sbilanciata sulla figura carismatica di Lucas che nessuno ricorda gli ottimi Irvin Kershner e Richard Marquand, registi dei due film che seguirono la pellicola che originariamente si chiamava solo "Star Wars" senza alcun orpello o riferimenti ad una narrazione episodica. E' un caso che anche l'imminente Il Risveglio della Forza non presenti alcuna specifica numerica?

La resa di Episodio I, II e III è spettacolare e pirotecnica, ma non è sufficiente: i personaggi sono bidimensionali, gli eventi si succedono in maniera macchinosa (ed in maniera altrettanto macchinosa sono montati, con improbabili dissolvenze e cambi di scena), e il cast è fiacco. Tre episodi girati con tecniche molto diverse dai precedenti, che tuttavia non hanno convinto sul piano dei contenuti. Il mistero della Forza, un po' come quello della fede per chi crede, ha ceduto il passo ad una strampalata spiegazione pseudoscientifica, in un brutto momento didascalico che finisce per stonare in un calderone di scene montate in maniera farraginosa. Male, per un regista che nel '97, a vent'anni dal film che lo rese celebre, si definì "essenzialmente un montatore", asserendo "Per me il copione è una traccia utilizzata per girare una gran quantità di materiale, ma è in sala di montaggio che nasce il film". Dopo un ventennio dal fatidico ‘77, Lucas lavorava alla riedizione dei tre film originari, preoccupato (a torto) che sfigurassero una volta che i nuovi fossero usciti nelle sale. Aggiunse qualche inquadratura, scatenò il famoso dibattito su chi sparasse per primo tra Han Solo e Greedo, fece passare Han sulla coda di Jabba in maniera improbabile, mise un becco digitale al potentissimo Sarlacc, e poco altro. Si tolse, in sostanza, dei sassolini dalla scarpa che aveva conservato dagli anni '70 e '80, ma nulla di più.

Il dibattito che i tre prequel scatenarono agli inizi degli anni 2000 fu se il balzo tecnologico fornito dal digitale non stesse svuotando i film di contenuti, trasformandoli in baracconi pirotecnici e autoreferenziali dall'impatto emotivo e culturale sempre più basso. Oggi, la saturazione di prodotti chiassosi ha creato un tale affollamento al quale il pubblico si è più che abituato. E' molto difficile, oramai, scatenare quel sense of wonder che Star Wars o Ritorno al Futuro sono stati in grado di suscitare. E non si tratta di essere nostalgici: quei film erano effettivamente qualcosa di genuinamente avveniristico. Quando uscirono Jurassic Park e Titanic, il pubblico davvero non aveva mai visto niente del genere. L'ultimo caso di autentico stupore nel grande pubblico è stato forse Il Signore Degli Anelli. Un decennio più tardi, Lo Hobbit e Avatar sono stati figli delle innovazioni portate da Jackson e Cameron ad una cinematografia di genere che ha puntato ad espandere il proprio pubblico tradizionale. Visti i numeri, ci sono riusciti. Ma cosa è successo agli altri?

Una sorta di mano invisibile del mercato hollywoodiano ha fatto sì che il trionfo della tecnica portasse, come sottoprodotto, al trionfo degli sceneggiatori. Mentre gli effetti diventavano sempre più speciali, non sono stati molti i registi capaci di usarli in maniera intelligente anziché ostentarli in modo chiassoso. Spielberg e Jackson sono ottimi esempi di chi è riuscito a utilizzarli come mezzo espressivo. Lucas, invece, ne è probabilmente rimasto abbagliato. I suoi script della trilogia più recente sono molto deboli, ed è qualcosa che il pubblico più affezionato non gli ha mai perdonato. L'impressione è che l'entusiasmo di avere dei mezzi che vent'anni prima si sarebbe sognato, abbia reso Lucas desideroso di "recuperare e compensare", in preda alla smania di mostrare finalmente una visione che aveva immaginato molto più grande di quanto non avesse potuto, al tempo, realizzare. Per questo, dopo i ritocchi cosmetici a una trilogia che ormai non poteva più stravolgere, ha prodotto una seconda trilogia bulimica di chiasso ma povera di pathos.

Nuovi approcci

Può una saga come Star Wars fare a meno del suo creatore? Sì, se a sostituirlo c'è una nuova generazione che ha dovuto conquistare faticosamente il pubblico con un continuo bombardamento di idee: sempre nuove, sempre accattivanti, sempre più audaci seppur non sempre apprezzate e spesso dibattute. Vale per le scelte creative in casa Marvel come per quelle di scrittura di Lost: amate o odiate che siano, fanno dibattere gli spettatori. Il vecchio pubblico di Lucas non aveva l'offerta, l'accessibilità e la facilità di fruire di prodotti alternativi come il pubblico di Abrams. Se i tempi sono cambiati non è certo colpa di Lucas ma sicuramente è anche merito di Abrams.
La serialità televisiva, ancora una volta, ha insegnato agli addetti ai lavori come fidelizzare il pubblico. Non è un caso che il secondo episodio de Lo Hobbit "si interrompa" proprio come un colossale episodio televisivo. Abrams lo ha capito fin troppo bene facendo perno, più o meno in qualsiasi cosa abbia mai scritto, su tre fattori: potere evocativo, intreccio e mistero. Tre elementi che si abbinano alla perfezione a Star Wars: se usati oculatamente, consentiranno al pubblico più conservatore di accettare nuove scelte creative ed al pubblico più giovane di amare una saga che non ha fatto parte della sua infanzia.

In un fortunato video, pubblicato su YouTube dopo che Abrams aveva preso in carico il film, si chiedeva al regista di restituire alla saga quegli elementi che lo stesso Lucas aveva incredibilmente omesso: Star Wars non si svolge nei palazzi nel potere e nelle stanze dei bottoni, ma nella frontiera e ai margini dei luoghi più affollati, proprio come un western dello spazio; la Forza è qualcosa di misterioso, e non c'è bisogno di creare strampalate spiegazioni o fantasiose teorie, particellari o ondulatorie che siano; ma, soprattutto, Star Wars non è roba da fighetti, da eroi dal capello laccato e dal sopracciglio perfetto, ma è roba da duri, da raminghi di terre selvagge, da tipi che non vorresti urtare nel saloon o che non ti sentiresti di contraddire con leggerezza. L'anziano Obi-Wan di sir Alec Guinness era pronto a staccare un braccio a chiunque non avesse in simpatia il giovane Luke; Han Solo era un dritto, cinico e disincantato, che sapeva il fatto suo e Leila strangolava Jabba the Hutt con la stessa catena che la teneva prigioniera. Qualità che i cowboy dello spazio non sembrano aver ereditato dai loro predecessori: Episodio I, II e III propongono interminabili sequenze negli uffici del Senato, nel Consiglio dei Jedi, nei palazzi sgargianti dei regnanti e nei condomini di immense città distopiche. Inoltre, personaggi che avrebbero potuto essere approfonditi e sviluppati, da Darth Maul al Generale Grievous passando per il Conte Dooku, finivano eliminati in maniera improvvisa, frettolosa e vuota, senza aver dato loro la possibilità di imporsi come villain di spessore. E trattandosi di prequel, e dunque sapendo già come le cose andranno a finire, un intreccio debole con personaggi scialbi non è stato di grande aiuto. La trilogia più recente, pur conservando alcuni momenti di buona fattura, è in sostanza una grande, grandissima, occasione mancata.

The future is now

Sposando perfettamente la schizofrenia del cinema tra arte e industria, l'operazione Star Wars dei prossimi anni potrebbe invece consentire di ridare lustro alla saga. Sarà sfornato, approssimativamente, un prodotto all'anno, tra episodi canonici e spin-off. Sarà un calendario che potrebbe restituire al pubblico un'icona della cinematografia, ma che è anche figlio dell'impazienza dei millennial, cresciuti con la possibilità di guardare immediatamente l'episodio successivo di qualsiasi cosa. Una smania alimentata dalla crescente accessibilità dei prodotti di intrattenimento, non soltanto nel cinema o nelle serie: i giovani lettori non fanno che incalzare George R.R. Martin affinché "si dia una mossa" a terminare i libri delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, ignorando, o semplicemente infischiandosene, del tempo e della fatica che un'opera del genere richiede. Una fretta che, solo pochi anni fa, non inquinava l'attesa del successivo libro di Harry Potter. Chi è cresciuto con i sette libri di Hogwarts ha sempre atteso il successivo con trepidazione e anche impazienza. Tuttavia, J.K. Rowling non ha mai dovuto scontrarsi apertamente con i propri lettori, che hanno tendenzialmente rispettato la sua libertà di prendersi il tempo necessario per onorare il proprio lavoro. A distanza di pochi anni, sembra comunque che tutto questo appartenga ad una vita fa. Ma è proprio qui che subentra l'intelligenza di Abrams. Mentre leggete questo articolo, riflettete sul fatto che Il Risveglio della Forza uscirà tra non molto: per quanto vi siate sforzati di leggere ogni indiscrezione possibile, in sostanza non avete la più pallida idea di cosa vedrete a dicembre. Secondo un certo tipo di marketing figlio della sociologia più spicciola (che talvolta funziona!), tutto questo è pura follia. Ricordate il trailer di Avatar, che ci svelò per filo e per segno l'intero film dall'inizio alla fine? Abbiamo dato a James Cameron quasi 3 miliardi di dollari per un film che ci era stato raccontato in meno di 4 minuti. L'ultimo trailer di Star Wars, salutato con tanto entusiasmo quasi si trattasse del film stesso, non ha svelato nulla in particolare ma ha fatto ben sperare i fan di vecchia data. Vediamo perché:

In primo luogo, quanto mostrato rappresenta un tuffo nel passato e un viaggio nel futuro: finalmente tornano gli eroi di quarant'anni fa, non importa se invecchiati (peraltro anche piuttosto bene). E finalmente sembrano tornare proprio quegli elementi tanto amati dai fan: frontiera, mistero, pathos. E' un trailer misterioso: non svela nulla di esaustivo ma grida "siamo tornati", con John Williams che rispolvera le migliori partiture che hanno fatto la fortuna della saga. Qualcuno, giustamente, ha fatto notare che incuriosire senza svelare è proprio la funzione che un trailer dovrebbe svolgere. L'unica cosa che abbiamo intuito è che la Forza non solo si risveglia, ma torna ad essere come era stata concepita: sublime, lontana, inquietante, incomprensibile. "Girano storie" si sente nel trailer, a dirci che ciò che conosciamo sta sfumando nel mito. "E' vero, tutto vero" conferma per fortuna la voce grave e rassicurante di Harrison Ford: qualcuno, grazie al cielo, ricorda ciò che accadde e vive per raccontarlo.

In secondo luogo, tutto si basa sul potere evocativo di ciò che non vediamo. A cominciare da Luke. Dov'è? Che fine ha fatto? Se negli ultimi giorni la rete si è scatenata a riguardo, allora la scelta di nasconderlo ha funzionato. Il vecchio trucco di Abrams di spiazzare il pubblico facendogli maturare diverse e personali vie interpretative va ancora alla grande. E il motivo principale è, banalmente, che non lo fa quasi nessuno. L'universo mondo ha fretta di raccontarci quanto il proprio film sia pazzesco mentre ancora ci sta lavorando. Escono teaser con la CGI incompleta (ricordate Jurassic World?), doppiati di corsa e assemblati alla meno peggio, per poi lasciare il posto a dei full trailer montati ad arte che mostrano, nel minor tempo possibile, tutto il meglio del film. C'è poco da stupirsi: anche voi, se foste dei mercanti, esporreste in vetrina la migliore mercanzia. Ma la strategia di Abrams è quella di mostrare il tono, l'impronta e la cifra stilistica adottati, lasciando al pubblico l'arduo compito di speculare sul resto, opportunamente celato fino all'ultimo. Ed ecco che anche il full trailer di Star Wars è solo un teaser più lungo. La vecchia volpe di Lost è tornata: perché meravigliare a tutti i costi lo spettatore quando si può far leva sulla sua curiosità? La meraviglia passa, mentre la curiosità si autoalimenta della propria impazienza.

Il modo migliore per far risvegliare la forza è quindi quello di coniugare capacità affabulatoria e vecchio modo di fare cinema. Rimanendo fedele a se stesso, senza mettere da parte il suo stile e la sua personale visione, in varie occasioni Abrams ha rassicurato i nostalgici, mostrando al Comic-Con come stesse lavorando come un vecchio artigiano: più fisicità e meno digitale, più make-up e meno motion capture, più set reali e meno green e blue screen, maggiore opportunità di coinvolgimento del cast. Già, il cast. Un elemento che negli ultimi Star Wars è mancato. Si tratta, diamine, pur sempre di un film. Un cast affiatato, coordinato, opportunamente diretto e visibilmente coinvolto è indispensabile per portare alla luce una caratteristica basilare di Star Wars: la coralità. Le storie si espandono a macchia d'olio, crescendo di dimensioni, respiro ed importanza e andando a coinvolgere i destini di un numero di protagonisti sempre più ampio. Ci sono poi, a disposizione, tre utilissimi elementi pronti a sostenere un insieme di personaggi complessi. Vediamo quali:
In primo luogo, un ambiente "altro", di enorme vastità, che consente ai personaggi di sparire e riapparire, imbattendosi nelle situazioni più disparate, affrontando difficoltà di ogni genere, e superandole con un sapiente connubio di astuzia e forza. Nel cinema come nella letteratura, il mare e lo spazio, proprio perché privi di confini e vincoli, sono gli esempi tipici di ambienti perfetti per un'epopea di ampio respiro.
In secondo luogo, c'è la possibilità di giocare con le circostanze, sfumando e sparigliando i confini buoni/cattivi e incanalando le azioni dei protagonisti in una giostra di emozioni umane complesse. Da Ulisse al capitano Kirk fino ad Han Solo, l'eroe è forte e astuto. Spesso è affiancato da un'eroina dal forte carisma e da una serie di comprimari buoni o cattivi, in alcuni casi fisicamente più forti di lui, ma mai altrettanto intelligenti. Oggi come oggi, tuttavia, l'eroe può essere assalito da dubbi e paure, può perdersi in un bicchiere d'acqua per la propria intrinseca imperfezione: non è più una figura mitologica, ma un misto di fede e ragione, speranza e buon senso, coraggio e fragilità, audacia e debolezza. E l'eroina non è più una spalla dell'eroe, ma è una controparte di eguale peso. Leila esordiva come damigella in difficoltà che supplicava "Aiutami Obi-Wan Kenobi, sei la mia unica speranza!", e solo successivamente rovesciava il ruolo andando a salvare Han imprigionato nella grafite.
In terzo luogo, gli eroi hanno spesso a disposizione un armamentario di barocche attrezzature dal grande fascino, soprattutto se sono appartenute, tempo prima, alle fazioni avverse. Il destino delle superiori armi nemiche, dai vascelli a tre ponti e cento cannoni delle monarchie settecentesche fino alla Morte Nera dell'Impero Galattico, è inevitabilmente quello di soccombere contro strumenti poveri, ma guidati da mani veloci e cervelli svegli, come la Perla Nera di Capitan Sparrow o il Millennium Falcon di Han e Chewie. "Ma è un pezzo di ferraglia!" esclamava Luke alla vista della celeberrima nave. Il resto, è Storia.

Che la Forza sia con noi

Star Wars: Il Risveglio della Forza deve ancora uscire. Tuttavia, vale la pena evidenziare le opportunità che i prossimi episodi della saga possono cogliere al balzo. Saranno film che, se la Disney lo consentirà, potranno avvalersi di una forte libertà creativa dei loro realizzatori, che non avranno il fiato sul collo dell'ex padre-padrone della saga, annoiato da gran parte del cinema contemporaneo.
Innanzitutto, Star Wars non ha più degli eventi pregressi o futuri da spiegare in maniera coerente. La storia, finalmente, va verso il futuro. Si tratta, peraltro, del futuro di un passato remoto. Si può arricchire di nuovi elementi e nuovi spunti, ma ha finalmente molta più libertà di movimento. Niente più infanzie traumatiche da narrare, niente più sviluppi da portare indietro o avanti per mostrare allo spettatore come si è arrivati a una determinata vicenda. Ciò che è stato è stato, ora tutto può soltanto evolvere. Una pacchia per gli sceneggiatori: potranno scatenare la loro fantasia all'interno di un universo enorme, introducendo ed espandendo elementi a proprio piacimento. Non esiste, in teoria, neanche un vincolo di legame, debole o forte che sia, con il cosiddetto Universo Espanso. E nulla vieta, sempre in teoria, di ripescare carte vincenti dal passato, come il chiacchieratissimo ritorno di Boba Fett, che ricordiamo non aver fatto una splendida fine.
Inoltre, Star Wars può diventare un "vero" franchise, frutto del lavoro di squadra di menti creative senza un burattinaio che guardi dall'alto. Poco importa se Lucas finirà come Cameron, che da creatore di Terminator oggi ne è un semplice spettatore, o se qualcuno continuerà ad alzare il telefono per consultare il primo evangelista della Forza. La Disney, forte delle ultime acquisizioni miliardarie e dell'enorme potenziale di cash-flow che esprimerà nel prossimo decennio, sarà il vero grande burattinaio dell'operazione. Non abbiatene troppa paura: sono troppo scaltri per commettere l'errore di stravolgere un brand quarantennale che non hanno creato ma solamente acquistato. Non è molto diverso dal Qatar che compra la maison Valentino: non conviene stravolgere un marchio di tradizione solo perché risponde a un nuovo proprietario. I clienti di Star Wars, ricordatevelo, siamo noi. Nulla vieta a questi film di riuscire male, ma perdere di appeal non è il destino obbligato di tutto ciò che viene proposto alle nuove generazioni.
Infine, l'operazione Star Wars ci porterà una nuova ondata di intrattenimento crossmediale. I film saranno la punta dell'iceberg di un colata lavica di prodotti paralleli e collaterali. L'imminente e nuovissima trilogia, condita dei suoi spin-off, sarà parte di un rilancio che avrà conseguenze sui mercati televisivi, videoludici, letterari e del fumetto. Ma a spettatori, lettori e gamer non interessa affatto l'impatto di Star Wars sull'economia globale. Siamo pur sempre il pubblico, e non analisti dell'ultima trimestrale di cassa. L'unica cosa che ci sta a cuore, dopotutto, è avere prodotti di qualità. E la più grande assicurazione che protegge questi prodotti è proprio l'economia della reputazione.

Star Wars, ancora una volta prima di uscire, ha comunque già vinto la sfida di far parlare di sé. Periodicamente, negli ultimi 40 anni, la galassia lontana lontana si è ripresentata al mondo, ogni volta monopolizzando la scena, per poi richiudersi in un assordante silenzio nell'attesa di tornare. Più che un ritorno, oggi, ci si aspetta un risveglio, anche in forza del titolo dell'imminente settimo episodio. Andy Warhol sosteneva che ognuno, nel futuro, avrebbe avuto un quarto d'ora di celebrità. Star Wars ne ha avuti già due: tra gli anni ‘70 e ‘80 e all'inizio del nuovo millennio. Quanto durerà il terzo quarto d'ora della Forza?

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