La notte più lunga e attesa dell'annata cinematografica si è appena conclusa. Per una volta senza troppe polemiche. La sfida a due fra James Cameron e Katherine Bigelow, ancora più affascinante dati i trascorsi sentimentali fra i contendenti, s'è conclusa con una vittoria schiacciante della seconda, che ha portato a casa ben sei statuette, contro le tre incassate dal kolossal fanta - hippie dell'ex Re del Mondo. The hurt locker (l'armadietto del dolore, un'espressione gergale americana usata per indicare la scatola con gli oggetti personali che viene spedita ai parenti dei soldati morti in guerra) con la sua lucida analisi della Guerra in Iraq ha affascinato l'Acedemy e dimostra come l'America abbia saputo razionalizzare il conflitto più lacerante di questo inizio secolo. Qualcuno l'ha definito il Vietnam del duemila, la Bigelow, molto intelligentemente, ha evitato qualsiasi parallelismo storico, raccontando una storia di ordinaria follia, la discesa verso l'abisso di un uomo ormai drogato dalla guerra e incapace di riadattarsi alla vita civile.
Al di la degli innegabili pregi di The Hurt Locker, però, questi ottantaduesimi Academy Award rimarranno nella storia anche per motivi più "statistici", per la prima volta vince la statuetta come miglior regista una donna e al tempo stesso il film dato come super favorito alla vigilia è rimasto molto sotto alle aspettative. Avatar infatti, nonostante il pienone di nominations deve accontentarsi di tre magri Oscar tecnici (Fotografia, Effetti Speciali e Scenografia). Evidentemente, per una volta, l'Academy ha preferito non seguire la voce del botteghino, ma riscoprire un cinema meno luccicante ma certamente più profondo. Delusione anche per Tarantino, che torna a casa per l'ennesima volta a bocca asciutta; il suo Bastardi Senza Gloria, pur avendo riscosso in tutto il mondo un plauso pressoché unanime dalla critica e dal pubblico, non ha ricevuto nessun riconoscimento se non sul fronte attoriale, dove il premio per Christoph Waltz era praticamente certo. Il Colonnello Landa infatti, è già nell'immaginario collettivo, vicino ai più grandi cattivi dei Celluloide di ogni tempo, cinico, intelligentissimo e spietato, il Nazista immaginato da Tarantino seduce come pochi altri ed è lui il vero Bastardo protagonista, non la compagine guidata da Brad Pitt ed Eli Roth.
Per quanto riguarda l'animazione, anche qui, soprattutto dopo l'esclusione di Miyazaki, il trionfo di Up non desta alcuna sorpresa. Pixar è riuscita nell'impresa di coniugare fiaba e riflessione, abbattendo alcune barriere del cinema a cartoni animati classico con una tale dose di poesia malinconica da rivaleggiare anche con i grandi classici degli anni '40 e '50. I venti minuti iniziali di Up sono potenti quanto le prime scene di Quarto Potere, una vita raccontata con ingenuità, ma senza mai scadere nello zuccheroso. Meritatissimo dunque anche questo Oscar che va ad aggiungersi al già strapieno scaffale dei trofei di Pixar.
Come se non bastasse, Michael Giacchino, compositore della colonna sonora del Cartoon, ha anche incassato il suo premio, raddoppiando l'orgoglio dei genitori di Toy Story e consegnando Up alla storia anche come secondo film d'animazione premiato fuori dalla sua categoria di riferimento. L'unico precedente è nel 1991, quando La Bella e la Bestia fu candidato, senza vincere, nella categoria "Miglior Film", ma portò a casa, come quest'anno, l'Oscar per la Colonna Sonora.
Grande soddisfazione anche sulla scena indipendente, Precious (presentato fra gli applausi al Sundance Film Festival di quest'anno), infatti, ha vinto sia il premio per la miglior sceneggiatura non originale, ma Mo'nique, la rapper - attrice - presentatrice televisiva, con la sua struggente interpretazione della madre della protagonista, ha commosso la giuria, meritandosi l'Oscar per la miglior attrice non protagonista.
Sul versante dei protagonisti, Sandra Bullock finalmente riesce a vincere l'Oscar che inseguiva da vent'anni, per The Blind Side ed è divertente notare come esattamente ventiquattro ore prima fosse stata premiata, per "All about Steve", ai Razzie Award, nella categoria Peggior Attrice. Il cantante country alcolizzato di Jeff Bridges, invece, conquista la statuetta come Miglior Attore, vincendo su una concorrenza davvero agguerrita, che vantava nomi come George Clooney (per il suo Ryan Bingam in Tra le Nuvole) e Morgan Freeman con il suo Presidente Mandela di Invictus.
Una serata molto interessante, dunque, che dopo anni di polemiche, bassi ascolti e premi contestabili, ha saputo riscoprire la vera essenza del grande cinema americano, non avendo paura nel premiare film relativamente piccoli (come Crazy Heart, o lo stesso The Hurt Locker) senza cedere alle sirene del marketing o all'Hype che circondava alcuni film. L'unico vero sconfitto, a volerne cercare uno, è Quentin Tarantino che evidentemente, con il suo gioco di rimandi metacinematografici non è stato capito dall'Academy, così come lo splendido District 9, snobbato in tutte le categorie ma apprezzatissimo dalla critica di mezzo mondo per la sua raffinata riscrittura del rapporto fra umano e alieno, in un Sud Africa che riscopre l'Apartheid.
Speciale Speciale Oscar 2010
L'armadietto del Dolore surclassa Avatar
MIGLIOR FILM
The hurt locker
Kathryn Bigelow per The hurt locker
Jeff Bridges per Crazy heart
Sandra Bullock per The blind side
Christoph Waltz per Bastardi senza gloria
Mo'Nique per Precious
El secreto de sus ojos di Juan José Campanella (Argentina)
Up
Mauro Fiore per Avatar
Rick Carter, Robert Stromberg e Kim Sinclair per Avatar
Sandy Powell per The young Victoria
'The Cove' di Louie Psihoyos
'Music by Prudence' di Roger Ross Williams
Bob Murawski e Chris Innis per The hurt locker
Barney Burman, Mindy Hall e Joel Harlow per Star Trek
Michael Giacchino per Up
"The Weary Kind" di T-Bone Burnett e Ryan Bingham per Crazy heart
Logorama di Nicolas Schmerkin
The New Tenants di Joachim Back.
Paul N.J. Ottosson per The hurt locker
Paul N.J. Ottosson e Ray Beckett per The hurt locker
Joe Letteri, Stephen Rosenbaum, Richard Baneham, Andy Jones per Avatar
Geoffrey Fletcher per Precious (tratta da Push di Sapphire)
Mark Boal per The hurt locker
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