Red Dead Redemption 2: Guida per sopravvivere all'Hype, ecco i dieci migliori film Western

Dopo il trailer di lancio di Red Dead Redemption 2 l'hype è alle stelle. Ecco un ripasso western attraverso 10 film celebri.

Red Dead Redemption 2: Guida per sopravvivere all'Hype, ecco i dieci migliori film Western
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  • Oltre 5 secoli fa aveva inizio la colonizzazione di un territorio vastissimo, "nuovo" agli occhi degli europei che vi approdarono. Milioni di emigranti giungevano dal Vecchio Continente sulla costa Est dei futuri Stati Uniti d'America. Da lì ci si spostava verso ovest a bordo di polverose carovane destinate a viaggi a dir poco avventurosi attraverso vaste praterie abitate dai nativi. Aveva inizio la "conquista del West", declinato come "Selvaggio" o "Far" a seconda dei casi. Geograficamente, si trattava di un'area che si estendeva dal Mississippi fino al Pacifico, interessando anche l'Alaska e il confine messicano. Sentieri selvaggi e canyon che il Cinema ha scelto come iconografie di un genere prolifico, che ha regalato titoli e interpreti indimenticabili. Se, al buio di una sala cinematografica, bastano due o tre elementi per riconoscere un film western (una cappello da cow-boy, una pistola e un cavallo), nel mondo videoludico vi è solo un titolo (sebbene in passato ci siano stati anche altri giochi Western degni di nota) che ha stuzzicato immaginario e gradimento di milioni di giocatori: si tratta di Red Dead Redemption di Rockstar Games, che proprio in questi giorni ha sconquassato il settore, in febbrile fermento da ore, con il lancio del sequel - Red Dead Redemption 2 - del videogioco open world ambientato nel Far West.


    I Magnifici 10 (+ 1)

    Vi è un motivo se il videogioco con protagonista l'ex fuorilegge John Marston ha catturato "prima la curiosità e poi l'attenzione" (trasformandoli in tanti Calvin Candie di Django Unchained, tanto per restare in tema) degli appassionati di tutto il mondo: la totale aderenza a codici, archetipi e sfumature di un genere cinematografico reso celebre dalle pellicole di John Ford, rivisitato da Sergio Leone e Sam Peckinpah, oggetto infine di un revisionismo operato da registi (e interpreti) come Kevin Costner e Clint Eastwood. In attesa di tornare ad utilizzare il Red Eye in slow-motion, ecco un ripasso western attraverso 10 titoli cult, dai primi film in bianco e nero al recente The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Si tratta di una Top Ten realizzata in modo da inglobare pellicole del passato e opere recentissime e che, dolorosamente, dimentica titoli come Gli Spietati (Oscar al Miglior Film nel 1992), Mezzogiorno di fuoco, La conquista del West, Il Grinta, senza contare l'amata parodia Lo chiamavano Trinità o il solido remake di Quel Treno per Yuma, in cui Russell Crowe e Christian Bale si cimentano in un duello (che poi è pure un duetto) avvincente, incalzati da un giovane Ben Foster.


    Ombre Rosse (1939)

    Un titolo astratto, che non allude alle vicende raccontate dal maestro John Ford, il quale consegna al genere western quel respiro intellettuale che gli era fino a quel momento mancato (nonostante I Pionieri del West di Anthony Mann avesse vinto l'Oscar come miglior film nel '31). Il regista di Rio Bravo rinchiude un manipolo di personaggi - dal giocatore d'azzardo alla prostituta, tutte figure ricorrenti dei western movies - all'interno di una diligenza in viaggio su un sentiero battuto dagli indiani Apache guidati da Geronimo. Ford usa il West come pretesto per raccontare dinamiche interpersonali inficiate da odio, paura e vendetta, introducendo soluzioni stilistiche innovative (su tutte la carrellata che corre in orizzontale alla diligenza). Inizialmente, nessuna major crede nel progetto, dando come per spacciato il genere. Provano ad imporre Gary Cooper e Marlene Dietrich come protagonisti della pellicola; Ford però si oppone, spingendo per il granitico John Wayne. Il resto è leggenda...

    Sentieri Selvaggi (1956)

    Torna il mito della frontiera, tornano i due John, Ford e Wayne. Il primo fa indossare a The Duke l'inconfondibile cappello a falda larga e il fazzoletto al collo. Wayne - che nel film impersona Il reduce di guerra Ethan Edwards - monta su un cavallo per ritrovare, tra la Monument Valley e le praterie sconfinate del Texas, la nipote Debbie (Natalie Wood), rapita dai Comanche, gli indiani verso cui Edwards nutre un profondo odio. Considerato uno dei capolavori non solo del genere, bensì del Cinema in generale, Sentieri Selvaggi fonde l'epopea e l'epica del West con sottintesi politici e morali. Ford dilata tempi e spazi per accentuare il desiderio di rivalsa di un antieroe rude e cinico, con un animo tormentato da ricordi dolorosi. Il finale, tra i più malinconici di sempre, mostra John Wayne sulla soglia di casa, che osserva la famiglia riunita dall'esterno. Il reduce sudista si volta e si incammina verso l'ignoto. Solo, ovviamente.

    I Magnifici Sette (1960)

    "Io e il Padreterno lavoriamo in campi diversi". Parla così Chris, pistolero in total black col volto di Yul Brynner, nel momento in cui accetta di aiutare una comunità di desperados messicani vessati dal bandito Calvera (Eli Wallach). 7 cavalieri solitari a cui viene chiesto di mettere da parte gli individualismi per raggiungere un obiettivo comune, ravvisabile nella giustizia. Tipi risoluti e annoiati come il Vin di Steve McQueen, stanco di "qualche scazzottata col barista, quando le cose vanno bene". Vendono piombo a buon mercato, cavalcano insieme e sacrificano sé stessi per un bene superiore. John Sturges nel '60 dirige un cast all star - tra cui Charles Bronson e James Coburn - in un western reso celebre da scontri a fuoco, battute al fulmicotone e dal celebre motivo musicale ideato da Elmer Bernstein. Non è un caso se nel trailer di lancio di Red Dead Redemption 2 si notano 7 cow-boy in sella ai loro cavalli mentre percorrono un'arida prateria: I Magnifici Sette, declinazione western de I Sette Samurai di Kurosawa, è considerato un must del genere. Prova ne è l'ottimo remake (I Magnifici 7) con Denzel Washington e Chris Pratt uscito poche settimane fa nelle sale italiane.

    Il buono, il brutto, il cattivo (1966)

    L'attenzione maniacale per i dettagli, l'altissimo livello di scrittura dei suoi film, l'apparente disinteresse per l'azione, la rinuncia all'eroe senza macchia e l'utilizzo straniante della colonna sonora: i tratti somatici del cinema di Sergio Leone tornano ossessivamente ad affacciarsi nel capitolo che chiude la "trilogia del dollaro", in cui il cineasta sperimenta tecniche stilistiche innovative (ne è un esempio "il triello" finale in cui rivisita il mexican standoff). Il buono, il brutto, il cattivo è, forse, l'opera omnia di un genere che coniuga cinismo e spirito fiabesco. Il regista italiano, che dopo Per un pugno di dollari e Qualche dollaro in più, ha ormai sdoganato la figura del bounty killer (inviso fino allora ad Hollywood perché considerato un personaggio negativo). Ancora una volta è Clint Eastwood a impersonare il pistolero senza nome. La descrizione è identica a quella dei ruoli precedenti del regista di Million Dollar Baby, ovvero "Un mezzo sigaro con dietro la faccia di un gran figlio di cagna, alto biondo e che parla poco" (così lo apostrofa nel film il Tuco di Eli Wallach, con cui forma una delle coppie più riuscite di sempre). Un'avventura epica e di ampio respiro in cui si mescolano dramma, commedia ed elementi del war movie. Ad accompagnare le gesta di 3 ceffi sullo sfondo della Guerra di Secessione vi sono le percussioni, il pianoforte e l'ululato umano che imita quello del coyote. Ennio Morricone, per tratteggiare sonoramente la pellicola, affianca, a strumenti considerati 'classici', la chitarra elettrica e lo schiocco della frusta, realizzando un arrangiamento che conquista critica e pubblico (tanto che la soundtrack sarà il successo dell'anno assieme a Jumpin' Jack Flash dei Rolling Stones). Una partitura musicale unica, in grado di giocare su diversi timbri e avvolgere ogni singola sequenza de Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo. È il caso di motivi come Il Triello - che accompagna il frenetico standoff finale - e l'Estasi dell'oro, che i Metallica adoperano tutt'oggi per aprire i loro concerti.

    C'era una volta il West (1968)

    L'epopea del selvaggio West è ormai agonizzante, il mito del cow-boy e dell'avventuriero cede via via il passo alla ferrovia e allo spirito imprenditorialista post Guerra di Secessione. Sergio Leone firma uno dei western più pregevoli di tutti i tempi, costruito su deserti e silenzi, su orrore e interessi. Il tutto è sottolineato (ancora una volta) dalla colonna sonora di Ennio Morricone, realizzata prima dell'inizio delle riprese e riprodotta poi sul set, influenzando così il mood della pellicola tanto quanto le soluzioni stilistiche enfatiche del regista di Per qualche dollaro in più. Il risultato è una delle più significative colonne sonore della storia del cinema, con un leitmotiv eccezionale affidato (anche) ai vocalizi dell'artista Edda Dell'Orso, con armonica a bocca, clavicembalo e archi a fare il resto. Il cineasta italiano, dal canto suo, ingaggia uno dei volti più celebri della storia del western: Henry Fonda. Con un movimento di macchina strepitoso, Leone introduce il villain di C'era una volta il West da dietro, ruotandogli attorno e svelandolo solo nell'istante in cui Fonda solleva il viso per palesarsi. È un rovesciamento significativo, dal momento che fino ad allora l'attore americano aveva ricoperti perlopiù ruoli da "buono". Ad affiancare il perfido assassino troviamo il taciturno bounty killer Armonica (Charles Bronson) e il disilluso fuorilegge Cheyenne (Jason Robards). È Claudia Cardinale, però, a rubare la scena ai tre uomini: volto e corpo di un'epoca lontana eppure così attuale.

    Il Mercenario (1968)

    È, assieme a Vamos a matar, compañeros, uno dei più celebri 'Zapata western', ovvero una sottocategoria dello spaghetti western che narra le vicende di pistoleri e banditi sullo sfondo della Rivoluzione Messicana (per questo in alcuni di questi film è possibile notare l'utilizzo di macchine, moto e persino aerei). Per molti versi Il Mercenario ricorda sia il film con Tomas Milian che Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo, specie nel presentare al pubblico tre diversi personaggi che incrociano le proprie vicende personali sullo sfondo della grande Storia: qui Franco Nero, Tony Musante e Jack Palance sono impegnati a darsi la caccia per tutto il Messico. È il western più riuscito di Sergio Corbucci, un'avventura picaresca in cui riecheggiano strascichi sessantottini. Tra l'uso magnifico della tromba, lirismi sontuosi e arrangiamenti tipici, il fischiettio che già aveva reso famosa la trilogia del dollaro introduce il duello finale ("Salve 'Ricciolo', ci si vede ancora...ma forse per l'ultima volta" esclama il 'polacco' Franco Nero). Ennio Morricone lega visceralmente la sua musica al film di Sergio Corbucci, regalando motivi come L'Arena che verranno poi ripresi da Quentin Tarantino in Kill Bill e Bastardi Senza Gloria.

    Il Mucchio Selvaggio (1969)

    Manifesto decadente di un genere, realizzato nell'anno in cui l'uomo mette piede sulla luna. Brutale e squallida: è la frontiera messicana immortalata da Sam Peckinpah, che senza fronzoli o moralismi dirige un film crudo senza personaggi positivi. I protagonisti - da Ernest Borgnine a William Holden - sono banditi che fronteggeranno il Generale Mapache, impegnato nella lotta a Pancho Villa. Peones che parlano in dialetto, sequenze brutali, cadaveri che riempiono la scena: gli ingredienti de Il Mucchio Selvaggio sono tutti qui, propinati in modo quasi disturbante dal regista, che influenza e non poco la futura New Wave hollywwodiana. Da ricordare la sequenza finale, per la cui realizzazione sono occorsi 12 giorni di riprese e 10mila pallottole a salve.

    Butch Cassidy (1969)

    Il regista George Roy Hill intendeva scritturare Steve McQueen e Warren Beatty. Sarà invece la coppia "da stangata" più bella di hollywood - ovvero Paul Newman e Robert Redford - a dare volto e forma al duo di banditi formato da Robert Leroy Parker aka Butch Cassidy (da "butcher", macellaio) e Harry Longbaugh, che dopo 18 mesi trascorsi a Sundance, nel Wyoming, sceglie come proprio soprannome Sundance Kid. Il film narra l'attività criminale di una coppia di banditi realmente esistita, facendo affidamento sull'alchimia venutasi a creare tra i due divi hollywoodiani ("Parlami delle banche australiane"; "Sono ricche, mature e succulente"; "Le banche o le donne?"; "Oltre alle banche, anche le donne). Un western crepuscolare, malinconico e appassionante, in cui, nella prima stesura del progetto, i ruoli erano inizialmente rovesciati. Sarà Redford a suggerire al regista una modifica decisiva, rimanendo così legato ad un personaggio tanto da intitolare un festival in suo onore: Il Sundance Film Festival appunto, che ogni anno ha luogo a Park City.

    Balla coi Lupi (1990)

    Il tenente della cavalleria nordista John Dunbar ha l'ordine di dirigersi verso Fort Sedgwick. Devierà moralmente dall'uomo bianco e dall'assurdo sterminio perpetrato dai colonizzatori ai danni dei nativi americani. Un Kevin Costner riflessivo (non si separa mai da un diario in cui annota episodi e aneddoti) è il protagonista indiscusso di una pellicola che contribuisce al revisionismo del western. Un film pacifista, dichiaratamente antifordiano negli intenti (è l'uomo bianco, e non gli indiani, ad essere brutale), voluto a tutti i costi dal divo de Gli intoccabili - The Untouchables, che inizialmente avrebbe solo dovuto dirigere il film (la parte di Dunbar era stata pensata per Viggo Mortensen). Costner si oppone all'ostracismo e al poco credito delle major. La testardaggine lo ripagherà con 7 Oscar, tra cui Miglio Regia e Miglior Film (è il secondo western a vincere la statuetta dorata). Un caleidoscopio di personaggi - umani e animali - popola la pellicola, permeata da un alito crepuscolare: dal lupo "due calzini" al cavallo Cisco passando per i Sioux Uccello Scalciante e Vento nei Capelli. Da vedere e rivedere...

    Django Unchained (2012) + The Hateful Eight(2016)

    Storia di formazione (di un bounty killer) e di amicizia virile il primo, thriller dal ritmo compassato il secondo. Django Unchained è meno revival spaghetti western di quello che si pensi, dal momento che dal Django di Sergio Corbucci con Franco Nero (presente in un cameo) riprende unicamente il grido di liberta contro ogni discriminazione razziale. Tarantino cita Leone e Ford, ma anche Godard (gli insistiti campo/controcampo nell'emporio di Minnie, che ama fin dai tempi de Le Iene). Strepitosa la messinscena che ha luogo nella tenuta di Candieland, che nel finale, viene imbrattata da schizzi di sangue, in pieno stile "pulp". I corpi esplodono in un rosso vivo che riempe ogni inquadratura e che sancisce l'iperrealismo del filmaker statunitense. Il climax "emocromatico" non mancherà all'appello neppure in The Hateful Eight, l'ultima fatica di Tarantino. Pur mantenendo un imprinting western con venature da giallo, il cineasta di Knoxville utilizza il selvaggio West come mero pretesto per comporre un indovinello di 3 ore sulla falsariga dei gialli alla Agatha Christie, contaminando la pellicola con le atmosfere horror de La cosa di John Carpenter e con l'estetica de Il Grande Silenzio di Sergio Corbucci.La sceneggiatura è di gran lunga meno 'esplosa' che in Pulp Fiction, ma il cinema di genere - nel caso specifico il western - è polverizzato lo stesso, imprigionato com'è in una stanza e depauperato di diversi clichè: c'è una diligenza in corsa come nell'Ombre Rosse di John Ford, ci sono i pistoleri e i soldati dell'esercito, abbondano i bounty killer come nella migliore tradizione dello spaghetti western, ma l'impalcatura del film lo fa somigliare più ad una (forse troppo) prolungata pièce teatrale.

    ... Revenant - Redivivo

    Oltre ai 10 titoli citati in questa guida per sopravvivere all'hype da Red Dead Redemption 2, vi è una pellicola che merita di essere menzionata, anche se si tratta di un western decisamente borderline: Revenant, di Alejandro González Iñárritu. La macchina da presa del regista Premio Oscar per Birdman segue i protagonisti Leonardo DiCaprio e Tom Hardy tra i boschi, nelle praterie innevate, a cavallo, fino ad immergersi nelle acque gelide del Missouri per raccontare la storia del pioniere Hugh Glass, attaccato da un grizzly durante una spedizione nell'America del 1820. Tradito dal compagno di (s)ventura John Fitzgerald, il trapper in fin di vita viene abbandonato dopo essere stato costretto ad assistere impotente all'uccisione del figlio. Revenant - Redivivo racconta una storia estrema, in cui l'istinto di sopravvivenza di un uomo - il cacciatore DiCaprio - si alimenta della sua brama vendicativa. Un calvario sottozero tra le sterminate lande del Nordamerica in cui l'attore di The Wolf of Wall Street trascina il suo corpo martoriato e ridotto in brandelli per sfuggire alla caccia spietata degli indiani Arikara e per rintracciare l'aguzzino di suo figlio. Se il richiamo più evidente dell'opera è Uomo bianco, va' col tuo Dio!, film del 1971 con Richard Harris, la mente corre anche a Il Gladiatore di Ridley Scott e allo sguardo disincantato di Kevin Costner in Balla Coi Lupi. Vi sono poi echi di Apocalypse Now, specie nel tratteggiare con feroce lucidità la cupidigia umana. Quello del regista di Birdman è uno sfoggio di estro, seppur gelido come le terre innevate che immortala.

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