Quando il titolo di un film inganna: le traduzioni in Italiano da dimenticare

I titoli dei film spesso vengono stravolti nel passaggio dalla lingua originale a quella italiana: ecco alcuni dei peggiori adattamenti.

Quando il titolo di un film inganna: le traduzioni in Italiano da dimenticare
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Se è vero che un libro non si giudica dalla copertina, lo stesso dovrebbe valere anche per il titolo con cui un film viene distribuito sul grande schermo: tanto più che, rispetto alla lingua di partenza, molte volte l'adattamento tende a stravolgere il significato primario, in alcuni casi banalizzando e finanche ridicolizzando l'opera originale. È il caso, ad esempio, dell'ultimo capitolo della serie I Pirati dei Caraibi che - a prescindere dalla discutibile qualità della produzione - presenta un sottotitolo di sicuro impatto come "Dead Men Tell No Tales", reso in italiano con il dozzinale "La Vendetta di Salazar". Ma il medesimo discorso può essere applicato anche all'evocativo The Dark Knight Rises, episodio conclusivo della trilogia sull'Uomo Pipistrello diretta da Christopher Nolan, che nei territori nostrani è conosciuto con il prevedibile nome de "Il Cavaliere Oscuro: Il Ritorno". In più di un secolo dalla nascita della settima arte, di storpiamenti del genere se ne possono elencare a bizzeffe: noi abbiamo provato a scegliere cinque film tra i più recenti che, nel nostro idioma, hanno subito un lavoro di traduzione indegno ed irrispettoso nei confronti dell'opera d'origine. Rimaniamo, inoltre, desiderosi di conoscere quali sono per voi le pellicole che, nella distribuzione italiana, sono stati penalizzati da un'infelice scelta di localizzazione.

Contagious: Epidemia Mortale - Maggie

Immaginate di sfogliare una lista di opere orrorifiche e di ritrovarvi nel catalogo un film che - almeno dal titolo - sembra un prodotto di serie Z, indegno persino di appartenere alla cinematografia della Troma o dell'Asylum. E nessuno oserebbe darvi torto nel giudicare in tal modo Contagious: Epidemia mortale, qualora vi limitaste a leggerne soltanto il nome. Ed invece, in inglese, il bellissimo film di Henry Hobson con Arnold Swharzenegger ed Abigail Breslin si chiama in modo ben diverso: Maggie, diminutivo della protagonista Marguerite. Inspiegabile il motivo che ha portato la distribuzione italiana a ribattezzare la pellicola in maniera così vergognosa, facendola assomigliare a tanti altri zombie movie popolati da non-morti dinoccolati e claudicanti. Ed anzi, forse l'intento era proprio questo: attirare un pubblico di teenager disattenti ed ignoranti, omologando alla massa un film che invece si differenzia notevolmente dai congeneri. Maggie si eleva al di sopra dell'informe masnada dei suoi simili, perché ha un "nome", un'anima, un'identità. È una storia di accettazione del dolore, della paura del familiare, che pian piano assume i tratti di una riflessione sull'infermità, sull'eutanasia, sull'ineluttabilità degli affetti dinanzi alla morte. Con un uso talmente soffuso e coscienzioso del "gore intimistico", Maggie prende in prestito un contesto abusato per farne il palcoscenico di un rapporto genitore-figlia adombrato dal livore della tristezza, incarnata a dovere da uno Schwarzenegger che, forse come mai prima d'ora, prova davvero a scrollarsi di dosso la sua inespressività muscolare.

Un Amore all'improvviso - The time traveller's wife

Che il viaggio nel tempo, con tutti i paradossi e le complicanze che si porta in dote, sia una tematica profondamente fascinosa, è impossibile negarlo. Quella di coniugare questo spunto narrativo ad un sottotono sentimentale è un'idea vincente, seppur non particolarmente innovativa. Vale la pena citare, tra gli altri, lo stucchevole La Casa sul lago del Tempo ed il delizioso Questione di Tempo: ma tra i film ascritti a questa categoria romantica-fantascientifica, quello più bistrattato dalla traduzione italiana è senza dubbio The Time Traveller's Wife, diffuso nei nostri lidi con l'insignificante titolo "Un Amore all'improvviso". Il rischio è quello di scambiare - di primo acchito - un prodotto leggero ed innocuo, ma dotato di intriganti implicazioni filosofiche sulla predestinazione, in una commediola di quarta classe, interamente incentrata sulla banalità della serendipità. Pur con le sue debolezze, quindi, The Time Traveller's Wife avrebbe meritato maggior rispetto nell'ottica della distribuzione nei cinema nostrani: è triste dover assistere a simili (e non certo rari) esempi di come - per ragioni di mero incasso - il titolo italiano provi ad "ingannare" la platea di spettatori, nel tentativo di calamitare in sala gruppetti di teenager o spettatori di mezza età ancora in astinenza da Ghost, privando così un'opera della propria ambizione e della propria originalità.

L'amore bugiardo - Gone Girl

Il capolavoro di David Fincher, più che un emblema di cattivo adattamento, raffigura un esempio di traduzione "inutile" e, sotto certi aspetti, persino dannosa: lasciare il titolo in inglese, d'altro canto, non avrebbe causato di certo alcun problema per la ricezione della pellicola, mentre la versione italiana - il mediocre "L'amore bugiardo" - finisce con l'anticipare futilmente qualche risvolto della trama (un po' come era accaduto anche per "La donna che visse due volte" di Sir Alfred Hitchcock - "Vertigo" in originale).

È vero che il fulcro di Gone Girl - sebbene sia catalogabile nel macro genere dei thriller - non ruoti intorno al colpo di scena che il nome nostrano del film lascia un po' intuire, ma si concentra sul bifrontismo del rapporto di coppia, sulle diaboliche macchinazioni del matrimonio, sull'influenza dell'opinione pubblica e della morbosità mass mediale a scapito della logica investigativa. Eppure, anche senza inficiare in modo indelebile la visione del gioiello di Fincher (a differenza di come avvenne per il già citato "Vertigo"), resta lo stesso una fastidiosa sensazione di disappunto nell'assistere a simili, inopportune modifiche del "sigillo" autoriale di un'opera, sebbene le necessità di comprensione non le richiedano affatto.

L'alba del pianeta delle scimmie - Rise of the planet of the apes

Quello che è accaduto all'adattamento del reboot de "Il pianeta delle scimmie" nel 2011 per mano di Ruper Wyatt è alquanto insolito e - a suo modo - divertente. Il primo film, in lingua d'albione, si intitola "Rise of the Planet of the Apes", tradotto in italiano con "L'alba del pianeta delle scimmie". Fin qui, a dire il vero, non c'è nulla di erroneo né indecente: per quanto non fedelissimo alla versione di base, il titolo nostrano riflette comunque appieno lo spirito del capostipite della nuova saga. I problemi, semmai, iniziano con il secondo episodio: nel 2014 uscì infatti nei cinema Dawn of the Planet of the Apes, diretto da Matt Reeves.

Come facilmente intuibile, il titolo del sequel andrebbe italianizzato con "L'alba del pianeta delle scimmie", già utilizzato per la promozione della precedente pellicola. Si può immaginare, quindi, la confusione che deve aver assalito i poveri traduttori del Belpaese quando si sono trovati costretti a scegliere una nuova denominazione. Purtroppo però, la decisione non è stata di quelle "artisticamente" più felici: Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie è una localizzazione debole e pigra, che non solo prevede l'utilizzo di un titolo ancora in inglese, ma snatura persino il senso dell'originale. Il terzo capitolo, appena arrivato nelle sale italiane e sempre firmato da Matt Reeves, porta invece il nome The War of the Planet of the Apes, che da noi diventa The War: Il pianeta delle Scimmie: sciatto sì, ma almeno non del tutto arbitrario.

Se mi lasci ti cancello - Eternal Sunshine of the Spotless Mind

Non è proprio un film "recentissimo", risalente com'è a circa 13 anni fa, ma non potevamo in alcun modo esimerci dall'inserire all'interno di questa lista quella che è quasi unanimemente considerata come una delle più balorde operazioni di adattamento che la storia del cinema ricordi. Un meraviglioso verso estratto dall'epistola in versi Eloisa to Abelard del poeta Alexander Pope, "Eternal Sunshine of the Spotless Mind" (letteralmente: "Eterno splendore della mente candida") diviene il titolo del capolavoro indiscusso di Michel Gondry, sceneggiato da quel genio di Charlie Kaufman. Tanta bellezza, dolce e potente, soffusa e raffinata, viene vandalizzata dall'edizione italiana, incomprensibilmente venduta al pubblico come "Se mi lasci ti cancello". Una simile "desacralizzazione", che barbarizza ed umilia un prodotto intimo, psicologico e incredibilmente intenso, è divenuto, negli anni, l'esempio più lampante di come non dovrebbe essere adattato il titolo di un'opera straniera. Il tutto, d'altronde, si commenta da solo: trasformare una poesia in un'espressione qualunquista ed anonima ha rischiato di far apparire una perla della cinematografia del nuovo millennio come una semplicistica, infantile commedia sentimentale. E questo sarebbe stato davvero un peccato imperdonabile.