Speciale Pan: 60 anni di gioventù cinematografica

Da Walt Disney che ne esaltò i colori e l'atmosfera a Joe Wright che ne vitupera filosofia e origini: James Matthew Barrie e i 60 anni transmediali del suo folletto di Kensington Garden

Speciale Pan: 60 anni di gioventù cinematografica
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Sono anni che continuo a pormi una domanda di cruciale importanza, almeno per i miei parametri. James Hook, Capitano Uncino, come arriva, e perché, all'Isola che non C'è? Qual è la magia che porta il più temibile dei pirati mai esistiti sulla faccia della Terra a navigare nelle desolate acque dell'Isola che aleggia al termine del mattino? L'unico che ha provato a darmi una spiegazione, per niente plausibile, è stato Adam Horowitz, ai più noto come sceneggiatore di Lost, ai meno conosciuto come ideatore e autore di Once Upon a Time, la serie televisiva che spiega le origini di tutti i personaggi delle fiabe, un po' a comodo loro. Pare, infatti, che Hook arrivasse all'Isola governando la Jolly Roger alla quale, al posto delle vele, sono state apposte le piume di Pegaso, il cavallo alato che Zeus utilizzava per trasportare le folgori all'Olimpo. Diciamo, insomma, che sono ancora qui ad attendere una spiegazione plausibile e a sperare che un giorno possa arrivare a me quell'idea. Nel frattempo confidavo in Joe Wright, nel suo begins, in Pan e nelle sue intenzioni di raccontarci come realmente le cose siano iniziate, ma mi sono reso conto di aver confidato, ancora una volta, nella persona sbagliata, come feci con Pierdomenico Baccalario.

LA VERA STORIA DI CAPITAN UNCINO

Baccalario, romanziere torinese, nel 2011 pubblicò La vera storia di Capitan Uncino, un altro esperimento di raccontare un vuoto narrativo che James Matthew Barrie ci ha lasciato, o che semplicemente non riteneva necessario approfondire o che, ancora, ha aumentato la curiosità attorno a Capitan Uncino proprio perché lasciato, volutamente, oscuro. Il romanzo di Baccalario, però, altri non è che una abile operazione di marketing che spinge tutti a inseguire la verità dietro Hook, salvo poi ritrovarsi, nelle ultime pochissime pagine del libro, dinanzi alla spiegazione che lascia l'amaro in bocca: la sua vera storia è la storia di come Barrie incontra l'uomo che gli farà da ispirazione per James Hook, quindi un romanzo nel romanzo, senza lasciarci nulla di vero, solo una romanza senza musica. E di Capitain Uncino nemmeno l'ombra. Poi, per fortuna dei più, ci pensa Joe Wright a tranquillizzare gli animi: si può fare di peggio. Si può, per esempio, presentare un giovanissimo James, con entrambe le mani attaccate ai polsi, in veste di povero minatore alla ricerca della polvere di fata, chiaramente invecchiato all'Isola che non C'è, palesarsi come un cowboy, con il suo cappello da Indiana Jones, mentre canta Smells Like Teen Spirit dei Nirvana e dire, chiaramente «mi chiamo James Hook». Quindi l'uncino al posto della mano te lo metti per onorare il tuo nome, James? No, perché qui stavamo tutti incolpando Peter Pan, da 60 anni.

LA FALSA STORIA DI PETER PAN

Parlo di 60 anni perché sebbene sia passato più di un secolo dalla pubblicazione della prima storia di Peter Pan firmata dallo scrittore inglese, e ne siano passati più di 90 dalla prima trasposizione cinematografica, è sicuramente Walter Elias Disney il primo cineasta capace di rilanciare la figura del folletto di Kensington Garden. Una rivisitazione che, come avvenuto per molte altre favole riscritte da Disney, ha consegnato al pubblico una versione decisamente più facile da imparare e da immagazzinare, smussando gli angoli della personalità di Peter, un ragazzino fastidioso, acido e decisamente pestifero, per come ce l'aveva consegnato Barrie. In 60 anni, oltre la già citata opera d'animazione di Disney, si registrano anche Hook, il più che noto film con Robin Williams nei panni di Peter, di ritorno all'Isola che non C'è dopo esser invecchiato a Londra, il Peter Pan di Paul John Hogan e, infine, Neverland, la miniserie tv prodotta da Sky come prequel e reinterpretazione, a oggi uno degli esperimenti più funzionali rispetto agli altri tentativi di riscrivere le origini di Pan. A conti fatti nemmeno troppi tentativi di rielaborare una storia sulla quale, per ora, è stato detto tutto ciò che Barrie aveva consegnato: una favola della buonanotte che raccontava le marachelle di un bambino che non sarebbe mai invecchiato grazie alla magia dell'Isola che non C'è.

Non è tanto la figura di Peter Pan, quindi, bensì quello che gli gira intorno che Joe Wright è riuscito a deturpare. Di Capitain Uncino s'è già ampiamente parlato, ma specifichiamo soltanto che James di Barbanera fu nostromo e sicuramente non minatore schiavizzato. Edward Teach, dal suo canto, fa la prima apparizione in una trasposizione che non sfigura per niente la sua immagine: Hugh Jackman non lascia spazio a contestazioni e lo stesso Joe Wright non avendo nulla da utilizzare come metro di paragone, non dovendo esacerbare alcun tipo di già rodata proposta cinematografica va con le briglie sciolte e riesce a fornirci un personaggio in linea con quanto ci si poteva aspettare. Meno riuscito è invece Spugna, quello che sarebbe stato nell'opera originale il nostromo, e non il primo ufficiale, di Capitan Uncino: un personaggio la cui amicizia viene coltivata in un modo a noi ignoto, ma che perdura nel tempo e che stava per essere interrotta per mano dello stesso Wright, che dona al barbuto e panciuto omuncolo poco avvezzo all'intelligenza il ruolo di traditore infingardo, menefreghista della disponibilità avuta da Peter e da James.

E IL SEQUEL?

Altresì c'è da chiedersi come Wright avrebbe mai voluto collegare questo suo prequel delle vicende di Peter Pan a tutto ciò che viene dopo: la Jolly Roger sta già volando di per sé, Giacomo Uncino è divenuto Capitano per stessa volontà di Peter che gli consegna la nave rubata nei pressi della valle delle sirene, ma è tra gli indiani che albergano le maggiori delle nostre domande. Non volendo tener conto del fatto che Giglio Tigrato pur essendo 'indiana' è più pallida di una svedese, è sotto gli occhi di tutti l'esplosione - sì, l'esplosione in mille colori - del grande capo indiano, Piccola Pantera, quello che nella trasposizione di Walt Disney, chiamandosi Toro in Piedi, porgeva il calumet della pace a Wendy, George e Michael. Artisticamente è stato aulico il lavoro di Wright, che ha riprodotto un'Isola che non C'è meravigliosa, compresa anche degli Uccelli che non C'è, mai apparsi fino a ora in una produzione cinematografica, ma troppe incongruenze sono state consegnate agli spettatori, con tanto di Peter che nel finale lancia un'onda energetica di fate. La gioventù, a volte, la ubris, la tracotanza e la convinzione di poter riscrivere qualcosa fa accadere queste situazione: a Kensington Garden non si sarà scritto un capolavoro, ma la memoria di Barrie andrebbe, a volte, preservata. Potremmo tutti andare a guardare, ora, Neverland di Marc Forster, con Johnny Depp nei panni di James M. Barrie, e ripensare per un attimo a Peter Pan, al vero Peter Pan.

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