Speciale Nymphomaniac: Lars von Trier

Scopriamo insieme il cineasta più controverso degli ultimi anni

Speciale Nymphomaniac: Lars von Trier
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È ora in tutte le sale Nymphomaniac, il nuovo film del regista danese probabilmente più noto di sempre: Lars von Trier. Nella pellicola, un dramma biografico sul personaggio di finzione noto come Joe (interpretato da Charlotte Gainsbourg in versione adulta e da Stacy Martin in quella giovanile), una donna con problemi relazionali che nella vita ha avuto un rapporto decisamente altalenante con l'eros. Il ricco cast dell'opera comprende, tra gli altri, Stellan Skarsgård, Willem Dafoe, Shia LaBeouf, Jamie Bell, Uma Thurman e Christian Slater, per un nevrotico e profondo viaggio nell'inconscio.
Il film rientra perfettamente nel filone tipico del cineasta nordico, fatto di opere dure, sprezzanti, cupe quasi fino al nichilismo in alcuni casi. È un cinema fatto di suggestioni, timori, paure, insicurezze tutte derivanti dal suo autore, che di sé e della sua ipocondria dice “credo di aver paura di tutto, tranne che di filmare”.
Metodico e attaccato ad alcuni stilemi specifici (come la suddivisione dei film in capitoli, ad esempio) Von Trier fin da piccolo manifesta la sua volontà di raccontare per immagini in movimento, ma il suo primo cortometraggio “ufficiale” viene presentato ufficialmente solo all'età di ventun anni, nel 1977: si tratta de Il giardiniere delle orchidee, che sarà seguito da altri quattro corti di lunghezza variabile tra gli 8 e i 57 minuti (Menthe - la ragazza felice, Nocturne, L'ultimo particolare e Immagini di una liberazione) che getteranno le basi per il suo stile e i suoi temi cardine. Solo nel 2007, a carriera oramai già avviatissima, tornerà al genere dei corti per prendere parte all'iniziativa cannense Chacun son cinéma con i tre minuti di Occupation.

Sono Lars von Trier

Nel 1984 von Trier realizza il suo primo lungometraggio, L'elemento del crimine, in cui un detective finisce per immedesimarsi fin troppo nel serial killer a cui dà la caccia. Primo capitolo della cosiddetta “Trilogia europea” (gran parte dei suoi film sono ascrivibili a una qualche 'trilogia' legata da un sottile fil rouge) l'opera si distingue a Cannes vincendo il Grand Prix Tecnico.
Segue il bizzarro Epidemic, nel 1987, che alterna realismo e fantasia in un epidemic movie tutto da scoprire. È invece il 1988 quando decide di mettere mano agli scritti del collega e mentore Carl Theodor Dreyer, mettendo a frutto la sua eredità portando sugli schermi la sua personalissima e cruda versione della tragedia classica Medea (1998). A questo segue Europa (1991), terzo e ultimo capitole della Trilogia Europea, spietata opera sul nazismo e l'occupazione americana in Germania.
Ma è forse solo dal 1996 che il grande pubblico comincia a parlare di lui, grazie a Le onde del destino, visionario film sulla Fede e sull'Amore interpretato da Emily Watson (nomination all'Oscar per lei quell'anno) che valse a Trier il Gran Premio della Giuria.

Dogma 95

Nel 1998 è la volta di “tener fede” al giuramento posto alla costituzione del movimento Dogma 95, da lui stesso promulgato e che prevedeva un ritorno all'emozione del cinema in sé senza effetti speciali, elaborati movimenti di macchina, colonne sonore strabordanti. Il movimento, a cui aderirono molti cineasti, si rivelò invero più una dichiarazione di intenti che un vero dictat, nonostante il formalismo della dichiarazione, e lo stesso Von Trier sforò spesso le sue stesse regole, fino al loro progressivo e definitivo abbandono. Ma nel '98, dicevamo, il tentativo in merito fu quello dell' “assurdo” Idioti, film in cui un gruppo di persone celebravano l'idiozia comportandosi da tali pur non essendolo, sfidando i pregiudizi della gente “comune”.
Due anni dopo è la volta dell' “Anti-musical”: Dancer in the Dark, un dramma musicale decisamente originale e assolutamente disperato con protagonista la cantante Björk. Non dev'essere facile lavorare con Lars a certi temi, tanto che alcuni suoi attori, dopo la prima esperienza, affermano “mai più”. L'ha detto Björk, l'ha confermato anche Nicole Kidman, protagonista nel 2003 del thriller Dogville, che vanterà poi una sorta di seguito due anni più tardi (ma con Bryce Dallas Howard nella parte della protagonista Grace) con Manderlay. Poco dopo Dogville, comunque, arrivò anche lo sperimentale Le cinque variazioni, docufiction in cui von Trier “sfida” il collega Jørgen Leth a girare, per l'appunto, cinque variazioni di uno stesso film seguendo alcune ferree e ostiche regole imposte da von Trier stesso.

Melanconico

Pur non allontanandosi dal dramma e dalle atmosfere da thriller, ha invece qualche venatura da commedia Il grande capo, del 2006, in cui il proprietario di una grande azienda assolda un attore per impersonarlo durante la vendita della società, dando vita a una reazione a catena di imprevedibili effetti.
Arriviamo così alla più recente trilogia di cui fanno parte Antichrist (2009), Melancholia (2011) e Nymphomaniac, sicuramente i suoi tre film più discussi per via delle tematiche forti. Usando un forte lirismo, accenni onirici e un grande ricorso alla fiction più che alla verosimiglianza e alla simbologia, von Trier crea tre drammi che lasciano ben poco spazio all'ottimismo, prima raccontando la tragica storia della coppia formata dagli innominati Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg, alle prese con una furia sessuale punitiva e autodistruttiva e poi con la disperata storia delle due sorelle Justine e Claire (la succitata Gainsbourg e Kirsten Dunst) che vivono i loro problemi relazionali nel mentre dell'attesa di una catartica fine del mondo derivante dall'impatto di un corpo celeste con la Terra.
In sostanza, anche dalla nostra piccola trattazione, appare evidente l'essenza di Lars von Trier: sicuramente controverso, assolutamente da scoprire.

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