Seppur chiamati con nomi diversi, possiamo dire che mockumentary e found footage contraddistinguano entrambi, senza distinzioni di grossa rilevanza, lo stesso genere cinematografico, avendo formato spesso, nel corso degli anni, un duetto omogeneo e inscindibile. Alla base di tutto, più che un vero e proprio genere cinematografico - anche se i meriti per definirlo tale a tutti gli effetti, di certo, non mancano - c'è una ben precisa tecnica di ripresa, quella che comunemente viene associata a note forme di giornalismo televisivo come il reportage o i filmati di cronaca. Una cronaca che può spaziare fra le più disparate tipologie: bianca, nera e, in alcuni casi, anche rosa. Ci troviamo in un'epoca in cui, grazie alle rivoluzionarie e illuminanti innovazioni tecnologiche da cui siamo stati letteralmente sommersi, chiunque può (auto)insignirsi dell'appellativo di giornalista/cronista o aspirante tale, perchè la possiblità di documentare, di raccontare un fatto e di esprimere il proprio punto di vista attraverso un obiettivo viene concessa, bene o male, a tutti. Ma c'è un aspetto di fondamentale importanza che non va assolutamente dimenticato, e che rappresenta, a maggior ragione, il principale motivo per cui è d'obbligo distinguere un semplice, comune documentario o reportage che sia da un mockumentary o found footage, ovvero: niente di ciò che vediamo è...vero, ma è tutto frutto di pura finzione. Realizzare, mostrare, documentare ciò che più interessa - entro i limiti della decenza, ovviamente - è un diritto di cui sempre più persone stanno usufruendo, e nessuno può impedire che tale diritto comporti anche la possibilità di affidarsi, chi più chi meno, alla propria immaginazione. Certo esperimenti di questo tipo hanno caratterizzato soprattutto i periodi più recenti, ma il falso documentario - così definito da molti - è stata una realtà anche della "vecchia" industria cinematografica. In attesa dell'uscita nelle sale italiane, il 22 novembre, di Paranormal Activity 4, nuovo episodio della saga horror che ha riportato in auge questa tecnica di ripresa, ci concediamo così un viaggio nel mondo dei found footage.
I PRIMI (FALSI) DOCUMENTARI
Uno dei primissimi fruitori di questa tanto discussa tecnica cinematografica è stato nientemeno che Woody Allen con la sua prima, vera fatica registica dal titolo Prendi i soldi e scappa (1969), all'interno della quale lo stesso Allen veste i panni di un ladruncolo di mezza tacca protagonista di un falso documentario sulla vita di quest'ultimo. Tecnica che il futuro regista di capolavori come Io e Annie (1977) e Manhattan (1979) perfezionò qualche anno più tardi, precisamente nel 1983, con Zelig, mettendo in scena materiale di repertorio "lavorato" e "falsicato" in modo assolutamente geniale. Ad oggi uno dei migliori esempi di mockumentary alla portata di mano. Rivoluzionario, seppur a suo modo, lo è stato anche il criticatissimo ma, ormai, leggendario Cannibal Holocaust (1979), scritto da Gianfranco Clerici e diretto dal nostro Ruggero Deodato, che, a causa dei contenuti osceni e della violenza gratuita messa in scena nella pellicola, ne ha passate davvero di ogni. Emblema assoluto dei b-movie tricolore dell'epoca d'oro del cinema italico, Cannibal Holocaust è, in sostanza, la storia di alcuni reporter che si recano in Amazzonia per realizzare un servizio sui cannibali che vivono in quelle zone. Hanno filmato tutto, e parte del loro girato non è che una testimonianza della crudeltà insita nell'essere umano e delle rovinose conseguenze che questa può comportare. All'epoca fu lapidato da ogni parte, ma oggi è un Cult.
LA SVOLTA
La prima, chiara - e, forse, anche definitiva - svolta del genere mockumentary arriva senza dubbio negli anni '90. Esperimenti come Bob Roberts (1992), il francese Il cameram e l'assassino (1992) e, soprattutto, Forgotten Silver (1995), diretto e interpretato da Peter Jackson, ottengono un buon riscontro di pubblico e critica, ma sono solo un banale preludio a quella che sarà, qualche anno più tardi, la vera consacrazione del falso documentario come genere cinematografico a tutto tondo. Trattasi, scontato dirlo, del rivoluzionario The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair (1999), sul quale si è ormai detto di tutto e di più e a cui si deve, tra le molte altre cose, il merito di essere stato il primo mockumentary di genere horror nonchè il degno predecessore e ispiratore della dilagante serie di prodotti sulla falsa riga giunti alla nostra attenzione nei periodi successivi. Tutto parte dalla vicenda di tre giovani filmaker che, nell'ottobre del 1994, si avventurarono nei boschi del Maryland con l'intento di girare un documentario su una fantomatica strega - l'ormai nota strega di Blair - che, secondo alcune leggende metropolitane, pare fosse solita aggirarsi tra quegli stessi boschi durante la notte. Dei tre ragazzi non si ebbe più notizia, fino a quando, nel 1999, due illustri sconosciuti di nome Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez misero in rete un sito che raccontava appunto dettagli di questa vicenda, per poi scoprire che si trattava di un pretesto per pubblicizzare , appunto, il futuro The Blair Witch Project. Per diverso tempo, la gente fu indotta a credere per davvero che i fatti narrati nel "documentario" fossero attinenti alla realtà, questo grazie soprattutto alla folta e geniale campagna marketing che i due cineasti misero in atto per convincere gli spettatori circa la (presunta) attendibilità della vicenda. E, alla luce dei fatti, Myrick e Sanchez si sono rivelati due infallibili "affabulatori", permettendo al loro film di registrare una cosa come 250 milioni di dollari di incasso mondiale, a fronte di un budget che superava di poco le dieci migliaia. Realizzato con attrezzatura amatoriale, rigorosamente in presa diretta per rendere il tutto ancora più realistico e con attori non professionisti, The Blair Witch Project, a prescindere dal fatto che sia coinvolgente o meno, è l'esempio più significativo di falso documentario dell'intera storia del genere e, perchè no, anche del cinema in generale. Seppur con stile e autori diversi, fu girato, appena un anno più tardi, il seguito, Il libro segreto delle streghe: Blair Witch 2, che non ebbe, però, la stessa fortuna del capostipite.
PARANORMAL REVOLUTION E I MOCKUMENTARY DI OGGI
Dopo il successo di The Blair Witch Project, i mockumentary di genere horror che hanno provato, nei periodi immediatamente successivi, a cavalcarne l'onda sono stati molteplici, molti dei quali, però, rivelatisi null'altro che fumo. Gli esempi degni di nota, però, non sono comunque mancati: il dittico [REC]-[REC] 2 (2007, 2009), ad opera della coppia Jaume Balaguerò-Paco Plaza, ne è una chiara testimonianza. Ma per essere nuovamente travolti da un ciclone di portata paragonabile a quello scatenato da The Blair Witch Project dobbiamo attendere fino al 2010, anno in cui, dopo una lunga attesa, approda nelle nostre sale il fenomeno Paranormal Activity, racconto di una coppia di fidanzati alle prese con un'entità maligna che si è introdotta nella loro abitazione. Per far fronte alle minacce di quest'ultima, i due piazzano una videocamera nelle loro camera da letto, di modo che possano accertare i movimenti che questa presenza compie nell'arco della notte. Fondamentalmente, il meccanismo è lo stesso di quello attuato (con successo) dieci anni prima da Myrick e Sanchez con La strega di Blair: una massiccia campagna promozionale per attirare la gente al cinema, leggende metropolitane diffuse ovunque e spacciare il tutto come prova autentica di fatti realmente accaduti. Anche in questo caso, il pubblico ha "abboccato" in pieno, rendendo un ex programmatore di computer - il regista è l'israeliano Oren Peli - e degli attori totalmente improvvisati - Katie Featherstone e Micah Sloat - delle star internazionali, con un incasso complessivo che ammonta a circa 150 milioni di dollari. Fa dunque strano pensare che, per realizzare il film, Peli ne abbia spesi solo 15 mila. Un fenomeno, quello di Paranormal Activity, che ha fatto non poco discutere e che ha dato il là a ben tre seguiti - in realtà dei prequel - l'ultimo dei quali atteso nelle nostre sale per il prossimo 22 novembre. Tra gli esempi di mockumentary che hanno fatto parlare di sé nell'arco degli ultimi anni, da menzionare sono senz'altro: Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi (2007) di Geroge A. Romero (2007), il catastrofico Cloverfield (2008) di Matt Reeves, District 9 (2009) di Neill Blomkamp, L'ultimo esorcismo (2010) di Daniel Stamm, Troll Hunter (2010) di André Øvredal, ESP - Fenomeni paranormali (2011) dei fratelli Vicious, L'altra faccia del diavolo (2012) di William Brent Bell, Chronicle (2012) di Josh Trank e due titoli in controtendenza con quelli citati finora, ovvero Borat - Studio culturale sull'America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan (2006) di Larry Charles, con il comico Sacha Baron Cohen a vestire i panni di un pittoresco reporter kazako e I'm Still Here, documentario sul (falso) ritiro dal jet-set hollywoodiano dell'attore Joaquin Phoenix, diretto dall'amico Casey Affleck.
Speciale Mockumentary e found footage
Nascita e sviluppo dei "falsi documentari"
Seppur chiamati con nomi diversi, possiamo dire che mockumentary e found footage contraddistinguano entrambi, senza distinzioni di grossa rilevanza, lo stesso genere cinematografico, avendo formato spesso, nel corso degli anni, un duetto omogeneo e inscindibile.
Alla base di tutto, più che un vero e proprio genere cinematografico - anche se i meriti per definirlo tale a tutti gli effetti, di certo, non mancano - c'è una ben precisa tecnica di ripresa, quella che comunemente viene associata a note forme di giornalismo televisivo come il reportage o i filmati di cronaca. Una cronaca che può spaziare fra le più disparate tipologie: bianca, nera e, in alcuni casi, anche rosa.
Ci troviamo in un'epoca in cui, grazie alle rivoluzionarie e illuminanti innovazioni tecnologiche da cui siamo stati letteralmente sommersi, chiunque può (auto)insignirsi dell'appellativo di giornalista/cronista o aspirante tale, perchè la possiblità di documentare, di raccontare un fatto e di esprimere il proprio punto di vista attraverso un obiettivo viene concessa, bene o male, a tutti.
Ma c'è un aspetto di fondamentale importanza che non va assolutamente dimenticato, e che rappresenta, a maggior ragione, il principale motivo per cui è d'obbligo distinguere un semplice, comune documentario o reportage che sia da un mockumentary o found footage, ovvero: niente di ciò che vediamo è...vero, ma è tutto frutto di pura finzione.
Realizzare, mostrare, documentare ciò che più interessa - entro i limiti della decenza, ovviamente - è un diritto di cui sempre più persone stanno usufruendo, e nessuno può impedire che tale diritto comporti anche la possibilità di affidarsi, chi più chi meno, alla propria immaginazione.
Certo esperimenti di questo tipo hanno caratterizzato soprattutto i periodi più recenti, ma il falso documentario - così definito da molti - è stata una realtà anche della "vecchia" industria cinematografica.
In attesa dell'uscita nelle sale italiane, il 22 novembre, di Paranormal Activity 4, nuovo episodio della saga horror che ha riportato in auge questa tecnica di ripresa, ci concediamo così un viaggio nel mondo dei found footage.
I PRIMI (FALSI) DOCUMENTARI
Uno dei primissimi fruitori di questa tanto discussa tecnica cinematografica è stato nientemeno che Woody Allen con la sua prima, vera fatica registica dal titolo Prendi i soldi e scappa (1969), all'interno della quale lo stesso Allen veste i panni di un ladruncolo di mezza tacca protagonista di un falso documentario sulla vita di quest'ultimo. Tecnica che il futuro regista di capolavori come Io e Annie (1977) e Manhattan (1979) perfezionò qualche anno più tardi, precisamente nel 1983, con Zelig, mettendo in scena materiale di repertorio "lavorato" e "falsicato" in modo assolutamente geniale. Ad oggi uno dei migliori esempi di mockumentary alla portata di mano.
Rivoluzionario, seppur a suo modo, lo è stato anche il criticatissimo ma, ormai, leggendario Cannibal Holocaust (1979), scritto da Gianfranco Clerici e diretto dal nostro Ruggero Deodato, che, a causa dei contenuti osceni e della violenza gratuita messa in scena nella pellicola, ne ha passate davvero di ogni.
Emblema assoluto dei b-movie tricolore dell'epoca d'oro del cinema italico, Cannibal Holocaust è, in sostanza, la storia di alcuni reporter che si recano in Amazzonia per realizzare un servizio sui cannibali che vivono in quelle zone. Hanno filmato tutto, e parte del loro girato non è che una testimonianza della crudeltà insita nell'essere umano e delle rovinose conseguenze che questa può comportare.
All'epoca fu lapidato da ogni parte, ma oggi è un Cult.
LA SVOLTA
La prima, chiara - e, forse, anche definitiva - svolta del genere mockumentary arriva senza dubbio negli anni '90.
Esperimenti come Bob Roberts (1992), il francese Il cameram e l'assassino (1992) e, soprattutto, Forgotten Silver (1995), diretto e interpretato da Peter Jackson, ottengono un buon riscontro di pubblico e critica, ma sono solo un banale preludio a quella che sarà, qualche anno più tardi, la vera consacrazione del falso documentario come genere cinematografico a tutto tondo. Trattasi, scontato dirlo, del rivoluzionario The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair (1999), sul quale si è ormai detto di tutto e di più e a cui si deve, tra le molte altre cose, il merito di essere stato il primo mockumentary di genere horror nonchè il degno predecessore e ispiratore della dilagante serie di prodotti sulla falsa riga giunti alla nostra attenzione nei periodi successivi.
Tutto parte dalla vicenda di tre giovani filmaker che, nell'ottobre del 1994, si avventurarono nei boschi del Maryland con l'intento di girare un documentario su una fantomatica strega - l'ormai nota strega di Blair - che, secondo alcune leggende metropolitane, pare fosse solita aggirarsi tra quegli stessi boschi durante la notte.
Dei tre ragazzi non si ebbe più notizia, fino a quando, nel 1999, due illustri sconosciuti di nome Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez misero in rete un sito che raccontava appunto dettagli di questa vicenda, per poi scoprire che si trattava di un pretesto per pubblicizzare , appunto, il futuro The Blair Witch Project.
Per diverso tempo, la gente fu indotta a credere per davvero che i fatti narrati nel "documentario" fossero attinenti alla realtà, questo grazie soprattutto alla folta e geniale campagna marketing che i due cineasti misero in atto per convincere gli spettatori circa la (presunta) attendibilità della vicenda. E, alla luce dei fatti, Myrick e Sanchez si sono rivelati due infallibili "affabulatori", permettendo al loro film di registrare una cosa come 250 milioni di dollari di incasso mondiale, a fronte di un budget che superava di poco le dieci migliaia.
Realizzato con attrezzatura amatoriale, rigorosamente in presa diretta per rendere il tutto ancora più realistico e con attori non professionisti, The Blair Witch Project, a prescindere dal fatto che sia coinvolgente o meno, è l'esempio più significativo di falso documentario dell'intera storia del genere e, perchè no, anche del cinema in generale.
Seppur con stile e autori diversi, fu girato, appena un anno più tardi, il seguito, Il libro segreto delle streghe: Blair Witch 2, che non ebbe, però, la stessa fortuna del capostipite.
PARANORMAL REVOLUTION E I MOCKUMENTARY DI OGGI
Dopo il successo di The Blair Witch Project, i mockumentary di genere horror che hanno provato, nei periodi immediatamente successivi, a cavalcarne l'onda sono stati molteplici, molti dei quali, però, rivelatisi null'altro che fumo. Gli esempi degni di nota, però, non sono comunque mancati: il dittico [REC]-[REC] 2 (2007, 2009), ad opera della coppia Jaume Balaguerò-Paco Plaza, ne è una chiara testimonianza.
Ma per essere nuovamente travolti da un ciclone di portata paragonabile a quello scatenato da The Blair Witch Project dobbiamo attendere fino al 2010, anno in cui, dopo una lunga attesa, approda nelle nostre sale il fenomeno Paranormal Activity, racconto di una coppia di fidanzati alle prese con un'entità maligna che si è introdotta nella loro abitazione. Per far fronte alle minacce di quest'ultima, i due piazzano una videocamera nelle loro camera da letto, di modo che possano accertare i movimenti che questa presenza compie nell'arco della notte.
Fondamentalmente, il meccanismo è lo stesso di quello attuato (con successo) dieci anni prima da Myrick e Sanchez con La strega di Blair: una massiccia campagna promozionale per attirare la gente al cinema, leggende metropolitane diffuse ovunque e spacciare il tutto come prova autentica di fatti realmente accaduti. Anche in questo caso, il pubblico ha "abboccato" in pieno, rendendo un ex programmatore di computer - il regista è l'israeliano Oren Peli - e degli attori totalmente improvvisati - Katie Featherstone e Micah Sloat - delle star internazionali, con un incasso complessivo che ammonta a circa 150 milioni di dollari. Fa dunque strano pensare che, per realizzare il film, Peli ne abbia spesi solo 15 mila.
Un fenomeno, quello di Paranormal Activity, che ha fatto non poco discutere e che ha dato il là a ben tre seguiti - in realtà dei prequel - l'ultimo dei quali atteso nelle nostre sale per il prossimo 22 novembre.
Tra gli esempi di mockumentary che hanno fatto parlare di sé nell'arco degli ultimi anni, da menzionare sono senz'altro: Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi (2007) di Geroge A. Romero (2007), il catastrofico Cloverfield (2008) di Matt Reeves, District 9 (2009) di Neill Blomkamp, L'ultimo esorcismo (2010) di Daniel Stamm, Troll Hunter (2010) di André Øvredal, ESP - Fenomeni paranormali (2011) dei fratelli Vicious, L'altra faccia del diavolo (2012) di William Brent Bell, Chronicle (2012) di Josh Trank e due titoli in controtendenza con quelli citati finora, ovvero Borat - Studio culturale sull'America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan (2006) di Larry Charles, con il comico Sacha Baron Cohen a vestire i panni di un pittoresco reporter kazako e I'm Still Here, documentario sul (falso) ritiro dal jet-set hollywoodiano dell'attore Joaquin Phoenix, diretto dall'amico Casey Affleck.
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