Speciale Hawkeye: Fright Night e i succhiasangue al cinema

Ripercorriamo le tappe cruciali del cinema vampiresco

Speciale Hawkeye: Fright Night e i succhiasangue al cinema
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“Il male é un punto di vista, Dio uccide indiscriminatamente e così faremo noi, perché nessuna creatura di Dio é come noi, nessuno è simile a lui quanto noi...”

Potevano essere migliaia le citazioni adatte a introdurvi alla lettura di questo articolo, ma spiattellarvi davanti agli occhi una frase copiata pari pari dal capolavoro letterario di Bram Stoker, Dracula, sarebbe chiaramente stata una plateale ostentazione di superiorità ad ogni costo, senza mettere in conto che il rischio di risultare banali e prevedibili era come minimo inevitabile.
Abbiamo quindi preferito mantenerci su canoni a noi più familiari citando, per questa ragione, un film a suo tempo amato ma forse mai totalmente “compreso” quale Intervista col vampiro di Neil Jordan, autentico trionfo del testosterone che trova i suoi punti di forza nelle leggiadre sagome di Tom Cruise, Brad Pitt e Antonio Banderas, primissimi frutti del viaggio iniziatico intrapreso dal cinema vampiresco a metà anni ‘90 la cui meta prevista - e, ahinoi, raggiunta - sarà infine una saga fantasy dal titolo Twilight. Ma questa, cari lettori, è una questione che esamineremo nei paragrafi seguenti.
In vista dell’imminente uscita di Fright Night , remake dell’omonimo cult diretto nel 1985 da Tom Holland e uscito da noi con il titolo Ammazzavampiri, vogliamo dunque dedicare uno dei nostri speciali del mese proprio ai vampiri come simbolo cinematografico, culturale e sociale, esaminandone pregi e difetti in un excursus storico attraverso i periodi più e meno floridi di un fenomeno mai sopito ma, anzi, sempre pronto a suscitare reazioni contrastanti tra il pubblico e la critica di ogni parte del mondo.

IL VAMPIRO DELLA PORTA ACCANTO

Insieme ai crop circles - i famosi cerchi nel grano, tanto per intenderci - i vampiri rappresentano da sempre uno dei miti sui quali la letteratura, la televisione e il cinema hanno maggiormente concentrato la propria attenzione per riflettere sui dogmi che popolano la storia dell’umanità.
Hanno così visto la luce una quantità infinita di opere - sia su carta che su celluloide - responsabili di aver impresso un indelebile marchio sull’immaginario collettivo degli spettatori di ogni epoca, donando a questi la possibilità di confrontarsi con un fenomeno ormai degno di essere considerato a tutti gli effetti parte integrante della nostra società. Ed è proprio questo il principale motivo per cui ci sembra opportuno parlare di veri e propri dogmi e non di semplici leggende metropolitane.
Non è un caso - forse - che il titolo italiano del remake di Fright Night sia proprio Il vampiro della porta accanto, perché, dando anche solo una rapida occhiata ai fatti di cronaca quotidiana, il nostro vicino di casa potrebbe davvero essere un vampiro, o quantomeno un essere molto simile.
Le ragioni che ci spingono a pensare ciò sono molteplici, ma la più emblematica è riconducibile al fatto che il vampiro, come figura e come icona, ha da tempo smarrito la propria aura tetra e funerea tipica della cinematografia di inizio ‘900, assumendo un look molto più pop e molto più sgargiante, quasi per conformarsi alla restante fetta di popolazione o, magari, solo per confondersi in mezzo ai comuni mortali così da poter soddisfare più facilmente il proprio appetito.
Ancora oggi, la produzione vampiresca non accenna a battere colpi di arresto, sebbene i modelli di riferimento e i conseguenti risultati comincino ormai ad assumere un’aria piuttosto fiacca e addirittura stantia. Ma, che che se ne dica, quello dei vampiri rimane sempre e comunque un mito assai difficile da sfatare, e fin quando il pubblico troverà interesse nel seguire le gesta dei succhiasangue, nessuno potrà impedire loro di farsi strada nella nostra immaginazione e, come detto, anche nella nostra realtà.

RETAGGI E INFLUENZE

Quella dei vampiri è una storia vecchia quasi quanto quella dell’uomo, che affonda le proprie radici molto prima della nascita della cinematografia e della letteratura.
Fin dall’età della pietra, l’uomo si è sempre trovato a dover combattere contro i propri demoni interiori, demoni che si sono poi andati a sviluppare con le varie fasi della storia, in particolar modo con le due guerre mondiali. A seguito dei vari conflitti bellici che si sono susseguiti durante il XX secolo, l’uomo è rimasto talmente condizionato da sentirsi in qualche modo costretto a sopprimere le proprie paure per mezzo della fantasia, annullando a queste ogni influenza negativa.
Col passare del tempo, la paura è diventata un buon espediente per mettere su carta le sensazioni da essa provocate, ed è proprio da questa paura che si sono venuti a creare i vari miti e leggende che, ancora oggi, non cessano di interessare e coinvolgere.
Nella sua forma e fisionomia, il vampiro è molto più simile all’uomo di quanto non lo siano altre creature malefiche come zombie, licantropi e mostri annessi. Prima di essere tale, il vampiro è difatti un uomo, con tutte le caratteristiche ad esso appartenenti ma con l’unica - e certamente ragguardevole - differenza di possedere poteri sovrannaturali in grado di renderlo una forza del male, la quale, tuttavia, non lo priva di quella che è la sua vera natura.
Al di là di quelle che sono le credenze dei più, Dracula di Bram Stoker non è stata un’opera pioneristica in merito al tema dei vampiri, poiché preceduta da altri significativi esempi come i poemi di Heinrich August Ossenfelder, Gottfried August Bürger e, soprattutto, John Polidori, quest’ultimo autore della prima opera di fantasia in prosa sui vampiri.
Di certo, però, se non pioneristica quella di Bram Stoker è senz’altro l’opera definitiva su questo tema, dal momento che, negli anni a venire, nessun autore si è dimostrato in grado di eguagliare la fattura, l’eleganza e lo stile così perfetti dei quali Stoker fece sfoggio.
Nonostante ciò, una doverosa menzione tra coloro i quali erano sulla buona strada per raggiungere i fasti stokeriani va senza dubbio a Richard Matheson, il quale, con Io sono leggenda, diede vita al primo romanzo di fantascienza sul tema vampiresco, oggi considerato non solo un capolavoro della letteratura ma anche una linea di demarcazione tra i vampiri dell’era Stoker e quelli moderni.

VAMPIRI SU PELLICOLA: ORIGINI

Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens) di Friedrich Wilhelm Murnau rappresentò per il cinema quello che Dracula di Bram Stoker rappresentò per la letteratura, ma, come per quest’ultimo, anche Nosferatu non è stata l’opera pioneristica sul tema dei vampiri per quanto riguarda la settima Arte. Oltre venti pellicole hanno infatti preceduto il lavoro di Murnau, che è comunque da considerare il primo innovatore della figura vampiresca e del linguaggio cinematografico in generale.
Realizzato nel 1922 tra la Germania e la Slovacchia e liberamente ispirato al romanzo di Stoker, Nosferatu è, ad oggi, il titolo di riferimento non solo per il cinema vampiresco ma anche per l’interno genere horror, tra i cui meriti va certamente annoverato quello di aver regalato alla storia del cinema la figura del vampiro ancora oggi più rappresentativa. Stiamo parlando, ovviamente, del Conte Orlok, sotto le cui vesti era celato nientemeno che il mitico Max Schreck, attore tedesco da sempre avvolto in un’aura di mistero che induceva molti a credere che la sua reale identità fosse proprio quella di un vampiro.
E, analogamente a Friedrich Murnau, anche il collega Tod Browning è senz’altro da considerare un cineasta di riferimento per i vampiri su celluloide. A lui dobbiamo infatti una pietra miliare del cinema horror come Dracula, diretto nel 1931 e ricordato oggi soprattutto per la straordinaria interpretazione di Bela Lugosi nei panni del celeberrimo succhiasangue. La fonte di ispirazione è sempre l’opera letteraria di Bram Stoker, ma oltre ad essa fu utilizzato come soggetto anche l’adattamento teatrale di Hamilton Dane. Prima ancora di Dracula, però, Browning realizzò una pellicola ormai dimenticata dal titolo Il fantasma del castello (London after Midnight, 1927), anch’essa incentrata su una figura vampiresca ma con uno stile e una fattura molto meno classici e - per certi versi - anche meno convenzionali del film del ’31. Purtroppo, oggi, l’opera non è più reperibile poiché l’unica copia conosciuta andò distrutta in incendio scoppiato in un deposito della MGM nel 1965.

VAMPIRI SU PELLICOLA: SVILUPPO

I film sui vampiri su susseguono per tutti gli anni ’30 del XX secolo, ma per riavere una caratterizzazione perlomeno degna del Max Schreck di Nosferatu e del Bela Lugosi di Dracula dobbiamo attendere fino al 1944, anno di Al di là del mistero di Erle C. Kenton, facente parte della cosiddetta saga Universal e che mette a confronto la figura del vampiro con quella del mostro in senso stretto. In altri termini, assistiamo al diretto confronto tra Dracula, qui interpretato da John Carradine, e la creatura di Frankenstein, cui ne fa le veci il grande Boris Karloff. I due massoni del cinema horror torneranno a fronteggiarsi l’anno immediatamente successivo con La casa degli orrori, sempre diretto da Kenton e interpretato da Carradine, ma con una storia del tutto differente e che relega il mostro di Frankenstein a pochi, insignificanti fotogrammi.
A nostro modo, ci abbiamo provato e riprovato anche noi italiani a rappresentare sul grande schermo le influenze indotteci dal cinema classico di Murnau e Browning, attraverso opere forse sottovalutate ma non per questo prive di fascino. Primo, emblematico esempio è rappresentato da I vampiri (1957), frutto della collaborazione registica tra Mario Bava e Riccardo Freda, cui fece seguito, solo a fine anni ’80, un piccolo cult come Nosferatu a Venezia, anch’esso diretto a più mani da Augusto Caminito e Mario Caiano, con l’ausilio dei non accreditati Luigi Cozzi, Maurizio Lucidi e il protagonista Klaus Kinski, che torna a vestire i panni del cacciatore notturno dopo aver ereditato nel 1978 quelli di Max Schreck nel pregevole remake di Nosferatu ad opera di Werner Herzog.
Diversi anni prima, però, un’altra silhouette mai dimenticata ma, anzi, sempre tenuta in grande risalto rispetto a molte altre, cominciava a farsi strada nell’immaginario collettivo grazie a una carica abbagliante e quasi sensuale. Ci riferiamo, ovviamente, a un mito come Christopher Lee, che firmava, con Dracula il vampiro di Terence Fisher, la prima delle sue sedici (!!) caratterizzazioni del celebre vampiro.

VAMPIRI PAGLIACCIO

Oltre alla funzione di spaventare, i succhiasangue ne possiedono un’altra che è quella di divertire.
Se n’è accorto un signore di nome Roman Polanski, il quale, con il suo Per favore, non mordermi sul collo (1967), firma una delle primissime parodie vampiresche della storia del cinema. Caratterizzata da infinite traversie produttive, la pellicola venne concepita all’epoca soltanto come una mera storpiatura del cinema vampiresco, ma non ci hanno messo molto pubblico e critica a rivalutarla ed apprezzarla fino a farle assumere lo status di cult di cui è tutt’ora detentrice.
L’influenza esercitata dal film di Polanski sui cineasti d’oltreoceano si è poi rivelata tale da convincere altre importanti personalità quali Mel Brooks, Wes Craven, John Landis e Tony Scott a sperimentare nei più disparati modi la strada della parodia. Ne sono scaturiti prodotti senza dubbio meritevoli di visione ma comunque ben lontani dall’essere anche solo paragonati allo stupefacente lavoro svolto da Polanski.
Film come Miriam si sveglia a mezzanotte (1983), Amore all’ultimo morso (1993), Dracula morto e contento (1995) e Vampiro a Brooklyn (1995) propongono storie interessanti nelle quali non è difficile scorgere diverse sfaccettature originali, ma la figura del vampiro appare quasi condizionata e soggiogata dalla troppa foga di voler proporre a tutti costi qualcosa di veramente memorabile.
Eddie Murphy nei panni di un vampiro non ce lo immagineremmo nemmeno se fossimo strafatti di acido, e dando un’occhiata a quella che è la sua performance nel film di Craven faremmo meglio a dimenticarcelo in fretta.
Una prova più convincente la forniscono invece Leslie Nielsen nella pellicola di Mel Brooks e soprattutto David Bowie in quella di Tony Scott, che seppur non eccelsa, le va quantomeno riconosciuto il merito di aver precorso i tempi proponendo una figura di vampiro molto simile, per l’appunto, a una rockstar, la quale si è andata man mano sviluppandosi fino a trasformarsi definitivamente nell’essere incarnato da Colin Farrell nel remake di Fright Night.
E, a proposito di Fright Night, può essere considerata una variazione sul tema vampiresco anche la pellicola di Tom Holland dell’85, apprezzabile nel suo pur beffardo, e forse anche un po’ ingenuo tentativo di mescolare horror e commedia in un prodotto comunque non malvagio e che si lascia vedere con discreto interesse. Alcuni anni dopo venne realizzato anche un sequel ad opera di Tommy Lee Wallace, passato però quasi totalmente in sordina.
Abbiamo parlato, nei paragrafi di cui sopra, anche dei registi italiani che, con risultati alterni, hanno apportato il proprio personale contributo al cinema vampiresco. Oltre ai già citati Bava, Freda, Caminito e Caiano, una menzione - seppur non strettamente necessaria - va anche a un cineasta del tutto insospettabile come Neri Parenti, nella cui vasta filmografia si distingue, tra gli infiniti cinepanettoni e i vari capitoli della saga Fantozziana, il tentativo di parodia horror rappresentato da Fracchia contro Dracula (1985). Non sarà certamente ricordato tra i più meritevoli tasselli della produzione nostrana di quel periodo, ma i seguaci dei b-movies tricolore apprezzeranno sicuramente il tentativo di elargire i nostri orizzonti verso un cinema spesso sottovalutato ma recentemente riscoperto da una buona fetta di pubblico italiano ed internazionale.

VAMPIRI "POP"

Di anno in anno, la produzione vampiresca d’oltreoceano ha proseguito il proprio cammino fino ad assumere i connotati del contesto sociale nel quale si trovava. I vampiri non sono quindi più visti come simboli del male ma, al contrario, come veri e propri esseri umani, in grado di provare sentimenti ed emozioni.
Non si può dire tuttavia che ciò abbia giovato al risultato complessivo delle pellicole sui vampiri prodotte dalla seconda metà degli anni ’80 fino ad oggi, in primo luogo per le storie prive di originalità e significativi colpi di scena. Lo stesso Dracula di Bram Stoker (1992) di Francis Ford Coppola, seppur sbandierato ai quattro venti come un capolavoro del cinema horror, non nasconde un’aria fastidiosamente patinata e modaiola, tanto da farlo apparire come un presuntuoso tentativo di “modernizzare” un genere pur non avendo la benché minima idea di quali strumenti utilizzare.
Resta quindi una triste sfilata di star quali Gary Oldman - forse l’unico pregio di una pellicola, come detto, smunta e quasi pacchiana - Winona Ryder, Keanu Reeves, Anthony Hopkins e addirittura una giovanissima Monica Bellucci in tutta la sua corroborante nudità.
Era l’epoca del kitsch, gli anni ’90 in tutta la loro placida decadenza, un periodo in cui cominciavano a farsi strada cineasti oggi di culto come Pedro Almodóvar, Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, ed è proprio ai due enfants terribles di Hollywood per antonomasia che rivolgiamo l’attenzione.
Il miglior film sui vampiri - pur non essendo nemmeno un film horror a tutti gli effetti - di quel decennio ce lo regalano proprio loro - uno dietro e uno davanti la macchina da presa - mescolando l’azione al citazionismo, il kitsch al fantastico, in un delirante frullato di generi che dà vita a una sorta di moderno peplum in salsa rock con tutte le carte in regola per entusiasmare anche lo spettatore più contenuto. Dal tramonto all’alba è un prodotto che si prende in giro da solo, che scherza sul proprio stile fracassone, ma che si fa comunque ricordare per un’intelligentissima struttura narrativa a doppia chiave con una prima parte - la migliore - quasi western e una seconda puramente splatter.
Arriviamo poi al film già citato in testa all’articolo per essere stato senza dubbio uno dei simboli dei ‘90s ma anche per un’accoglienza assai contrastante. Parliamo, ovviamente, di Intervista col vampiro, diretto da un Neil Jordan allora reduce dall’Oscar per la sceneggiatura di La moglie del soldato e interpretato da due icone tutt’oggi ancora sulla cresta dell’onda quali Tom Cruise e Brad Pitt, “premiati” con il Razzie Award alla peggior coppia cinematografica.
Basato sull’omonimo romanzo di Anne Rice - anche autrice dello script - il film porta, per certi versi, una tesi a sostegno al lavoro già svolto da Coppola con Dracula di Bram Stoker. In poche parole, entrambi i film presentano una figura vampiresca al quanto estetizzata ed estremamente patinata, che spinge quasi lo spettatore ad irriderla piuttosto che ad ammirarla.
Tuttavia, all’epoca dell’uscita nelle sale, la pellicola riscosse un notevole apprezzamento da parte del pubblico più giovane, che trovò ulteriori meriti nella valida colonna sonora, in particolar modo per la canzone Sympathy for the Devil dei Guns ‘N Roses, all’epoca già affermati autori di cover di famosi pezzi storici come questo dei Rolling Stones e soprattutto Knocking on Heaven’s Door di Bob Dylan.
Per alcuni cineasti di fama consolidata quali John Carpenter e Abel Ferrara, “pop” rappresenta il più delle volte un perfetto sinonimo di “sperimentalismo”, e aspettarsi qualcosa di sorprendente da due maestri del calibro di quelli appena menzionati, è quantomeno lecito.
Sorprese che si sono fortunatamente rivelate positive grazie a due gioielli del cinema vampiresco quali Vampires (1998), geniale connubio tra western e horror - consci del grande amore di Carpenter per il nostro Sergio Leone, oltre che per Howard Hawks e John Ford - e The Addiction- Vampiri a New York (1996), prova più che degna del talento visionario di Ferrara.
Per altri, invece, “pop” non va tanto a braccetto con la parola “sperimentalismo” quanto con l'epiteto “tamarro”. E’ infatti questo l’unico termine appropriato per definire quella che è forse una delle peggiori saghe sui vampiri degli ultimi quindici anni. Se siete della nostra stessa opinione, avrete dunque intuito che ci riferiamo alla trilogia di Blade, il vampiro di colore interpretato da un pur simpatico Wesley Snipes ma dotato di un carisma davvero sotto la media.
E altrettanto superflua - seppur non ai livelli di Blade - è, a nostro modesto avviso, anche la saga di Underworld, che, tuttavia, ha perlomeno il merito, se non di presentare una storia esaltante, di accontentare il pubblico maschile con un’eroina di nome Kate Beckinsale, la quale, da sola, è certamente valsa i soldi del biglietto.
Che poi, tamarro non equivale necessariamente a qualcosa di scadente o di poco valore, anzi, il più delle volte è l’esatto contrario. Basti pensare - facendo un salto indietro negli gloriosi anni ’80 - a quanto fossero tamarri ma, al tempo stesso, tremendamente spassosi titoli come Ragazzi perduti (1987) di Joel Schumacher e, soprattutto, Il buio si avvicina (1987), opera seconda - prima di buttarsi a capofitto negli action-movie testosteronici - di Kathryn Bigelow.

VAMPIRI MODERNI

I primi anni ’00 non sono stati particolarmente floridi per il cinema vampiresco, il quale sembrava aver ormai esaurito le proprie energie portandosi appresso i ricordi dei tempi passati.
Esperimenti come i già citati Blade e Underworld, o ancora L’ombra del vampiro (2000), tentativo un po’ ruffiano di esumare (nuovamente) il mito di Nosferatu, La regina dei dannati (2002) e l’obbrobrioso spin-off Van Helsing (2004) non fanno che incrementare la nostalgia nei confronti di quelle pellicole che tanto ci avevano fatto emozionare e che, ora, sembrano appartenere a un’altra dimensione.
Dunque, non ci sembra sbagliato affermare che, più che l’epoca dei vampiri, quella moderna sia l’epoca delle saghe, per adolescenti e per bambini, non certo per i cultori del genere o per i nostalgici del buon cinema vampiresco dei tempi che furono.
E accostare la parola Twilight alla parola saga, ormai dal 2008 a questa parte, sembra l’unico modo possibile per esortare gli spettatori a tornare a parlare di vampiri. Vampiri che, si sa, non sono più neanche tali, perché molto più simili all’uomo dell’essere umano stesso.
E allora, viene spontaneo chiedersi: è dunque necessario parlare di vampiri in riferimento alla saga Twilight? Ovviamente no, ma il pubblico sovrano vuole questo, vuole sentirsi vicino a ciò che vede sullo schermo, vuole lasciarsi travolgere da melense storielle d’amore senza fondamenta. Ai giovani d’oggi piace l’algido, il diafano, l’androgino, caratteristiche che si riscontravano anche nel cinema vampiresco più classico, su questo non c’è dubbio, ma almeno, in quel determinato contesto, si trattava di vampiri autentici e non di teen-ager allupati con grossi problemi alla pigmentazione della pelle. E in un’epoca in cui, oltre alle saghe vanno molto di moda anche i centri di abbronzatura, viene dunque spontaneo rivolgere all’Edward Cullen di Twilight un’esortazione di questo tipo: “A Edward, e fattela ‘na lampada ogni tanto che senno’ te pijiano sul serio per un vampiro!”.
Ben diverso il discorso per quanto riguarda il concetto di vampiro esposto da Tomas Alfredson con Lasciami entrare - di cui il Matt Reeves di Cloverfield ne ha, ahinoi, realizzato il remake - tentativo più che onesto e assai accattivante di donare ai succhiasangue una veste moderna e anche delle emozioni, tuttavia senza profanarne la natura e mantenendo fede a quanto il cinema ha avuto da offrire nel corso degli anni.
E alla cornice pop dei succhiasangue si è aggiunta di recente anche un’altra - ahinoi ingiustamente sottovalutata - perla dal titolo Aiuto vampiro, per la regia dello stesso Paul Weitz che diede vita, nell’ormai lontano 1999, al primo capitolo della prolifica saga di American Pie. Quello che, all’apparenza, può sembrare null’altro che un teen-movie in salsa horror, si rivela invece un autentico spettacolo di luci, colori e scenografie che farebbe invidia a molte delle odierne mega-produzioni a stelle e strisce.

VAMPIRI TELEVISIVI

Una buona parte dell’immaginario collettivo è stato segnato, oltre che dai vampiri cinematografici, anche da quelli televisivi, emersi grazie ad esempi mai del tutto convincenti ma comunque apprezzabili come Buffy, l’ammazzampiri, serie tv di culto che impose, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, la raffinata silhouette di Sarah Michelle Gellar all’attenzione del grande pubblico.
Molto prima di questa, però, vi fu la miniserie in due puntate Le notti di Salem (1979), originariamente scaturita dalla penna di Stepehen King e trasposta in immagini da Tobe Hooper.
Esempi più recenti sono, invece, i vari Angel (1999-2004), Blood Ties (2007-2008), True Blood, ideato dallo sceneggiatore premio Oscar Alan Ball (American Beauty) e interpretato dalla poliedrica Anna Paquin, e The Vampire Diaries, per molti un serial interessante e per altri solo una versione televisiva del già menzionato Twilight, senza alcuna lode né merito.

Fright Night - Il vampiro della porta accanto Introducendovi alla visione di Fright Night, abbiamo dunque voluto rinfrescarvi la memoria con questo resoconto su quelli che sono stati i migliori e i peggiori periodi del cinema vampiresco, di modo che possiate tener conto del lavoro svolto dai maestri della Settima arte per sviluppare un vostro personale pensiero critico in merito al tema tanto abusato dei vampiri. Ovviamente, aspettando con ansia il responso dell’ultima fatica di un signore di nome Dario Argento, il quale, proprio con Dracula, sperimenterà il formato 3D.

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