Da Cloverfield a 10 Cloverfield Lane

L'apoteosi del mistero come allegoria di un'epoca incomprensibile incontra il talento hollywoodiano di piazzare prodotti di intrattenimento: tra Cloverfield e 10 Cloverfield Lane potrebbe esserci un rapporto di parentela meno stretto del previsto.

Da Cloverfield a 10 Cloverfield Lane
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Con grande sorpresa, il trailer di 10 Cloverfield Lane ha spiazzato tutti. Dal cilindro di Bad Robot ha fatto capolino un film che la rete ha già frettolosamente definito "il sequel di Cloverfield": una dicitura che, corretta o meno, abbiamo momentaneamente scelto di evitare nell'attesa di saperne di più in termini di sinossi e collocazione spazio-temporale. Conoscendo la passione per la segretezza dello studio fondato da J.J. Abrams, vediamo insieme cosa ha reso Cloverfield, nel 2008, un titolo che ha sparigliato le carte nel fitto e polveroso archivio dei disaster movie del nostro tempo. E dunque, cerchiamo di attendere il nuovo film con delle aspettative coerenti al modus operandi di uno dei gruppi di narratori più interessanti degli ultimi anni. Chi non avesse visto il film di Matt Reeves e volesse recuperarlo in vista di 10 Cloverfield Lane, sappia che l'articolo contiene SPOILER per niente misteriosi!


Narratori criptici e dittatori benevoli

La sfida di Cloverfield, elegantemente vinta, è stata quella di realizzare un monster movie assolutamente criptico, costringendo inevitabilmente gli autori ad introdurre una pletora di piccole e letali creature minori, pronte ad invadere il campo e a dare filo da torcere ai protagonisti in location dove il mostro non può apparire. Lo storytelling di Drew Goddard ripesca il vecchio mantra "mostrare e solo se necessario spiegare" spingendolo verso una soglia ulteriore: mostrare senza spiegare, ma fornire elementi per interpretare. E' una precisa strategia narrativa che, come sottoprodotto, restituisce al pubblico una vaga idea di democraticità: il narratore mostra, lo spettatore in qualche modo "decide" dando la sua interpretazione degli eventi. Più che democrazia è dispotismo illuminato: è sempre e solo il narratore ad avere potere di vita e di morte su ogni singolo elemento della vicenda, ma da buon dittatore benevolo concede al pubblico ampi spazi di interpretazione. Un po' come i grandi sovrani delle monarchie assolute, che in preda ad attacchi di subdola magnanimità "concedono" al capriccioso popolo la tanto agognata Costituzione. La possibilità di interpretare gli eventi ci dà l'illusione di avere una sorta di Magna Charta del pubblico. La povera Marlena del film, che muore squarciandosi dall'interno senza che ci venga mostrato come, stuzzica nella nostra testa un milione di ipotesi: ha partorito uno dei mostri in stile Alien? Il morso di una creatura ha generato una reazione letale? Non abbiamo neanche il tempo di rifletterci che l'azione riparte, subito ed a mille, tenendo occupate le nostre sinapsi: il dittatore/regista ha fatto il suo gioco e il popolo/pubblico ha di che discutere. Eppure al cinema, e solo al cinema, non è poi così male essere i sudditi di chi sa assicurare divertimento e spettacolo: "Roma non è certo il marmo del Senato ma è la sabbia del Colosseo" sentenziava Gracco ne Il Gladiatore. Similmente, Cloverfield non è ragione sequenziale ma impulso emotivo. Il suo fine ultimo è essere coinvolgente, non costruire una cosmogonia. Ed è per questo che il film funziona alla grande: spinge a chiedersi cosa succederà dopo anziché interrogarsi su cosa è successo prima.

Un'epoca decapitata della propria fiducia

Oltre ai riusciti espedienti di scrittura, Cloverfield incarta la vicenda in una confezione altrettanto astuta. Proposto come un monster movie, tiene il pubblico in costante tensione anche nel breve atto introduttivo, nel quale la videocamera si aggira per una festicciola tra amici, e raggiunge due obiettivi in uno: costruisce la giusta empatia con i protagonisti dei futuri eventi catastrofici e tiene il pubblico in costante attesa del colpo di scena che cambi tutto. Di fatto, è un risoluto compromesso tra efficienza e necessità fatta virtù: se ho pochi minuti a disposizione prima di scatenare l'inferno, tanto vale usarli bene. E quando un boato interrompe la festa, tutto piomba in un'atmosfera surreale. Ma non spuntano né gangster né vampiri. La fine dei giochi coincide con un imprevisto carico di significato iconico: la testa della Statua della Libertà viene scaraventata a terra per la strada. A differenza del blockbuster catastrofico alla Emmerich, il simbolo per eccellenza della stabilità occidentale non viene distrutto, ma decapitato. L'atmosfera dell'Occidente, che nel 2008 aveva già visto Al-Qaeda decapitare i propri ostaggi, era intrisa della stessa incredulità. New York, Madrid, Londra e Mumbai erano state colpite dal terrore lasciando, oltre alle vittime, un senso di confusione totale. Cloverfield interpretava lo stesso senso di smarrimento: dopo decenni di film catastrofici che devastavano New York nei modi più spettacolari e inverosimili, il film di Matt Reeves mostrava tutto (letteralmente) dal basso, senza distruzioni pirotecniche e risposte patriottiche. Niente eroi, niente punti di riferimento, nessun deus ex machina: c'è un mostro che genera morte e distruzione e il suo campo d'azione, richiamato nel titolo, è casa nostra. I nostri appartamenti, i nostri balconcini, le nostre serate con gli amici, la metropolitana, i negozi e le strade smettono di far parte della routine diventando un campo minato nel quale vivere costantemente in allarme. L'arrivo di un mostro del tutto inatteso, come spesso accade al cinema, non fa che ricordarci quanto siamo seduti su una polveriera. E' il trionfo della società della tensione, alimentata da un nemico imprevedibile, nella quale la calma apparente è ben più spaventosa dell'evento dirompente: statisticamente è improbabile che qualcosa di tragico capiti proprio a noi, ma il pensiero che possa succedere manda in tilt il nostro raziocinio. Ed è proprio la scelta di fare del protagonista anche l'operatore di macchina a rendere Cloverfield un baluardo di onestà intellettuale e non un semplice esercizio di stile.

Dall'equilibrio di Godzilla all'anarchia di "Clover"

L'enfasi sul mostro come allegoria della nostra epoca è soprattutto nella sua totale incontrollabilità. Non è né la prima né l'ultima delle gigantesche creature del cinema che devastano una città, ma è tra le poche ad essere mostrata, essenzialmente, come un gatto tra le tessere del domino. A differenza di Godzilla, che irrompe nel nostro mondo con un'identità ed una storia, Clover rispecchia l'impossibilità di inquadrare in schemi logici l'anarchia del nuovo millennio. E' un elefante in una cristalleria: non è un caso che i produttori lo abbiano descritto "come un bimbo", di cui ricalca un'indole impulsiva ed un comportamento apparentemente inconsapevole. Non arriva in città per contrapporsi a qualcosa, non sopraggiunge per sfamarsi, non viene a deporre uova, non cerca né rifugio né riparo: gira e distrugge. E poco importa se abbia o meno altri scopi: se non li conosciamo è come se non esistessero. Nessun momento didascalico alla Pacific Rim ci spiegherà come dare un senso all'incredibile. E non certo per sciatteria, ma per dare agli spettatori una parte più o meno attiva. Per l'ennesima volta l'astuzia della combriccola di Bad Robot è stata quella di usare il concetto di narrazione complementare: lasciando volutamente aperte tante possibili spiegazioni degli eventi, siamo noi come pubblico a "completare" il film. Ed è ovvio che ce lo completiamo a modo nostro. Come può non piacerci qualcosa che, di fatto, viene dalla nostra immaginazione? Se andate al cinema sapendo già che non vi sarà data una spiegazione netta, di fatto state consegnando al film la password per la vostra testa, con l'idea di lasciarvi entrare la storia per integrarla delle parti mancanti. Se lo spettatore è il cliente, il produttore si comporta di conseguenza: il cliente contemporaneo non bada solo alla qualità del prodotto ma anche alla qualità dell'esperienza. E una buona esperienza del prodotto passa, a tutti gli effetti, dalla capacità di adattarsi alle esigenze del cliente. Negli anni ‘90 un'automobile ve la compravate così come usciva, ma nel 2016 la volete personalizzabile. Allo stesso identico modo, il prodotto di intrattenimento moderno non può esservi consegnato a scatola chiusa: dovete parlarne, costruirci sopra la vostra visione, plasmarlo sulla vostra sensibilità e, quando possibile, entrarci a gamba tesa provando l'ebbrezza di avere una qualche voce in capitolo. Se dopo Star Wars vi state ancora chiedendo chi accidenti possano essere alcuni dei protagonisti sappiate che, secondo questo standard (discutibile quanto volete) vi è stato venduto un ottimo prodotto. Per questo, il film non come prodotto ma come "esperienza" comincia ben prima dell'uscita nelle sale e termina molto tempo dopo. Immaginate la vita di un titolo molto atteso come un triangolo: l'hype che precede l'uscita al cinema è il lato sinistro, il film è il vertice superiore e le interpretazioni che ne seguono sono il lato destro. Va da sé che la lunghezza della base misura la permanenza nelle sale e dunque il successo dell'esperienza. Quanto alla "personalizzazione", è sotto gli occhi di tutti che esiste un unico grande problema: il cinema non vi mette in mano un joypad. Il boom ventennale di RPG e MMORPG deriva, in parte, dall'estrema possibilità di personalizzare personaggi ed universi, avvicinandoli ai gusti del proprio immaginario. Il problema è che non avete in mano un joypad ma dei popcorn. Dal momento che non state giocando ma guardando un film, l'unico modo per darvi un'esperienza ed un prodotto personalizzabili è uno solo: essere mostruosamente vaghi. A parte qualche sporadico indizio, sapientemente diramato in rete in maniera virale, una spiegazione lineare ed esaustiva di Cloverfield, fateci pace, non c'è. O almeno non nel film: nel 2008 nei due siti fittizi della Tagruato, la ditta per la quale lavora uno dei protagonisti (che produce la famosa bibita Slusho, presente anche in Alias), si poteva leggere di un famoso satellite fatto volutamente precipitare in mare. Non a caso, in uno degli intermezzi del found footage, vediamo lo spezzone di un vecchio filmato amatoriale nel quale si vede un oggetto sullo sfondo precipitare in acqua proprio nel punto dove, in teoria, si sarebbe risvegliato Clover. Come nel successivo Super 8, in cui la verità emergeva proprio dalla visione di un filmato amatoriale, anche in Cloverfield la chiave di volta è tutta nei dettagli che non sono in primo piano. E' sufficiente a spiegare tutto? Sì e no. Se i dettagli forniti dal marketing virale piacciono ai complottisti e ai detective del fotogramma, una fetta importante di pubblico è indifferente a questo genere di narrazione parcellizzata fino all'inverosimile. Tralasciando siti e sitarelli, il numero di interpretazioni che possiamo dare è potenzialmente infinito: tra queste, dunque, c'è anche la vostra. E' più o meno lo stesso meccanismo dei sogni di Inception: gli architetti creano l'intelaiatura, i sognatori la riempiono a modo loro. E' un ottimo compromesso per continuare a bilanciare arte e industria nella meravigliosa schizofrenia della settima arte: affabulare il pubblico e allo stesso tempo vendergli 120 minuti non è cosa da poco. Sotto una coperta stretta devono coabitare narratori e piazzisti. E per fortuna, Hollywood pullula di entrambi.

Prepararsi al side-movie?

Nell'ultimo decennio abbiamo imparato ad avere dimestichezza con alcune parole chiave già inflazionate come spin-off e reboot, che hanno affiancato le più classiche sequel e remake. Potrebbero sorgerne altre, nel vago tentativo di "inquadrare" le scelte creative e produttive in schemi che già cominciano a vacillare: se il dibattito su quali film debbano considerarsi reboot non è affatto chiuso, potrebbero sorgere nuove fantasiose diciture per identificare i prodotti più diversi. I più grandi successi di critica e/o di pubblico dell'anno appena passato sono stati due settimi capitoli (Star Wars e Fast & Furious) un reboot (Mad Max: Fury Road) ed un sequel (Jurassic World, che si propone come seguito di Jurassic Park ignorando gli eventi de Il Mondo Perduto e di Jurassic Park III). Il pubblico, ancora una volta, ha voluto rivivere o approfondire storie già esistenti. A questo proposito, il nuovo misteriosissimo trailer di 10 Cloverfield Lane apre più di un interrogativo: non solo sul film in sé ma anche sulla natura di un filone che potrebbe trovare nei prossimi anni un inatteso successo. Che cos'è 10 Cloverfield Lane? Visto che nessuno ne ha la più pallida idea, proviamo ad azzardare cosa NON è. Il film non sembra sviluppare direttamente gli eventi di Cloverfield: propone (a quanto sembra) una nuova ambientazione, nuovi personaggi e, soprattutto, un format diverso. Niente found footage ma narrazione in terza persona. La dicitura "Monsters come in many forms", apparsa nel poster, apre a nuovi potenziali ed insidiosi fili da torcere. Non appare necessariamente come un sequel, almeno non in senso tradizionale. Potrebbe trattarsi, a tutti gli effetti, di una vicenda che narra di eventi collaterali a quelli mostrati nel film di Matt Reeves. Se volete, una sorta di side-movie: film "laterale", che sviluppa eventi complementari a quelli mostrati da un titolo già esistente. Potrebbe sorgere il dubbio che il format esista già: a cosa servono, dopotutto, gli Universi Cinematografici se non a narrare un ampio spettro di eventi in senso spazio-temporale? Tuttavia, in questo caso, potrebbe mancare o addirittura essere irrilevante la continuità di spazio e tempo: se un film è misterioso, va da sé che lo sono anche tutti i suoi prodotti (col)laterali. La vicenda mostrata nel trailer si svolge durante o molto tempo dopo le vicende che conosciamo? Dove fuggirà la ragazza apparentemente prigioniera di ciò che sembra un rifugio sotterraneo? Tutte domande nuove. In teoria, dunque, 10 Cloverfield Lane potrebbe non voler rispondere a nessuna delle questioni lasciate aperte da Cloverfield ma semplicemente mostrare cosa accadde (o cosa accadrà) altrove. Tra i due film potrebbe esserci (il condizionale è d'obbligo) un legame di parentela meno stretto del previsto. L'abilità della nuova Hollywood degli MBA e dei franchise sta proprio nell'introdurre nel prodotto destinato al grande schermo la narrazione di stampo seriale: non più titoli indipendenti ma episodi (o meglio ancora pezzi di un puzzle) di un racconto più ampio. Soprattutto gli spettatori della Bad Robot, al cinema come in Tv, sono spesso chiamati ad essere investigatori di una serie di prove dispensate col contagocce: se 10 Cloverfield Lane avesse successo, questo ed altri film potrebbero ricostruire il quadro di insieme degli epocali eventi inaugurati dal monster movie del 2008, ad oggi forse il miglior prodotto della ditta. Al momento, indovinate un po', non lo sappiamo. Siamo sicuri che dopo l'uscita del film ne sapremo di più?

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