Blair Witch, non solo horror: la Top 5 dei film in pov

Mentre Blair Witch ha riportato nelle sale la strega più famosa dei found footage, diamo uno sguardo ai cinque più influenti film girati in pov.

Blair Witch, non solo horror: la Top 5 dei film in pov
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A partire dal 21 Settembre 2016, la strega più chiacchierata dei grandi schermi cinematografici degli ultimi vent'anni è tornata a far parlare di sé grazie a Blair Witch, che, diretto dall'Adam Wingard cui dobbiamo l'home invasion You're next, si propone come sequel di quel The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair che arricchì non poco i suoi autori Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez a fine XX secolo. Sequel che, oltre a non tenere affatto conto de Il libro segreto delle streghe: Blair witch 2, diretto nel 2000 da Joe Berlinger, torna, ovviamente, al look da found footage sfruttando la ormai abusatissima tecnica del pov, derivata dal porno e mirata a costruire l'intera operazione attraverso la soggettiva della camera. Una tecnica che individua un precursore, tra gli altri, nel belga Il cameraman e l'assassino, datato 1992, e che, utilizzata soprattutto nell'ambito dell'horror, ha finito per toccare anche altri generi, compresa la commedia (si pensi a Project X - Una festa che spacca e The virginity hit - La prima volta è on-line). Quindi, sorvolando su Unfriended e The Den, che hanno entrambi trasportato il filone nell'ambito di Skype e dei social network, cerchiamo qui di individuare non i suoi cinque titoli più riusciti (sebbene alcuni di essi lo siano), ma quelli che maggiormente hanno influito per il tracciamento della sua strada nel corso degli anni.

Chronicle (2012)

Sotto la regia di Josh Trank, che firma la sceneggiatura insieme al figlio d'arte Max Landis, abbiamo tre giovani protagonisti che sarebbero adolescenti come tanti, se non fosse per il fatto che si ritrovano improvvisamente in possesso di particolari superpoteri. Da qui, complice il fatto che uno di essi porta sempre con sé la videocamera a scopo auto-documentaristico, l'assemblaggio d'inquadrature eseguite a mano provvede a rendere possibile la concretizzazione di un mockumentary immerso in salsa supereroistico-sovrannaturale. Mockumentary decisamente innovativo e che, pur riservando non poca spettacolarità - con tanto di edifici distrutti e automezzi scaraventati ovunque in aria di apocalisse - nel corso della sua ultima parte, riesce nella non facile impresa di fondere gli ingredienti dell'intrattenimento a stelle e strisce con uno sguardo realistico sul grado di maturità sfruttato da giovani assolutamente imperfetti nel prendersi determinate responsabilità. Fornendo, allo stesso tempo, un allegorico ritratto da schermo della pericolosa gestione di determinati poteri, soprattutto se conseguente all'emarginazione.

Cloverfield (2008)


Con J.J. Abrams alla produzione, si comincia da una festa in casa tra amici newyorkesi che, convinti di trovarsi improvvisamente ad avere a che fare con una forte scossa sismica, scoprono che una gigantesca creatura mostruosa sta provvedendo a radere al suolo la città. Da qui, Matt Reeves miscela la tematica di base dei kaiju eiga (film di mostri giapponesi) alla tecnica di racconto per immagini del falso documentario in stile The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair. Quindi, la solita camera impazzita da effetto mal di mare viene unita ad ampio sfoggio di ottimi effetti speciali, generando in maniera efficace una crescente sensazione di ansia e di angoscia; con l'evidente fine di ritrasmettere realisticamente allo spettatore la sensazione di paura diffusasi negli Stati Uniti post-11 Settembre 2001 nei confronti del terrorismo (suggerita anche dall'immagine pessimista della Statua della Libertà decapitata sulla locandina), male tanto invisibile ed inspiegabile quanto lo spaventoso essere a spasso nelle strade all'interno del film.

[Rec] (2007)

Il primo regista di Darkness, il secondo de I delitti della luna piena, gli spagnoli Jaume Balagueró e Paco Plaza guardano probabilmente a The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair per mettere in piedi la vicenda di una giovane reporter che, intenzionata a realizzare uno scoop relativo ai vigili del fuoco in azione, affiancata dall'onnipresente cameraman li segue all'interno di un edificio in cui sembrerebbe essere in pericolo una donna. Infatti, è totalmente attraverso l'occhio elettronico della sua camera che viene costruito il tutto; man mano che il condominio in cui si sono intrufolati si rivela invaso da pericolosi e aggressivi contaminati tutt'altro che distanti dagli zombi. Contaminati che, a differenza di quanto avvenuto nel sopravvalutato cult di Myrick e Sánchez, i due cineasti si degnano di immortalare in tutta la loro fisicità, concedendo anche non poco spazio a situazioni splatter. Mentre è il sonoro a rafforzare il terrore nel corso di un notevole esempio di horror iberico che ha finito per generare ben tre sequel.

Paranormal activity (2007)

"A differenza di quanto hanno fatto gli autori di The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair, noi non abbiamo mai pensato di proporre il nostro film come falso documentario; non abbiamo negato che fosse reale, ma neanche rinnegato la realtà del film". Ci sembra giusto riportare questa dichiarazione del produttore esecutivo Steven Schneider per introdurre l'opera prima di Oren Peli, concepita sfruttando l'irrisoria cifra di undicimila dollari ma affacciatasi nel panorama internazionale soltanto tra il 2009 e il 2010, rivelandosi un autentico fenomeno al botteghino e trasformandosi in una vera e propria saga. Perché, nonostante le distanze prese dal film di Myrick e Sánchez, è chiaro che anche qui sia stato il tam tam pubblicitario esploso sul web - stavolta dopo che Steven Spielberg ha dichiarato di esserne rimasto terrorizzato dalla visione, tanto da decidere di distribuirlo in sala con un finale appositamente rigirato - a spingere gli spettatori a correre in sala per assistere alla vicenda di una coppia convinta che la propria nuova abitazione è infestata da una presenza malefica. Del resto, come poteva il soporifero assemblaggio di inquadrature fisse provenienti da camere di ripresa ad alta definizione installate in casa per poter riprendere cosa accade nottetempo (e disturbate occasionalmente da porte che si muovono da sole ed apparizioni di impronte sul pavimento) ottenere un successo tale da stimolare un'infinità di filmmaker a cimentarsi in imprese analoghe?

The Blair witch project - Il mistero della strega di Blair (1999)

In sintesi, un assemblaggio cronologico di pellicole e nastri audiovisivi realizzati da tre studenti universitari misteriosamente scomparsi dopo essersi recati nel villaggio di Burkitsville, anticamente chiamato Blair, in quanto intenti a girare un documentario riguardante una leggendaria strega locale vissuta secoli addietro. Ma, sebbene in patria una non indifferente fetta di pubblico sembri avere abboccato, non si tratta altro che di una falsità messa in piedi dai suoi due autori Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez ricorrendo ad una campagna promozionale basata su allarmanti notizie lanciate via web, in maniera praticamente analoga a quanto fatto diciannove anni prima (e senza internet) dal nostro Ruggero Deodato per il suo Cannibal holocaust. Tanto che, quello che venne lanciato come uno dei film dell'orrore più spaventosi di sempre, non si rivela altro che un campionario di soggettive impazzite da effetto mal di mare e tutt'altro che propenso a mostrare la megera del titolo. Lasciando non poco delusi gli spettatori che si trovano sì davanti ad un autentico grande bluff, ma, allo stesso tempo, capace di rivoluzionare il concetto di cinema indipendente e di fornire un'interessante strada alternativa alle produzioni low budget.

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