Speciale 8 buoni motivi per non perdere Principessa Mononoke

8 motivi per (ri)vedere il capolavoro di Hayao Miyazaki

Speciale 8 buoni motivi per non perdere Principessa Mononoke
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La Festa del Cinema 2014 ha visto interessanti debutti dopo qualche settimana di torpore nelle uscite cinematografiche. Ma quest'oggi vogliamo approfondire una delle tante riedizioni, che con cadenza regolare e solo-per-poco affollano i nostri cinema: si tratta di Principessa Mononoke, lungometraggio d'animazione di Hayao Miyazaki (La Città Incantata, Il mio vicino Totoro), che arrivò già al cinema più di dieci anni fa, purtroppo con un adattamento pessimo, un calco che Buena Vista fece a partire dal mutilato copione statunitense.
Per fortuna Lucky Red nell'acquisire l'intero catalogo dello Studio Ghibli si è impegnata a ridistribuire le vecchie glorie dello studio nipponico: in attesa di Nausicaa, Principessa Mononoke si disvela in un più fedele adattamento, graziato da voci intriganti (su tutte Pino Insegno nel ruolo del monaco Jinko) ed in grado di sprigionare tutta la propria potenza "semantica". Vi invitiamo, dunque, se non l'avete già fatto, ad approfittare dell'ultimo giorno di programmazione del film nelle sale. E nel farlo vi diamo otto buoni motivi per farlo! Proprio a partire dall'acronimo del titolo abbiamo pensato di approfondire 8 aspetti cruciali della pellicola, riflettendo sul messaggio e sui personaggi nati dalla mente di Hayao Miyazaki.

M come Muromachi

Cominciamo già col difficile. Con la piena adesione di Miyazaki al mondo, alla politica, alla religione del Giappone feudale. Più in particolare la storia di Ashitaka si colloca tra il 1336, data dell'ascesa a shōgun di Ashikaga Takauji, fino al 1573 quando l'ultimo shogun Ashikaga fu cacciato da Kyoto.
In questi due secoli il potere centrale si sfilaccia e viene meno il controllo imperiale: esattamente come in Italia nei medesimi anni, sono i signorotti locali a guadagnare, ingaggiando guerre con i vicini.
È un epoca di intraprendenza ed il film ce la presenta nella forza combattiva degli uomini della fucina di Eboshi, unici ad aver avuto il coraggio di spingersi fino a quel lago e lì costruire la loro città ideale.
Ashitaka
di contro proviene da un villaggio isolato dal mondo, al limitare di una foresta e a quanto pare costantemente sotto attacco delle bestie feroci. Tale nucleo sociale appare tanto opposto alla modernità industriale della città del ferro, quanto puro e immacolato: Ashitaka è disorientato dal mondo esterno dove guerre e menzogne dominano. Ci si potrebbe chiedere se il suo comportamento lungo l'intero lungometraggio sia frutto della libertà oppure di confusione...

O come Okkoto

Il cinghiale Okkoto è vecchio e quindi saggio. Saprebbe trovare una soluzione pacifica all'accerchiamento dei suoi simili da parte degli uomini di tutto il mondo (nel film si menziona la sua origine cinese), ma pressato dalla selezione naturale della sua specie (più piccoli e più stupidi di lui) decide di estinguerli tutti a cominciare da quel manipolo di monaci al limitare della foresta del dio Bestia. Convinto di avere la di lui benedizione, egli si lancia all'attacco frontale travolgendo tutto ciò che incontra andando a valle.
Nella realtà il suo è un estremo sacrificio, giacché inconsapevole poiché confida nella vittoria finale mediante intercessione divina. Questa idea di sacrificarsi per la propria terra compare anche in Pompoko di Isao Takahata, uscito un paio d'anni prima di Principessa Mononoke: lì, però, i tanuki (procioni trasformisti) sapevano di andare incontro alla morte nelle loro sortite contro gli umani che a poco a poco edificavano sulla loro collina, ma erano convinti che quanti più umani avessero ucciso o allontanato, tanto meglio sarebbe stato per il futuro dei loro figli.
I cinghiali di Okkoto, animali dotati di istinto come i tanuki, hanno un ideale più di speranza che di realismo. E anche in questo risiede la differenza tra Miyazaki e Takahata...

N come natura

E a proposito di Miyazaki e Takahata, sappiate che il primo a voler realizzare un film in costume alla Kurosawa era proprio il regista di Heidi. Già in Pompoko aveva infilato dentro un paio di sequenze ispirate alle leggende nipponiche, e ancora prima aveva portato la macchina da presa a Yamagata, suggestiva località dove le vie di comunicazione sono i canali attraversati da giunchi e dove la vita scorre tranquilla al riparo del dinamismo dell'oderno Giappone industriale.
Miyazaki gli ha poi sottratto (in amicizia) il copione e ne ha tratto quel film che abbiamo appena riapprezzato al cinema. Ma il lungometraggio che mai ci sarà avrebbe senz'altro parlato di ecologia, quantomeno in relazione ad un passato idealizzato che non c'è più.
Principessa Mononoke sottolinea la necessità di preservare la vita, tutelare tutti gli esseri viventi, concedere gli spazi in maniera proporzionale. Il bosco dove vive San ed il dio Bestia è tanto lussureggiante se non di più della foresta di Totoro e senz'altro del cespuglio di alberi dove strenuamente resistono i tanuki.
Ma la sua conservazione intatta è forse solo in superficie il messaggio del film: la trama ecologista è uno specchietto per le allodole, al quale si appiglia ben volentieri la stampa generalista. Sarà forse ecologista una divinità che ad ogni passo fa crescere un fiore, il quale un secondo dopo appassisce? E la stessa divinità che a suo piacere dà la vita così come la toglie?

O come orrido

Principessa Mononoke non è un film per bambini. La filmografia di Hayao Miyazaki ha solo un fugace legame con l'infanzia, non affronta direttamente tematiche educative e semmai si limita ad una dedica come nei più espliciti Totoro e Ponyo. Tra tutti, però, il crudo realismo, le amputazioni ed il sangue che stilla da Principessa Mononoke lo rendono un film adatto agli adulti, in quanto esseri umani ad uno stadio in cui la violenza finzionale non li impressiona, proprio perchè nelle modalità rappresentate dal film è irripetibile nella realtà.
L'errore maggiore consiste proprio nel coinvolgere un bambino in età prescolare nella visione del film, come purtroppo è accaduto in occasione della recente visione al cinema del sottoscritto. Nei momenti citati il bambino rischiava seriamente di perdere il controllo, vinto dall'ansia e ottenebrato dalla martellante colonna sonora: "ti prego, andiamo via!" ha esclamato uno, con evidente affanno, alla mamma.
Impariamo, cari genitori, che l'effige pacioccosa di Totoro non è per niente sinonimo di gioia e spensieratezza. Altrimenti il rischio è di cadere nel medesimo errore noleggiando il DVD di Una tomba per le lucciole...

N come Non ritorno

Viaggio in Occidente è uno dei capisaldi della letteratura cinese: rappresenta un percorso di purificazione dei vari personaggi, che alla fine del viaggio giungeranno all'illuminazione.
Ashitaka è costretto ad intraprendere un viaggio verso l'Ovest dell'arcipelago giapponese, abbandonando l'Est dove ha fino a quel momento vissuto. Il trasferimento geografico è ovviamente anche un trasferimento spirituale: come abbiamo già sottolineato, si parte dal puro e incontaminato villaggio per approdare all'industriosa e socialmente avanzata città del ferro. Man mano che si sposta verso l'Ovest Ashitaka incontra guerre, spie, foreste disboscate, fazioni in perenne lotta; ma incontra anche l'ingegno e l'industriosità umana, la tempra e la volizione, il coraggio e l'impegno.
Lui è un giovanotto, che intraprende il viaggio di formazione già richiesto alla streghetta Kiki ed in futuro alla timida Chihiro. Ma in realtà si introduce in un ambiente completamente differente per approdare al luogo ove la sua maledizione ha avuto origine: Est e Ovest si saldano nella figura di Eboshi, ma sopratutto in un'idea di continuità narrativa che poi è il perno su cui si fonda la sceneggiatura.
Infine, Ashitaka trova un Ovest colonizzato dagli umani, dove la natura ha lasciato posto a magnifiche architetture. Tenendo sempre in considerazione il Pompoko di Takahata, la foresta del dio Bestia dell'Era Muromachi è povera di alberi tanto quanto la collina di Tama Hill nell'Era Heisei (cominciata nel 1989). E così il passato diventa il presente, consentendo al giapponese di riflettere sul rapporto uomo-natura in relazione allo spazio in cui vive.

O come ostico

La pellicola non è per niente facile. Il nuovo doppiaggio di Lucky Red è più fedele alle sfumature dell'originale nipponico e non lesina affatto su richiami alla dimensione politica e religiosa del Giappone feudale. Ci sono un paio di riferimenti storici piuttosto precisi, c'è una interessante ricerca visiva nel modo di vestire, di combattere, di costruire. Per uno spettatore occidentale l'aspetto più clamoroso è senz'altro quello afferente alla religione: il politeismo compare marginalmente (difatti c'è il solo dio Bestia), ma il misticismo evocato è l'esatto opposto di quello cristiano. Il dio Bestia non ama i propri fedeli, né sembra prestare loro ascolto; è una presenza reale, ma non comunica, non parla e neppure muta espressione. Da la vita come la toglie: rispetta Ashitaka, ne rimargina la ferita arrecatagli dall'arma da fuoco circa a metà film solo per poi lasciarlo morire dilaniato dalla maledizione.
Si può parlare ancora di giustizia divina oppure siamo costretti a fabbricarci una nuova stella polare?

K come Kondo

Yoshifumi Kondo era una delle figure più promettenti dello Studio Ghibli. Iniziò con le animazioni ed il character design di Conan Il ragazzo del futuro, per poi seguire Takahata e Miyazaki nella fondazione del loro studio d'animazione: aiuta ora l'uno ora l'altro, finchè nel 1995 non dirige I sospiri del mio cuore, una storia d'amore tra due adolescenti nata prendendo a prestito i medesimi libri dalla biblioteca.
L'ultima opera sulla quale lavora è proprio Principessa Mononoke, dando il proprio contributo ai fondali: un contributo purtroppo poco significativo, perchè comincia ad avvertire quel senso di stanchezza che nel 1998 lo porterà all'improvvisa dipartita a causa di un aneurisma.

E come Eboshi

La signora Eboshi rappresenta senz'altro il personaggio più affascinante del film. Persegue un ambizione personale, ma si propone come leader carismatico, si prende cura delle fasce più deboli (le donne ed i lebbrosi), costruisce un'utopia sociale ed economica. In certi frangenti sembra un Hitler in kimono, spietata ed inamovibile, in altri mostra una sfaccettatura quasi materna.
Matriarcato è quella forma di governo tribale in cui le madri e le donne assumono un ruolo guida: l'idea, ben impiantata tra gli indiani nord americani, era che mentre gli uomini stavano fuori per settimane a cacciare, le donne rimanevano al villaggio ed erano quindi le uniche disponibili a governarlo. Eboshi il suo ruolo guida lo strappa con la forza e la persuasione di un popolino in cerca di riscatto; ma c'è anche la saggia nonnina, capo spirituale del villaggio natale di Ashitaka, rispettata per la sua autorevolezza ma non certo per il vigore.
Che Miyazaki abbia una fascinazione per i personaggi femminili è cosa assodata, ma in Principessa Mononoke (non abbiamo parlato di San tra le figure femminili!) sembra esplorare una nuova dimensione, dove la consueta ingenuità cede il passo ad una sicurezza tale da regalare alle primedonne importanti gradini sulla piramide sociale.

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