Recensione X-Men - Giorni di un futuro passato

Bryan Singer riprende le redini della saga degli Uomini X realizzandone il capitolo forse più bello

Recensione X-Men - Giorni di un futuro passato
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Era l'inizio del 1981, e Marvel fece uscire, sui numeri 141 e 142 di The Uncanny X-Men, serie regolare dedicata ai supereroi Mutanti della Casa delle Idee, una miniserie destinata a fare storia. Si intitolava Days of Future Past (Giorni di un futuro passato) e mostrava come, a trent'anni da allora, la fobia verso i portatori di Gene X avrebbe portato, infine, alla schiavitù dell'uomo, costretto a vivere in un mondo ormai distrutto da un conflitto insensato, che vedeva da una parte le robotiche Sentinelle e dall'altra i mutanti: cacciati, ghettizzati, sterminati, sotto gli occhi impotenti degli homo sapiens, che mai avrebbero pensato di consegnare il pianeta nelle mani dei robot quando diedero il via ad un'operazione di pulizia “etnica” per mano degli enormi androidi. Fatto sta che nel 2013 solo un manipolo di X-Men è ancora in vita e lotta per la libertà. L'unica speranza, tuttavia, in un contesto distopico e disperato come quello, è dar vita a un paradosso temporale e fare in modo che gli eventi che hanno innescato l'escalation di “paura mutante” non accadano. Per fare questo la telepate Rachel, assistita da Wolverine, Tempesta, Colosso, Magneto e Franklin Richards rimanda indietro nel tempo la coscienza di Kitty Pride, a quand'era ancora una ragazzina, poco prima che la Confraternita dei Mutanti guidata da Mystica uccida il senatore Kelly. Il suo compito? Convincere gli X-Men di allora ad agire per scongiurare la catastrofe.

Correggere le distopie

A trent'anni di distanza questo plot potrà apparire basilare e “già visto”, abituati come siamo a film e romanzi sui viaggi nel tempo e sui paradossi temporali. Basti solo pensare alle trame di Ritorno al Futuro e, soprattutto, Terminator. Però, se facciamo attenzione, possiamo notare un 'piccolo' particolare: Giorni di un futuro passato è arrivato prima. Un semplice albo a fumetti, in un periodo in cui i comics erano considerati semplici passatempi per ragazzini, ha difatti ispirato buona parte della fiction di genere, portandolo indirettamente al successo. Senza la storyline ideata da Chris Claremont probabilmente non avremmo avuto Terminator e di conseguenza Matrix, per dire. Insomma: nonostante la maggior parte del grande pubblico odierno non conosca questo piccolo grande classico della storia Marvel gli è indirettamente debitore. E ora che, infine, ha ispirato anche il nuovo capitolo cinematografico della saga degli X-Men, non può esimersi dal riscoprirlo.
Certo, come sempre avvenuto in passato per le altre pellicole della saga, la fedeltà all'originale è molto relativa, prendendo a prestito più o meno solo il plot di base e sviluppandolo in altre direzioni e con personaggi protagonisti in gran parte diversi. La resistenza, nel futuro, è qui composta dal Professor Xavier, Magneto, Logan/Wolverine, Tempesta, Colosso, Uomo Ghiaccio e Kitty Pride, oltre che dalle new entry nel franchise filmico Alfiere, Blink, Warpath e Sunspot. Per esigenze di copione si è scelto che, ad affrontare il viaggio nel tempo, sarebbe stato il ben più noto Logan di Hugh Jackman piuttosto che la Kitty interpretata da Ellen Page, che qui invece funge da telepate (in che modo, dato che nel fumetto non ha quei poteri, non è ben chiaro). Del resto, Kitty/Shadowcat non era ancora nata nel '73, anno in cui Wolverine viene rimandato indietro per evitare che Mystica (Jennifer Lawrence) uccida Bolivar Trask (Peter Dinklage), inventore delle Sentinelle.
Qui Logan cercherà di unire, in un fronte comune, i giovani e disillusi Xavier e Magneto, con l'ausilio di volti conosciuti (Hank McCoy/Bestia) e nuovi (Quicksilver, ritratto con ironia da Evan Peters). Ma naturalmente il tutto è più facile a dirsi che a farsi, in una corsa contro il tempo giocata su più fronti.

Correggere gli errori

Inizialmente, Days of Future Past doveva essere diretto da Matthew Vaughn, già regista del più che discreto First Class (da noi X-Men - L'inizio) e rappresentare un sequel diretto di quel film. Ma quando Bryan Singer, che ha di fatto plasmato la saga dirigendone i primi due, riuscitissimi, episodi, ha ripreso in mano le redini del progetto ha dato vita a un'operazione ben più ambiziosa, decidendo di ricollegare le due linee temporali dei tre film della saga 'base' con quella ambientata nel passato di First Class, usando come collante il personaggio più noto, quello che ha goduto di ben due spin-off personali: Wolverine. Riuscendo, così, a riunire i cast dei vari film in una pellicola corale per certi versi non dissimile da The Avengers, con cui ha in comune, inoltre, l'ottima gestione dei personaggi. È innegabile, difatti, che spesso i film sugli X-Men abbiano sofferto dell'essere Wolverine-centrici, sacrificando gli altri personaggi e mostrandone alcuni in maniera inappropriata (vedasi X-Men: Conflitto finale). Addirittura, First Class era minato dall'avere, nel roster di protagonisti, alcuni Uomini-X di serie B che suscitavano ben poco interesse nello spettatore. Qui, invece, nonostante l'enorme quantità di character presenti, ognuno ha il suo spazio ed è aperto a prospettive future. Certo è vero, i nuovi mutanti del futuro (così come Toad, Ink e Havok nel passato) non sono molto approfonditi, psicologicamente, ma fanno bella mostra di sé e funzionano molto bene nel contesto. Ma, soprattutto, non è un “one man show” di Jackman, che lavora perfettamente in alchimia tanto con i grandissimi Stewart e McKellen che con James McAvoy e Michael Fassbender, dando vita anche ad alcune belle scene. Oltretutto, gli interpreti di First Class appaiono qui più maturi e convincenti nei rispettivi ruoli: non solo i giovani Charles ed Erik (che qui non sembrano mere 'versioni alternative' ma ricordano bene i loro alter ego “anziani”) ma anche Nicholas Hoult/Bestia e Jennifer Lawrence/Raven. Graditissima sorpresa, inoltre, quella rappresentata dal Quicksilver di Evan Peters: in foto non rendeva minimamente ma la resa su schermo è ottima, dato che è un personaggio assai ben congegnato nell'economia della trama.

Fattore X

Trama che, tra le altre cose, oltre ad essere avvincente e priva di grossi buchi logici (grazie Simon Kinberg!), riesce anche a mettere una pezza a gran parte delle numerosissime incongruenze che si sono andate a creare nel corso degli anni, principalmente nei film non diretti dallo stesso Singer. Il cui tocco, c'è da dirlo, è decisamente personale e riconoscibile, col suo modo unico di mostrare l'azione fumettistica su schermo in modo divertente, funzionale ma mai banale, e spesso assai scenografico anche senza dover utilizzare effetti speciali incredibili. Il livello di mero “spettacolo” è difatti forse leggermente inferiore a film simili diretti concorrenti, ma Singer dimostra che quello che deve tenere incollati alla poltrona non è il VFX d'avanguardia quanto il senso scenico, la bravura degli attori e la giusta inquadratura. Due ore e dieci di film scorrono veloci e la noia non prende mai il sopravvento, grazie a dialoghi azzeccati e un'ironia appena sottile e mai invadente. Degni di nota anche le numerose citazioni e strizzate d'occhio pop/nerd (non necessariamente legate al mondo Marvel) presenti nella pellicola, che vi lasciamo individuare da voi per non perdere il gusto della scoperta. Naturalmente il film è disseminato da camei più o meno interessanti, ma che saranno sicuramente apprezzati da tutti: vi diciamo solo che, comunque, Stan Lee non c'è, mentre Rogue sì. E l'invito è quello a restare in sala fino alla fine dei titoli di coda: avrete un'anticipazione relativa a X-Men: Apocalypse, previsto nei cinema per il 2016.

X-Men - Giorni di un futuro passato Avvincente, ben congegnato, forse addirittura il miglior film sugli X-Men fino ad oggi. Bryan Singer riafferma la sua leadership per quanto riguarda la saga cinematografica dedicata ai mutanti riprendendo le fila del discorso e in certi casi superando addirittura l'ottimo lavoro già svolto coi primi due film della serie. È un film perfetto? Certamente no. Per quanto impegno Singer possa metterci, alcuni errori di fondo e forzature rimangono, e il film non impressiona di certo dal punto di vista degli FX e delle musiche. Oltretutto è un peccato che il Bolivar Trask di Peter Dinklage esca in punta di piedi: le sue scene funzionano ma non è un “villain” memorabile, nonostante l'indiscussa bravura dell'interprete e il suo valore simbolico. Ma, ad ogni modo, Giorni di un futuro passato è sicuramente un film da vedere, e dal quale anche Christopher Nolan e Joss Whedon avrebbero da imparare un paio di cosine.

8.5

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