Recensione Wrath of the crows

Orrori carcerari con cast di scream queen

Recensione Wrath of the crows
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Gli spettatori maggiormente attenti agli orrori sfornati dal sottobosco underground del nostro paese saranno sicuramente a conoscenza del ferrarese Ivan Zuccon fin dai tempi in cui concepì Bad brains (2006) e, prima ancora, la trilogia lovecraftiana costituita da L'altrove (2000), Maelstrom - Il figlio dell'altrove (2001) e La casa sfuggita (2003).
Tutti gli altri, al massimo, potranno averlo sentito nominare dopo che il suo Colour from the dark (2008) - anch'esso tratto da Howard Phillips Lovecraft - ha ottenuto addirittura una circolazione cinematografica tricolore soltanto nel 2012 grazie a Distribuzione indipendente, che ha provveduto a proiettarlo nelle sale rientranti nel proprio circuito.
La stessa Distribuzione indipendente che sembra aver messo gli occhi anche su questa sua nuova fatica, interamente ambientata in uno squallido braccio della morte al cui interno troviamo, tra gli altri, la Debbie Rochon che, vista in diverse produzioni della trashissima Troma (citiamo solo Terror firmer e Poultrygeist - Night of the chicken dead), aveva preso parte proprio al precedente, citato lungometraggio del regista.
Accanto a lei, oltre al Domiziano Arcangeli di Nella terra dei cannibali (2003), Suzi"Holocaust holocaust"Lorraine, la Tara Cardinal di Zombie massacre (2013) e, soprattutto, la Tiffany Shepis già al servizio di Zuccon per Nympha (2007).

L'ira dei corvi

La Tiffany Shepis che, poco vestita e avvolta quasi esclusivamente da un mantello di piume di corvo, rappresenta il più enigmatico dei personaggi posti in scena; tutti in attesa di terribili punizioni, un po' come avveniva in certi sottogeneri estremi appartenenti ormai al passato della Settima arte meno amata dalla cosiddetta "serie A", dal carcerario w.i.p. (women in prison) al famigerato nazi-porno (che di porno, in fin dei conti, non aveva nulla), i quali facevano di insostenibili torture ed atrocità assortite il loro principale punto di forza.
Però, sebbene non manchi di tirare in ballo denti strappati, sgozzamenti, occhi cavati per mezzo di cucchiaini e crani sfondati tramite il solo utilizzo del pugno, il cineasta, a differenza dei due filoni che individuano in Violenza in un carcere femminile (1982) di Vincent Dawn alias Bruno Mattei e La bestia in calore (1977) di Luigi Batzella due dei titoli più conosciuti, manifesta la volontà di non puntare l'operazione esclusivamente sul sensazionalismo da splatter gratuito.
Infatti, tirando in ballo la progressiva materializzazione degli incubi dei diversi protagonisti, provvede a complicare la struttura di un elaborato che, inizialmente, sembrava concentrarsi in maniera banale ed esclusiva sullo spargimento di frattaglie e liquido rosso.
Elaborato strutturato a flashback e decisamente difficile da seguire, ma che lascia capire le sue effettive intenzioni soltanto una volta giunti al twist ending, man mano che veniamo avvolti da un accattivante look da horror internazionale che fa della curata fotografia - per mano dello stesso Zuccon - uno degli elementi maggiormente interessanti.
Mentre il ritmo incalzante contribuisce ulteriormente a testimoniare un vero e proprio passo avanti nella capacità di gestione della narrazione da schermo, nei confronti della quale, in ogni caso, il regista non si è mai dimostrato inadeguato neppure in passato.

Wrath of the crows Dopo aver costruito una filmografia quasi interamente su elaborati ispirati agli scritti di Howard Phillips Lovecraft, il ferrarese Ivan Zuccon abbandona le tematiche care al solitario di Providence per dedicarsi a una claustrofobica vicenda carceraria in salsa horror. Claustrofobica vicenda che si avvale della presenza di diverse scream queen dei b-movie d’oltreoceano, da Tiffany Shepis a Debbie Rochon, man mano che si costruisce su un tripudio di splatter e visioni da incubo. Fino all’epilogo a sorpresa che provvede a rendere finalmente comprensibile quanto visto nel poco chiaro ma visivamente molto interessante spettacolo. Dinanzi al quale non ci si annoia affatto.

6.5

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