Wonderstruck: la recensione del film di Todd Haynes con Julianne Moore

Dopo il successo travolgente di Carol, il regista Todd Haynes torna di nuovo al Festival di Cannes sussurrando al pubblico a misura di bambino.

Wonderstruck: la recensione del film di Todd Haynes con Julianne Moore
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Ben è un bambino del presente, cresciuto con la passione delle stelle e il costante desiderio di incontrare un padre che non ha mai conosciuto, e di cui sua madre si rifiuta di parlare. Rose invece è una bambina del passato, che cresce negli anni venti, quando nei cinema si proiettavano solo immagini e il suono era nient'altro che un'utopia, per la pellicola come per lei, sorda dalla nascita. Ben e Rose crescono a vent'anni di distanza e sembrano non avere niente in comune, a parte un rincorrersi attraverso le epoche in piccoli dettagli e coincidenze. Ben ama le stelle e Rose ama una stella in particolare, la star del cinema muto di cui è appassionata; Ben si infila tra i corridoi del museo di storia naturale, gli stessi che Rose ha calpestato quarant'anni prima, sfiorando lo stesso meteorite. Due destini a confronto, due bambini alla ricerca del loro posto nel mondo che desiderano semplicemente appartenere, ritrovare la loro famiglia. Storie apparentemente separate che Todd Haynes riesce a raccontare con grande raffinatezza, spostandosi dalla dicotomia di Carol regalando comunque al Festival di Cannes un passo a due - stavolta però a misura di bambino, che profuma di Hugo Cabret ma non perde l'impronta inconfondibile del suo regista.

We're all in the gutter...

Quello che più aveva affascinato di Carol è indubbiamente la raffinata eleganza della messa in scena: Todd Haynes, da sempre attentissimo alla sua cifra stilistica, aveva confezionato un film haute couture di fronte al quale era impossibile rimanere indifferenti, e che allo stesso tempo rappresentava uno standard difficile da mantenere. Spostando il mirino, in Wonderstruck Todd Haynes concentra lo spettatore su un altro dei cinque sensi, non più la vista ma l'udito. Il lavoro più grande infatti sta proprio nel montaggio sonoro, che riesce ad avvolgere lo spettatore portandolo al livello dei piccoli protagonisti: Haynes riesce a costruire qualcosa in più con qualcosa in meno, girando intorno a dialoghi muti e suoni ovattati che invece di respingere accolgono i protagonisti. Nel caso di Rose, il trucco si unisce alla messa in scena in bianco e nero, che regala anche un effetto nostalgico perfettamente in tema con i film muti che la bambina tanto ama, con protagonisti la stella del cinema interpretata da Julianne Moore. Nonostante i due racconti apparentemente paralleli, Haynes riesce a sorreggere la narrazione adattando perfettamente il duplice racconto di Brian Selznick, autore del romanzo da cui è tratta la sceneggiatura.

...but some of us are looking in the sky

Le parole si trasformano quindi in immagini, ed è il visivo l'espediente per separare i due racconti, divisi cromaticamente ma uniti da una ricerca affettiva di una tenerezza commovente. A riportarla allo spettatore due straordinari piccoli protagonisti, tra cui spicca la piccola Millicent Simmonds, i cui occhi riescono a comunicare anche senza parole una delicatezza che Todd Haynes riesce a raccogliere perfettamente. Con lei Haynes gioca con l'amore per il cinema che fu, per quegli anni venti pieni di nuove speranze che hanno costruito la New York che conosciamo ora, altra grande protagonista indiscussa della pellicola. L'architettura della città e la sua crescita urbanistica fanno da sfondo alla bambina di ieri e al bambino di oggi, riempiendo gli occhi dello spettatore di meraviglia e con un pizzico di commozione finale. Siamo lontani dall'elegante raffinatezza di Carol e dalla sua emotività: il regista americano dimostra di saper giocare molto meglio con le ambiguità che con un racconto strutturato ma lineare, e Wonderstruck non riesce a cancellare le immagini del suo illustre predecessore, nel cui confronto esce perdente. Nonostante tutto però, possiede una dolce freschezza che è impossibile da ignorare, e che gli regala un respiro diversamente affascinante ma comunque profondamente apprezzabile.

La Stanza delle Meraviglie Dopo il successo di Carol sarebbe stato davvero difficile seguire la stessa linea di successo: il regista Todd Haynes riesce comunque a non perdere La sua raffinatezza, spostandosi dalla dicotomia del suo illustre predecessore regalando comunque al Festival di Cannes un passo a due - stavolta però a misura di bambino, che profuma di Hugo Cabret ma non perde l’impronta inconfondibile del suo regista.

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