Recensione Wolf Creek

Riscopriamo insieme l'esordio del regista australiano Greg McLean: uno slasher horror, con istinti torture porn, ancora più spaventoso poiché ispirato a fatti realmente accaduti negli anni '90.

Recensione Wolf Creek
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L'outback australiano, per quanto scenograficamente mozzafiato, non dev'essere certo un posto poi così tranquillo. Non si contano infatti i dispersi dei quali si è smarrita traccia negli ultimi anni, soprattutto inesperti turisti, e risalgono a tempi recenti gli efferati delitti di due serial killer, Ivan Milat e Bradley Murdoch, compiuti in tutto il corso degli anni '90. Proprio a questi casi giudiziari è legata la sceneggiatura del primo Wolf Creek, uscito nel 2005, e apripista di un'immaginario cinefilo e letterario creato dal regista e sceneggiatore, allora esordiente, Greg McLean. Con un sequel uscito da pochi giorni anche nelle sale italiane e ben due romanzi (ma con altri in arrivo) che indagano nel passato del diabolico villain, la carriera assassina di Mick Taylor sembra ormai figlia di quella serialità classica del filone horror / slasher.

Attenti al lupo

Nell'estate del 1999 Liz e Kristy sono due turiste inglesi in vacanza in Australia. Poco prima di far ritorno a casa decidono di visitare, insieme all'amico Ben, originario del posto, il parco nazionale di Wolf Creek, dove si trova un gigantesco cratere di origine meteorica. Dopo l'escursione però i giovani scoprono che la loro auto non parte più e per non trascorrere la notte in quel luogo sperduto sono costretti ad accettare il passaggio del camionista Mick Taylor, che passava di lì apparentemente per caso. L'uomo, ex cacciatore, si dimostra simpatico e cordiale e decide di invitare i ragazzi a casa sua, in attesa che si faccia giorno. Al risveglio però Liz si ritrova legata e chiusa a chiave in uno stanzino; riuscita a liberarsi la ragazza scoprirà che Kristy e Ben sono le nuove cavie di tortura di Mick, che si è rivelato essere uno psicopatico assassino.

Assassino nato

Ciò che fa più paura in Wolf Creek è l'abbondante dose di realismo che rende plausibile l'inquietante vicenda: dal cratere, realmente esistente, di Wolfe Creek sino ai già citati riferimenti ai veri killer australiani, dall'ottima cura per gli sporadici personaggi secondari a quella per i protagonisti, perfetta carne da macello ben rispecchiabile in certa gioventù odierna., i cento minuti di visione disturbano e affascinano al contempo. Il regista è abile nell'elaborata e ritmata costruzione della tensione, optando per una prima parte virata ad un tono documentaristico sui rapporti che legano le future vittime e scatenando in seguito, in un assillante crescendo, tutta la tipica furia di genere. Perché quando preme sull'acceleratore, Wolf Creek è un film che colpisce duro e non fa sconti, puntando su un'efferatezza che guarda sia agli stilemi del torture porn (la violenza è secca e brutale) che ad un disagio psicologico che spaventa assai più del comunque esibito gioco al massacro fisico. La suspence è sempre alta e anche nei primi quaranta minuti, dove succede poco o nulla, lo spettatore è sempre in costante attesa di quell'atto scatenante che darà il via alla mattanza. Con il paesaggio australiano che è un vero e proprio, magnifico, co-protagonista, a destare un morboso magnetismo è la sadica performance di John Jarratt, il cui macabro ghigno da apparente bontempone fa già presagire il peggio sin dalla sua entrata in scena.

Wolf Creek Esordio col botto per il regista australiano Greg McLean, ancor più credibile poiché ispirato a fatti realmente accaduti nel suo Paese. Wolf Creek rivitalizza slasher e torture porn con un film secco e ferale, capace di creare la giusta dose di inquetudine e di infierire in seguito con macabra ferocia sia sui personaggi da macello che sullo spettatore, sfruttando al meglio l'outback sterminato e il perfetto volto di John Jarratt.

7

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