War Machine, la recensione del film con Brad Pitt in esclusiva su Netflix

Brad Pitt veste i panni del generale McMahon, a capo delle forze militari in Afghanistan, in War Machine, satira semibiografica firmata da David Michôd.

War Machine, la recensione del film con Brad Pitt in esclusiva su Netflix
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La guerra sarà anche uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo: si potrebbe riassumere con questo concetto l'intento amoralistico di War Machine, originale Netflix giunto da pochi giorni in esclusiva assoluta sulla piattaforma on demand. Uno dei titoli più attesi della stagione non solo per la presenza nel ruolo di protagonista del divo Brad Pitt e per la regia affidata al solitamente efficace australiano David Michôd, ma soprattutto per il tema trattato che è ispirato alla reale storia, rivisitata in chiave finzionale con tanto di cambio di nome, del generale Stanley A. McChrystal, veterano della Guerra del Golfo e del più recente conflitto iracheno, il cui nome è salito alla ribalta internazionale nel 2010 per essere stato costretto a dare le dimissioni dal ruolo di chief in commander in Afghanistan dopo un articolo pubblicato dalla rivista Rolling Stones. Nel film il militare, che compare sotto la falsa identità del Generale Glen McMahon, è proprio impegnato a gestire la difficile situazione di stabilizzazione del Paese mediorientale, trovandosi ad affrontare i più infimi nemici più tra i corridoi della politica che sul campo di battaglia.

Solo al comando

È un voice-over imperante quello che accompagna pressoché la totale narrazione di War Machine, atto sia ad introdurre personaggi ed eventi che ad offrire uno scavo psicologico in una personalità affascinante e complessa come quella di McMahon / McChrystal, qui rivisitata con un tragicomico istinto satirico dalla camaleontica interpretazione di Brad Pitt, che tra tic, movenze irrigidite e un'espressività sorprendente caratterizza con amarezza e ironia il protagonista. Un protagonista lasciato "solo" dai piani alti, perfetta vittima sacrificale di un fallimento dovuto a ben altre e più ramificate cause inerenti la presenza dell'esercito americano in territorio afghano: una presenza non richiesta che causa non pochi problemi alla potenziale stabilità del Paese. Ecco perciò che assume fondamentale importanza l'ampio minutaggio dedicato ai compagni di avventura del generale, dai suoi sottoposti ai soldati semplici, elementi perfetti di un cameratismo sincero e senza fronzoli con cui rispetto e amicizia sono in più occasioni gli unici appigli dell'uomo al comando. Tolto un breve ma intenso passaggio nella parte finale, la guerra coi ribelli e i talebani è solo di sfondo nelle due ore di visione in cui il Nostro si muove tra le stanze del potere cercando di ottenere condizioni favorevoli al fine di completare la sua missione nel migliore dei modi: dinanzi gli si pongono però muri insormontabili tanto che anche lo stesso Obama (presente in filmati di repertorio e in una sequenza interpretato, di spalle, da una comparsa) gli nega sempre l'aspirato incontro. Luci e ombre si alternano così in un contesto sociale e politico di non facile lettura, dove nemici e amici si confondono e anche figure di spessore vengono volutamente espresse in chiave caricaturale: basti vedere il trattamento sopra le righe rivolto al Presidente afgano Hamid Karzai (che ha il volto di un efficace Ben Kingsley) che si diverte a crepapelle guardando Scemo & più scemo (1994).

Luci e ombre

Non tutto è coeso in War Machine e, soprattutto nella prima ora, si avverte una mancanza di coesione come se si fosse destinati ad assistere ad una sequela di situazioni comiche e drammatiche in alternanza; dopo la metà però il tutto riacquista una sua omogeneità e anche una certa forza emotiva nel tratteggio psicologico delle parti in causa, dando vita ad un insolito biopic tra realtà e finzione in cui non mancano momenti drammatici, con tanto di vittime civili e giovani soldati inesperti mandati a combattere in pericolose zone di conflitto, parziale contraltare tensivo degli apparenti sprazzi di quiete presenti nei tentativi di McMahon di chiedere ulteriori forze di terra agli alleati europei, tra gran galà in Francia e ricongiunzioni familiari. Ne esce di nuovo lo spettro dell'11 settembre, al centro di un'accesa e sofferta diatriba matrimoniale tra il generale e la moglie, e uno sguardo di più ampio respiro al modo in cui vincere una guerra, dinamiche che speziano quanto basta una vicenda a tratti sgangherata e pretenziosa ma a suo modo pregna di una personalità fuori dagli schemi che proprio nelle sue imperfezioni acquista un coinvolgente e viscerale afflato.

War Machine Usa il mezzo della biografia satirica combinata con elementi di pura finzione War Machine, tra i titoli più attesi presenti in esclusiva assoluta su Netflix. Un film tragicomico che riprende la figura del generale McChrystal, qui rinominato McMahon, per intarsiare un discorso sfumato e ricco di spunti sulla gestione delle truppe americane in Afghanistan. Il regista David Michôd si fa a tratti prendere troppo la mano rischiando di eccedere nelle proprie alte ambizioni di coniugare dramma e ironia, ma complice l'efficace e mimetica interpretazione di un intensamente caricaturale Brad Pitt e una gestione oculata delle dinamiche interpersonali nel bel mezzo di una situazione di stallo, politico e sociale, inerente lo stato del Paese mediorientale, le due ore di visione acquistano progressivamente forza con lo scorrere degli eventi, ritagliando pagine di gustosa umanità in cui anche i passaggi più comici si offrono a diverse e complesse chiavi di lettura sulla presunta esportazione della democrazia da parte dello zio Sam.

7

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