Recensione Viva l'Italia

L'Italia e gli itaGliani di Massimiliano Bruno

Recensione Viva l'Italia
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Nel 2011 avevamo avuto modo di vedere Paola Cortellesi nei panni della superficiale, antipatica e classista trentacinquenne Alice che, abituata a vivere in una bella villetta di Roma nord, si trovava costretta a trasferirsi in un'abitazione popolare di periferia e a improvvisarsi escort dopo l'inaspettata morte del marito, imprenditore nel ramo dei sanitari con un fortissimo debito da saldare e il timore che i servizi sociali le portino via il figlio.
Avveniva in Nessuno mi può giudicare, lungometraggio che, prendendo il titolo in prestito dal popolare successo musicale di Caterina Caselli, segnava l'esordio alla regia per il romano classe 1970 Massimiliano Bruno, il Nando Martellone della nota serie televisiva Boris, nonché co-sceneggiatore di buona parte dei film diretti da Fausto Brizzi.
E sembra prendere in prestito il titolo da un successo musicale - in questo caso di Francesco de Gregori - anche la seconda prova registica di Bruno; il quale, nel corso della circa ora e cinquanta di visione, ricopre anche il ruolo di uno showman impegnato a leggere gli articoli della Costituzione all'interno della propria trasmissione televisiva La verità ti fa male, curiosamente riadattamento di quel "La verità mi fa male" che apre il succitato hit caselliano.

La verità ci fa male

Seconda prova che parte da un interessante interrogativo: cosa accadrebbe se un politico nostrano, un giorno come un altro, cominciasse a dire tutta la verità e nient'altro che la verità?
Accadrebbe che Michele Spagnolo, sempre pronto a sfoderare in pubblico i termini attira-voti "lavoro", "sicurezza" e "famiglia" e con alle spalle oltre trent'anni di onorata carriera durante la quale ha sempre anteposto i propri interessi personali a quelli della collettività, passando indenne attraverso i mille scandali che hanno flagellato l'Italia, viene spinto a dire tutto ciò che gli passa per la testa a causa di una apoplessia che, in seguito a una notte trascorsa con una "promettente" soubrette televisiva, colpisce proprio la parte del cervello che controlla i freni inibitori.
Un Michele Spagnolo cui concede anima e corpo un Michele Placido eccellente come di consueto e del quale seguiamo, contemporaneamente, le vicende dei suoi figli: Valerio, incapace con le fattezze di Alessandro Gassman assunto da una importante azienda approfittando del potere di suo padre; Riccardo, medico interpretato da Raoul Bova che, invece, ha sempre voluto fare a meno del genitore cercando di costruirsi tutto da solo; Susanna alias Ambra Angiolini, aspirante ma tutt'altro che capace attrice che, nonostante la parlata con zeppola, riesce sempre a ottenere qualche parte a suon di raccomandazioni.

Im(brun)imento tricolore

Un campionario di nomi noti della cinematografia nostrana cui vanno ad aggiungersi Rocco Papaleo nei panni di un viscido agente di spettacolo ed Edoardo Leo in quelli di una guardia del corpo messa a protezione di Susanna, perseguitata da uno stalker con il volto dell'Edoardo Falcone co-sceneggiatore della pellicola.
Senza contare Sarah Felberbaum cuoca, Lucia Ocone cameriera, Paola Minaccioni grottesca logopedista e Maurizio Mattioli infermiere; tutti coinvolti - come pure Rolando Ravello, Remo Remotti e Sergio Fiorentini - in un insieme che, se non fosse per l'abbondanza di situazioni e battute comiche presenti, non sembrerebbe altro che un drammatico racconto su celluloide italiano.
Perché, tra falsificazione di referti medici e gente che non ha mai pagato il canone ma ottiene il posto in Rai, quella fedelmente ritratta da Bruno è la triste nazione tricolore d'inizio terzo millennio.
Una nazione in cui della professionalità non importa nulla a nessuno e, per lavorare, è necessario appartenere a una lobby; tanto che la questione non è più essere o non essere, ma apparire o non apparire e, per forza di cose, si è giunti a non dover sostenere il meno peggio, non più il migliore.
Una nazione la cui attuale immagine è perfettamente sintetizzata nell'emblematica sequenza in cui Spagnolo, disorientato e in pigiama, si ritrova nel bel mezzo di uno scontro tra polizia e manifestanti, con Italia di Mino Reitano che fa da commento.
Soltanto uno dei pochi momenti amari che, come nella tradizione della migliore Commedia all'italiana, vengono inseriti in maniera efficace all'interno di un'operazione tendente principalmente a regalare risate allo spettatore; oltretutto investito da una ricca colonna sonora comprendente, tra gli altri, Caparezza, Daniele Silvestri e Frankie Hi-Nrg Mc.
Quello spettatore che esce dalla sala pienamente soddisfatto per il divertimento provato e con una buona scorta di speranza per un'Italia dal futuro positivo... ma che, una volta tornato con i piedi per terra e consapevole del fatto che quella appena vista non possa essere interpretata altro che come favola , si trova inevitabilmente a dover appoggiare l'osservazione sfoderata da Valerio Aprea ad inizio film: "Che paese de merda".

Viva l'Italia Un anno dopo il divertente esordio registico Nessuno mi può giudicare (2011), l’attore e sceneggiatore Massimiliano Bruno torna dietro la macchina da presa con un’opera seconda intenta a raccontare attraverso la leggera “chiave popolare” della Commedia all’italiana tutte le brutture dello stivale tricolore d’inizio XXI secolo. Il risultato, con un cast in stato di grazia, è un’ora e cinquanta circa di visione che, se in un primo momento potrebbe far storcere il naso ai fan del film precedente, maggiormente basato sulla comicità, finisce per rivelarsi comunque dispensatore di non poche risate. Oltre che capace di spingere addirittura alla commozione lo spettatore, che esce dalla sala rimpolpato di uno strano mix di buon umore e rabbia nei confronti di un Paese in attesa di obbligatoria rinascita.

7

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